Autore Topic: da Carnevale a Pasqua  (Letto 17080 volte)

Doxa

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #15 il: Febbraio 20, 2014, 07:32:14 »
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Per la religione ebraica lo “shabbat” è il giorno del riposo, che viene osservato dal tramonto del venerdì a quello del sabato, come prescritto dalla “halakhah”, la tradizione “normativa” religiosa dell’ebraismo.

In senso letterale “shabbat” significa “smettere” ed evoca  l’Antico Testamento, la Genesi, il misterioso riposo di Dio nel settimo giorno dopo la sua attività creatrice dell’universo: “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Gn 2, 3).

Il precetto del sabato è nel Decalogo (dieci comandamenti), in Esodo e in Deuteronomio. Questo comandamento ha una base etica, perciò Israele e poi la Chiesa mostrarono di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma  un’espressione dell rapporto dell’individuo con Dio. È in questa prospettiva che tale precetto è anche oggi considerato. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna pensare per coglierne il senso profondo.

Lo “shabbat” veniva rispettato anche dai primi cristiani di origine ebraica  e riposavano il sabato. Ma il graduale allontanamento del cristianesimo dalla matrice ebraica e l’aumento del numero dei cristiani indussero questi a fissare in un altro giorno il loro riposo per celebrare insieme i misteri della resurrezione di Cristo, creando in tal modo un’identità indipendente da quella ebraica.

Il  senso del precetto antico-testamentario sul giorno del Signore venne recuperato ed  integrato passando dal sabato al primo giorno dopo il sabato,  dal settimo giorno al primo giorno della settimana che nel calendario giuliano era dedicato al dies Solis, collegato al culto del  Sol Invictus ("Sole invitto") o, per esteso, Deus Sol Invictus ("Dio Sole invitto") era un appellativo religioso usato per alcune diverse divinità nel tardo Impero romano: Helios, El-Gabal, Mitra.

E nel primo secolo della nostra era  i cristiani sovrapposero il culto per Cristo al culto dedicato al Sol Invictus, il dies Domini al dies Solis. La Chiesa scelse di cristianizzare la festa pagana del dies solis per sottrarre i fedeli ai culti che divinizzavano il sole, e in questo giorno sovrappose la celebrazione religiosa  dedicata a Cristo, vero "sole" dell'umanità, "sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte" (Lc 1, 78-79), venuto come "luce per illuminare le genti" (Lc 2, 32), e che ritornerà alla fine dei tempi, per essere e trasfigurare con la Sua luce sfolgorante tutti e tutto.

Nel 50 d.C. ci fu il  Concilio di Gerusalemme, il primo grande concilio cristiano, nel quale si decise l’abolizione delle prescrizioni rituali e cerimoniali della legge mosaica per i cristiani, fra le quali la circoncisione, la quale legava all'osservanza di tutti i rituali dati da Dio agli ebrei.

Nella Didachè, redatta tra il 90 ed il 100, all’inizio del quattordicesimo capitolo, si dice: “Nel giorno domenicale del Signore radunatevi, spezzate il pane e rendete grazie”. La pratica forse non era ancora consolidata, perché questo testo non dà direttive. Dopo l’anno 100 furono scritti numerosi testi che narrano delle celebrazioni eucaristiche collettive la domenica da parte dei cristiani,  che iniziano così ad essere considerati una comunità separata da quella ebraica.

Nel  306 nel Concilio di Elvira, che dopo la conquista araba fu denominata Granada, in Spagna, si decise che i cristiani avevano il dovere di recarsi in chiesa ogni domenica. Per conseguenza occorreva che la domenica diventasse un giorno festivo.  Fu probabilmente per questo motivo che l’imperatore romano Costantino I con un decreto del 321 (conservato nel Codice Giustinianeo) vietò ogni attività lavorativa, eccetto quella agricola, nel dies solis. Costantino non usò il termine dies dominica, ma dies solis, l giorno del sole.

Nel sinodo  regionale di Laodicea, che si svolse tra il 363 ed il 364 dopo la conclusione della guerra tra l’impero romano e l’impero persiano, vennero emanate 60 regole scritte o canoni  riguardanti fra l’altro  il comportamento dei presbiteri, le pratiche liturgiche, l’eliminazione del sabato ebraico,  l’incoraggiamento ai cristiani per il riposo domenicale e la celebrazione eucaristica collettiva.

