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Per la religione ebraica lo “shabbat” è il giorno del riposo, che viene osservato dal tramonto del venerdì a quello del sabato, come prescritto dalla “halakhah”, la tradizione “normativa” religiosa dell’ebraismo.
In senso letterale “shabbat” significa “smettere” ed evoca l’Antico Testamento, la Genesi, il misterioso riposo di Dio nel settimo giorno dopo la sua attività creatrice dell’universo: “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Gn 2, 3).
Il precetto del sabato è nel Decalogo (dieci comandamenti), in Esodo e in Deuteronomio. Questo comandamento ha una base etica, perciò Israele e poi la Chiesa mostrarono di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione dell rapporto dell’individuo con Dio. È in questa prospettiva che tale precetto è anche oggi considerato. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna pensare per coglierne il senso profondo.
Lo “shabbat” veniva rispettato anche dai primi cristiani di origine ebraica e riposavano il sabato. Ma il graduale allontanamento del cristianesimo dalla matrice ebraica e l’aumento del numero dei cristiani indussero questi a fissare in un altro giorno il loro riposo per celebrare insieme i misteri della resurrezione di Cristo, creando in tal modo un’identità indipendente da quella ebraica.
Il senso del precetto antico-testamentario sul giorno del Signore venne recuperato ed integrato passando dal sabato al primo giorno dopo il sabato, dal settimo giorno al primo giorno della settimana che nel calendario giuliano era dedicato al dies Solis, collegato al culto del Sol Invictus ("Sole invitto") o, per esteso, Deus Sol Invictus ("Dio Sole invitto") era un appellativo religioso usato per alcune diverse divinità nel tardo Impero romano: Helios, El-Gabal, Mitra.
E nel primo secolo della nostra era i cristiani sovrapposero il culto per Cristo al culto dedicato al Sol Invictus, il dies Domini al dies Solis. La Chiesa scelse di cristianizzare la festa pagana del dies solis per sottrarre i fedeli ai culti che divinizzavano il sole, e in questo giorno sovrappose la celebrazione religiosa dedicata a Cristo, vero "sole" dell'umanità, "sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte" (Lc 1, 78-79), venuto come "luce per illuminare le genti" (Lc 2, 32), e che ritornerà alla fine dei tempi, per essere e trasfigurare con la Sua luce sfolgorante tutti e tutto.
Nel 50 d.C. ci fu il Concilio di Gerusalemme, il primo grande concilio cristiano, nel quale si decise l’abolizione delle prescrizioni rituali e cerimoniali della legge mosaica per i cristiani, fra le quali la circoncisione, la quale legava all'osservanza di tutti i rituali dati da Dio agli ebrei.
Nella Didachè, redatta tra il 90 ed il 100, all’inizio del quattordicesimo capitolo, si dice: “Nel giorno domenicale del Signore radunatevi, spezzate il pane e rendete grazie”. La pratica forse non era ancora consolidata, perché questo testo non dà direttive. Dopo l’anno 100 furono scritti numerosi testi che narrano delle celebrazioni eucaristiche collettive la domenica da parte dei cristiani, che iniziano così ad essere considerati una comunità separata da quella ebraica.
Nel 306 nel Concilio di Elvira, che dopo la conquista araba fu denominata Granada, in Spagna, si decise che i cristiani avevano il dovere di recarsi in chiesa ogni domenica. Per conseguenza occorreva che la domenica diventasse un giorno festivo. Fu probabilmente per questo motivo che l’imperatore romano Costantino I con un decreto del 321 (conservato nel Codice Giustinianeo) vietò ogni attività lavorativa, eccetto quella agricola, nel dies solis. Costantino non usò il termine dies dominica, ma dies solis, l giorno del sole.
Nel sinodo regionale di Laodicea, che si svolse tra il 363 ed il 364 dopo la conclusione della guerra tra l’impero romano e l’impero persiano, vennero emanate 60 regole scritte o canoni riguardanti fra l’altro il comportamento dei presbiteri, le pratiche liturgiche, l’eliminazione del sabato ebraico, l’incoraggiamento ai cristiani per il riposo domenicale e la celebrazione eucaristica collettiva.
La religione del Sol Invictus restò in auge fino all’editto di Tessalonica (attuale Salonicco, in Grecia) emanato dall’imperatore Teodosio I il 27 febbraio del 380 e col quale impose il cristianesimo come unica religione di Stato. Per tale ragione, il 3 novembre del 383 il dies Solis venne rinominato “dies dominicus” (Giorno del Signore).
Dal dies domini deriva il nome del giorno della settimana che chiamiamo domenica, dedicata alla commemorazione della risurrezione di Cristo.
Il pontefice Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Dies Domini” scrisse fra l’altro: “A nessuno sfugge infatti che, fino ad un passato relativamente recente, la ‘santificazione’ della domenica era facilitata, nei Paesi di tradizione cristiana, da una larga partecipazione popolare e quasi dall'organizzazione stessa della società civile, che prevedeva il riposo domenicale come punto fermo nella normativa concernente le varie attività lavorative. Ma oggi, negli stessi Paesi in cui le leggi sanciscono il carattere festivo di questo giorno, l'evoluzione delle condizioni socio-economiche ha finito spesso per modificare profondamente i comportamenti collettivi e conseguentemente la fisionomia della domenica. Si è affermata largamente la pratica del ‘week-end’, inteso come tempo settimanale di sollievo, da trascorrere magari lontano dalla dimora abituale, e spesso caratterizzato dalla partecipazione ad attività culturali, politiche, sportive, il cui svolgimento coincide in genere proprio coi giorni festivi. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale che non manca certo di elementi positivi nella misura in cui può contribuire, nel rispetto di valori autentici, allo sviluppo umano e al progresso della vita sociale nel suo insieme. Esso risponde non solo alla necessità del riposo, ma anche all'esigenza di ‘far festa’ che è insita nell'essere umano. Purtroppo, quando la domenica perde il significato originario e si riduce a puro ‘fine settimana’, può capitare che l'uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il ‘cielo’. Allora, per quanto vestito a festa, diventa intimamente incapace di ‘far festa’.
Per quanto riguarda la Quaresima c’e’ da dire che in essa ci sono sei domeniche e la sesta è la “Domenica delle Palme” che dà inizio alla Settimana Santa.