La religione del Sol Invictus restò in auge fino all’editto di Tessalonica (attuale Salonicco, in Grecia) emanato dall’imperatore Teodosio I il 27 febbraio del 380 e col quale impose il cristianesimo come unica religione di Stato.  Per tale ragione, il 3 novembre del 383 il dies Solis venne rinominato “dies dominicus” (Giorno del Signore).

Dal dies domini deriva il nome del giorno della settimana che chiamiamo domenica, dedicata alla commemorazione della risurrezione di Cristo.

Il pontefice Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Dies Domini” scrisse fra l’altro: “A nessuno sfugge infatti che, fino ad un passato relativamente recente, la ‘santificazione’ della domenica era facilitata, nei Paesi di tradizione cristiana, da una larga partecipazione popolare e quasi dall'organizzazione stessa della società civile, che prevedeva il riposo domenicale come punto fermo nella normativa concernente le varie attività lavorative. Ma oggi, negli stessi Paesi in cui le leggi sanciscono il carattere festivo di questo giorno, l'evoluzione delle condizioni socio-economiche ha finito spesso per modificare profondamente i comportamenti collettivi e conseguentemente la fisionomia della domenica. Si è affermata largamente la pratica del ‘week-end’, inteso come tempo settimanale di sollievo, da trascorrere magari lontano dalla dimora abituale, e spesso caratterizzato dalla partecipazione ad attività culturali, politiche, sportive, il cui svolgimento coincide in genere proprio coi giorni festivi. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale che non manca certo di elementi positivi nella misura in cui può contribuire, nel rispetto di valori autentici, allo sviluppo umano e al progresso della vita sociale nel suo insieme. Esso risponde non solo alla necessità del riposo, ma anche all'esigenza di ‘far festa’ che è insita nell'essere umano. Purtroppo, quando la domenica perde il significato originario e si riduce a puro ‘fine settimana’, può capitare che l'uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il ‘cielo’. Allora, per quanto vestito a festa, diventa intimamente incapace di ‘far festa’.

Per quanto riguarda la Quaresima c’e’ da dire che in essa ci sono sei domeniche e la sesta è la “Domenica delle Palme” che dà inizio alla Settimana Santa.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #16 il: Febbraio 24, 2014, 09:08:51 »
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Mercoledì delle Ceneri

5 marzo 2014: “Mercoledì delle ceneri”.  Nel rito romano è il primo giorno della Quaresima, periodo liturgico penitenziale che serve per la preparazione spirituale alla Pasqua cristiana, alla resurrezione di Gesù.

L’ antica usanza di iscrivere i peccatori alla pubblica penitenza quaranta giorni prima di Pasqua determinò la formazione della «quadragesima» che cadeva  nella sesta domenica prima della Pasqua. Ma la domenica non veniva effettuato il rito penitenziale, perciò alla fine del V secolo, nel rito romano, venne deciso di anticipare l’inizio  della Quaresima al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima,  perché in quel tempo il mercoledì era un giorno penitenziale e dai fedeli veniva osservato il digiuno, così nacque il mercoledì delle Ceneri.

La cerimonia dell’”imposizione delle ceneri” sulla testa o sulla fronte dei fedeli fu eseguita per la prima volta nel VI secolo. Il rito era riservato solo ai penitenti poi fu abolita la penitenza pubblica ed il rito delle ceneri fu esteso a tutti i fedeli per richiamare alla memoria il comune destino mortale causato dal “peccato originale”, infatti la  cenere simboleggia la temporaneità della vita umana.

Le”sacre ceneri” benedette vengono ottenute, secondo una prescrizione del XII secolo, dalla combustione nel fuoco di alcuni rami d’ulivo  o di palma benedetti nella “Domenica delle palme” dell’anno precedente.
 
Durante la Messa il sacerdote dopo la lettura del Vangelo e l’omelìa prende l’aspersorio dal secchiello e benedice le ceneri:
Benedici queste ceneri che stiamo per imporre sul capo, riconoscendo che il nostro corpo tornerà in polvere”.

Poi i  fedeli vanno dal celebrante per ricevere la cenere  sul capo o sulla fronte. Ad ognuno il sacerdote dice:

“Ricòrdati, Uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai.”(Meménto, homo, quia pulvis es, et in púlverem revertéris), frase detta da Dio ad Adamo (Gn 3, 19) ;

oppure può scegliere di dire :

Convertitevi, e credete al Vangelo” (Paenitémini, et crédite Evangélio) Mc 1, 15; tale frase evoca l'inizio della predicazione itinerante di Gesù e fu introdotta dalla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II.



Questo rito cristiano deriva dalla religione ebraica che nel passato obbligava i propri fedeli a cospargersi il capo di cenere come segno di penitenza.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #17 il: Febbraio 25, 2014, 08:48:25 »
Settimana Santa

La Quaresima finisce all’ora nona (ore 15.00) del "Giovedì Santo" che quest’anno avviene il 17 aprile.

La sesta ed ultima domenica di Quaresima coincide con la “Domenica delle palme”, dalla quale comincia la cosiddetta “settimana santa” fino al “Sabato santo”, che precede la domenica di Pasqua in cui si commemora la risurrezione di Cristo. 

La “settimana santa” è scandita da tempi liturgici che rievocano la Passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazaret.

Oltre ai riti liturgici ci sono popolari tradizioni religiose che contribuiscono a tramandare la fede cristiana: rievocazioni sceniche della Passione di Gesù, canti, poemi.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #18 il: Febbraio 26, 2014, 08:58:29 »
Domenica delle palme

La Settimana Santa si apre con la “domenica delle Palme”: in questo giorno  la Chiesa commemora la festosa accoglienza della folla a Gesù che giunge a Gerusalemme.

I quattro evangelisti  narrano quell’evento con alcune modalità discordanti fra loro.

Matteo nel suo vangelo scrive che “Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: ‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me’[…] I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina ed il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.”(Mt 21, 1-7)

L’evangelista Marco afferma, invece, che Gesù “mandò due dei suoi discepoli” nel villaggio a prendere un asinello legato ad una porta. I discepoli lo sciolsero e lo condussero al Messia. …”vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra.” (Mc 11, 1-7)

Luca non cita l’asinello ma un puledro. Gesù “inviò due discepoli dicendo: ‘Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. […] Lo condussero allora a Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.” (Lc 19, 29-35)

Infine Giovanni, in modo conciso fa sapere che “Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto (nella profezia di Zaccaria 9, 9): ’Non temere figlia di Sion !  ‘Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina’…”.  (Gv 12, 14 – 15)
Nel Vangelo di Matteo  (21, 5) la stessa profezia di Zaccaria è così citata: “Dite alla figlia di Sion Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma’” (Zc 9, 9)

E’ evidente che la profezia di Zaccaria è usata come sfondo teologico,  perciò è irrilevante sapere se Gesù salì sopra un’asina, un asinello od un puledro.
« Ultima modifica: Febbraio 26, 2014, 09:56:16 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #19 il: Febbraio 27, 2014, 11:53:53 »
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L’asinello venne portato a Gesù, i discepoli misero i loro mantelli sulla groppa dell’animale e “vi fecero salire Gesù” ( Lc 19, 35). Questa frase evoca il biblico “Primo libro dei re”,  nel quale si racconta che il re Davide ordinò di far montare il figlio Salomone sulla mula e di condurlo a Ghicon (fiume Nilo) “Lì, il sacerdote Zadòk e il profeta Natan lo ungano re d'Israele. Voi suonerete la tromba e griderete: Viva il re Salomone!  Quindi risalirete dietro a lui, che verrà a sedere sul mio trono e regnerà al mio posto. Poiché io ho designato lui a divenire capo d'Israele e di Giuda”. (1, 34 – 35).

Anche lo stendere i mantelli è una tradizione nella regalità d’Israele (cfr 2 Re 9, 13) ed i discepoli col loro gesto simboleggiano l’intronizzazione di Cristo e la speranza messianica che da tale tradizione si è sviluppata.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione” dice che i pellegrini che si stavano recando a Gerusalemme per la Pasqua ebraica furono influenzati dall’entusiasmo dei discepoli e stesero i loro mantelli sulla strada sulla quale Egli avanzava stando seduto sul dorso dell’asino.


Giotto: "Ingresso di Gesù a Gerusalemme"; 1305, circa (Padova: Cappella degli Scrovegni).
La scena dipinta raffigura Cristo che entra a Gerusalemme, accolto dalla folla festante, che stende i mantelli in terra, mentre due ragazzi tagliano i rami dagli alberi per posarli sulla strada in segno di omaggio al passaggio di Gesù.

Secondo l’evangelista Matteo  (21, 8 – 9) “La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: ‘Osanna al figlio di Davide ! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli !’ “(salmo 117, 25-26).

Marco, invece, scrive: E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde , che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e quelli che venivano dietro gridavano ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’ Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! (Mc 11, 8-10).

L’evangelista Luca non cita i rami o le fronde posati sulla strada al passaggio di Gesù, ed aggiunge che solo i discepoli lodarono Dio. “Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: ‘Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.' Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli !” (Lc 19, 36-3).

L’unico a citare i rami di palme è l’evangelista Giovanni: …la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese i rami di palme ed uscì incontro a lui gridando: Osanna ! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele ! (Gv 12, 12-13).  Questo  versetto del salmo  117 apparteneva alla liturgia di Israele per i pellegrini, con la quale essi venivano salutati all’ingresso della città o del tempio. E’quanto dimostra anche la seconda parte del versetto: “Vi benediciamo dalla casa del Signore”. Era una benedizione che dai sacerdoti veniva rivolta ai pellegrini in arrivo nel tempio. Ma l’espressione “che viene nel nome del Signore” col tempo fu ampliata di significato, un significato messianico. Così, da una benedizione per i pellegrini, la frase fu trasformata dagli evangelisti in una lode a Gesù, che venne salutato come Colui che viene nel nome del Signore, come l’Atteso, l’Annunciato dalle promesse di Dio.

Dai vangeli si evince che la scena dell’ossequio messianico a Gesù si svolse all’ingresso della città e che i protagonisti non erano gli abitanti di Gerusalemme ma coloro che accompagnavano Gesù.
« Ultima modifica: Febbraio 27, 2014, 11:58:33 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #20 il: Febbraio 28, 2014, 07:44:42 »

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La palma e l'ulivo nella simbologia

L’iconografia cristiana rappresenta l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, contornato dai discepoli e dalla folla che posano sulla strada i loro mantelli e rami degli alberi di palma.
 


La palma evoca i simboli della vittoria, della gloria, dell’immortalità.
Gli Egizi l’associarono alla dea Hathor e alla fecondità.
I Romani rappresentavano la “Vittoria” con la dea Palmaris e, come i Greci, offrivano ai vincitori delle gare un rametto di palma.
Ancòra oggi si usa dire "conseguire la palma della vittoria".
Nella simbologia cristiana alcuni alberi evocano il Cristo ma soltanto la palma è collegata alla risurrezione di Gesù, considerato il primo martire.
Nelle catacombe cristiane ci sono epigrafi ed affreschi che rappresentano dei defunti con un ramo di palma, simbolo del martirio, dell’immortalità e della vittoria spirituale di chi è morto per la fede cristiana.
Spesso per evidenziare il senso della vittoria il ramo della palma veniva inciso su marmo oppure dipinto in affresco insieme al monogramma di Cristo: JNRJ (= "Gesù Nazareno Re dei Giudei").

L’ulivo. Per le religioni ebraica, cristiana e musulmana  l’ulivo è un simbolo di pace e di luce divina.
In Italia gli alberi di palma sono pochi,  sono invece diffusi gli uliveti, perciò nella
“Domenica delle Palme” ai fedeli  che si recano in chiesa vengono distribuiti rametti di ulivo.
Nella mitologia greca l’ulivo era l’albero sacro a Minerva, dea della luce e della sapienza. Con un ramoscello d’ulivo si cingeva la fronte dei valorosi condottieri ed era utilizzato come emblema dei trionfi.
Nell’Antico Testamento si parla di Noè che fa uscire dall'arca una colomba, che ritorna con nel becco un rametto d'ulivo, come segno della riconciliazione di Dio con l’umanità dopo il “diluvio universale.


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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #21 il: Marzo 02, 2014, 06:13:55 »
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Nella tradizione biblica ci sono tre festività ebraiche  che obbligano al pellegrinaggio nel Tempio di Gerusalemme: Pesach, Shavuot e Sukkot. Nella Torah è scritto:  "Tre volte l'anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto: nella festa degli azzimi - Pesach-, nella festa delle settimane - Shavuoth - e nella festa delle capanne: - Sukkoth - nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote". (Dt. 16,16)
Due di queste celebrazioni, Pesach e Sukkot, sono presenti nel Nuovo Testamento ma con diverso significato. Infatti Pesach da festa  per la liberazione dalla schiavitù ed uscita dall’Egitto divenne la Pasqua cristiana che simboleggia la liberazione dalla morte attraverso la crocifissione e risurrezione di Gesù Cristo. Invece il  ”Sukkot” (questa parola è il plurale del lemma “sukkah, che significa  capanna): commemora il viaggio degli Israeliti guidati da Mosé verso la “Terra promessa”. Durante la  loro quarantennale permanenza nel deserto, dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, abitarono nelle capanne o tende.

Nell’antichità nel periodo del Sukkot si festeggiava il raccolto finale prima dell’inverno. Nel  Levitico (23, 41-43)  è scritto: "E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all'anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d'Egitto".

La festa delle capanne dura otto giorni, sette in Israele. Il settimo giorno è denominato hoshanà rabà (= grande osanna). Nella lingua ebraica la parola  hoshanà (= “osanna”, significa “salva”) fu  festosamente gridata dai pellegrini  a Gesù  mentre entrava a Gerusalemme.  Tale omaggio evoca il profeta Zaccaria:  “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da E‘fraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra”(Zc 9, 9-10).

La profezia di Zaccaria che annuncia l’arrivo di un re di pace, è parzialmente citata dagli evangelisti Matteo (21,5) e Giovanni (12,5).
Marco  non dice che Gesù è re, come invece affermano Luca (19,38) e Giovanni (12, 13), ma si limita a narrare la calorosa accoglienza riservata a Gesù da un gruppo di persone mentre Egli entrava in città (Mc 11, 8, 9).

Alcuni studiosi pensano che l’entrata di Gesù in Gerusalemme non fu diversa da quella riservata ad altri rabbi. Col tempo, però,  nella riflessione dei discepoli, l’episodio fu enfatizzato.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #22 il: Marzo 03, 2014, 00:09:44 »
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L’evangelista Matteo narra  che mentre Gesù  entrava a Gerusalemme sul dorso dell’asino e contornato dai discepoli e dai pellegrini, delle persone chiesero: “Chi è costui ?” E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea”  (Mt 21, 10).   

Ma cosa fece Gesù dopo il suo ingresso nella città di Gerusalemme ?

Secondo gli evangelisti Matteo, Giovanni e Luca, Gesù entrò nel tempio e scacciò i profanatori. Invece Marco narra che Cristo entrò nel tempio. “E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, usci con i dodici (apostoli) diretto a Betania” (Mc 11, 11),dove fu ospitato nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. In quel tempo Betania era distante circa due miglia da Gerusalemme (Gv 11, 18),  oggi  ne è  diventata la periferia.

Il giorno dopo (Gesù) tornò nel tempio e cominciò a mandare fuori quelli che vendevano e quelli che compravano; “rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe” (Mc 11, 15). Gesù giustifica questo suo agire con una frase del profeta Isaia e la integra con un’altra frase del profeta Geremia: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri (Mc 11, 17; cfr Is 56, 7; Ger 7, 11). “L’udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo per farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento” Mc 11, 18).   

Secondo l’evangelista Giovanni il messia “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato’” (2, 15 – 16).

L’azione “purificatrice” di Gesù non fu un atto contro il tempio come luogo di preghiera. Il suo comportamento violento fu motivato dagli abusi, dall’uso improprio dell’area templare. Però l’agire dei cambiamonete e dei commercianti di bestiame era legittimo. Essi erano autorizzati dall’autorità giudaica perché ne traeva un profitto economico. 

L’ostilità di Gesù verso il potere religioso giudaico, la casta sacerdotale, accelerò la decisione del Sinedrio per la sua condanna a morte, a Gerusalemme.  In quel tempo la città aveva circa 120 mila abitanti.   




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« Risposta #23 il: Marzo 04, 2014, 08:17:27 »
Il Lunedì della “settimana santa”

L’evangelista Matteo narra un fatto straordinario accaduto il lunedì mattina mentre il Messia con i discepoli da Betània andava a Gerusalemme. Gesù “ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: ‘Non nasca mai più frutto da te’. E subito quel fico si seccò. Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti” […] (Mt21, 18-20)
Lo stesso episodio è descritto nel Vangelo di Marco (Mc 11, 12-14).

Invece Giovanni  descrive la cena avvenuta in quel giorno nella casa di Lazzaro. “Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.
Maria allora, presa una libbra di olio profumato(una libbra equivaleva a circa 300 grammi) di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: ‘Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri ?’. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: ‘Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me’.
Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.”
(12, 1 – 11).

Per l’evangelista Giovanni gli avvenimenti che accadono negli ultimi giorni di vita di Gesù hanno significati simbolici.

A Betania,  Gesù è l’ospite di Marta, di Maria e di Lazzaro. L’amicizia li lega; è a loro che spiega cosa significa parlare della “vita” e della “morte”.

Giuda, invece, pensa al costo del nardo,  avrebbe preferito venderlo per 300 danari da distribuire ai poveri. Ma Gesù approva la spontaneità di  Maria ed accetta di farsi massaggiare i piedi con quell'olio profumato.
« Ultima modifica: Marzo 04, 2014, 08:26:26 da dottorstranamore »

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #24 il: Marzo 05, 2014, 06:31:31 »
Martedì santo” e “Mercoledì santo”:  Gesù continua a frequentare il tempio ebraico di Gerusalemme per insegnare e discutere sia con i sacerdoti del sinedrio sia con gli anziani del popolo che tramano per ucciderlo. Ma in che anno accadde ? I Vangeli non lo dicono, ma affermano che Cristo fu crocifisso in un venerdì che in quel tempo coincideva con la Pasqua ebraica.

Sono possibili due date: Venerdì 7 aprile dell’anno 30, (corrispondente al 15 del mese di Nisan nel calendario lunare ebraico), oppure venerdì 3 aprile dell’anno 33, (14 del mese di Nisan).

L’incertezza tra il 14 ed il 15 del mese di Nisan è causata dagli scarsi dati cronologici e dalle contrastanti indicazioni nei Vangeli.
L’evangelista Giovanni dice che quell’ultima cena avvenne “Prima della festa di Pasqua[…]”(13, 1), ed aggiunge che nel giorno della morte del Messia era la Parasceve, cioè la vigilia della Pasqua ebraica, corrispondente al giorno 14 del mese di Nisan (19, 31). Invece  i tre  vangeli sinottici presentano l’ultima cena come cena pasquale, cioè nella data diversa di un giorno rispetto a Giovanni (cfr Mt 27, 62; Mc 15, 42; Lc 23, 54).

C’è anche da rilevare che i sacerdoti del sinedrio avevano in precedenza stabilito di non agire contro Gesù durante la festività (Mt 14, 2), allora perché lo avrebbero fatto arrestare proprio alla vigilia della Pasqua ebraica ?

I Vangeli sinottici (Mt 26, 27; Mc 14, 22; Lc 22, 7) informano che  quando Gesù fu catturato aveva già "celebrato la cena" insieme ai suoi apostoli, e che venne arrestato, processato e crocifisso  nel giorno della Pasqua ebraica. Invece Giovanni precisa che la mattina in cui il Messia fu giudicato da Pilato, gli Ebrei non avevano ancora “mangiato” (=celebrato) la Pasqua: “Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per contaminare la Pasqua” (Gv 18, 28).

Dunque Gesù aveva anticipato, rispetto ai Giudei, la Cena pasquale ? Ma per quale ragione ? E di quanto tempo ? Domande senza risposta !

Per superare l’antinomia tra Giovanni e gli altri tre evangelisti gli studiosi ipotizzano che in quell’anno Gesù anticipò la Cena pasquale. Ma è plausibile ? Forse Gesù scelse la tradizione dei Sadducei, che anticipava la “cena dell’agnello” al giovedì, quando la Pasqua, come quell’anno, cadeva di sabato ?

Comunque si siano svolti i fatti, la tradizione e la liturgia cristiane celebrano da secoli l’ultima cena e l’arresto di Gesù la sera del giovedì, la sua morte il venerdì.

Terminata la cena, Gesù scende con i discepoli nella valle del torrente Cedron, nel podere del Getsèmani, dove si ritira in preghiera. Nel frattempo l’apostolo Giuda Iscariota,che in precedenza aveva ricevuto 30 monete d’argento dai sommi sacerdoti per far arrestare Gesù, va ad informarli del luogo dove si trova Cristo per farlo catturare.

Anche l’arresto, il processo e la condanna di Gesù presentano incongruenze temporali. Secondo il Nuovo Testamento il processo si svolse in poche ore, con 6 sedute, anche in luoghi diversi, tra la notte e la mattina del venerdì: ci furono l’interrogatorio notturno di Gesù nel palazzo di Caifa; i due interrogatori davanti al sinedrio; due interrogatori da parte di Pilato e quello dinanzi ad Erode; da aggiungere: la flagellazione, il trasferimento di Cristo al Calvario e la crocifissione.

La sequenza del procedimento giudiziario iniziato di notte e condotto a termine in poche ore alla vigilia di quel sabato che coincideva con la Pasqua ebraica non è conciliabile con le norme del diritto ebraico di quel periodo.

Gli studiosi di storia del cristianesimo quasi tutti concordano per una diversa cronologia degli avvenimenti, basata sull’ipotesi che Gesù seguisse il calendario degli Esseni, secondo il quale la Pasqua cadeva di mercoledì. La Passione si sarebbe quindi svolta in più giorni e non solo dal giovedì sera al pomeriggio di venerdì. Tale spiegazione, se provata, risolverebbe le discordanze.

Gesù avrebbe celebrato la Pasqua il martedì sera (seguendo il calendario solare usato dalla comunità religiosa degli Esseni, in anticipo di tre giorni rispetto al calendario lunare ebraico); arrestato la sera successiva; processato dal sinedrio il giovedì e da Pilato il venerdì, quando si decise la condanna a morte.

1) Martedì sera (inizio del mercoledì secondo il computo ebraico): “Ultima cena”; arresto nel Getsèmani; interrogatorio da parte di Caifa, sommo sacerdote; rinnegamento di Pietro.

2) Mercoledì mattina: prima seduta del processo davanti al sinedrio. Gesù viene trattenuto in arresto e trascorre la notte nella prigione del palazzo di Caifa.

3) Giovedì mattina: nuova seduta del sinedrio per la sentenza di condanna. Prima udienza di Gesù davanti al governatore Ponzio Pilato, che invia Cristo da Erode; il Messia viene ricondotto nel palazzo del Pretorio.

4)Venerdì mattina: seconda udienza davanti a Pilato. Viene liberato Barabba e Gesù condannato alla crocifissione. “Erano le nove del mattino quando lo crocifissero” (Mc 15, 25)

Così ricostruita la Passione di Cristo diventa credibile.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #25 il: Marzo 06, 2014, 06:48:21 »
Giovedì santo

La Quaresima continua fino all’ora nona (ore 15.00) del “Giovedì santo”.

La mattina del giovedì santo  nelle chiese non viene officiata la Messa, perché in ogni diocesi ne viene celebrata soltanto una nella cattedrale. E’ La cosiddetta “Messa del crisma o crismale”,  che simboleggia l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo. Vi partecipano  i presbiteri ed i diaconi della diocesi. Durante la Messa il vescovo consacra gli oli santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi. Sono gli oli che  vengono usati durante l’anno liturgico  per i riti sacramentali.

Il vocabolo crisma deriva dalla lingua greca e significa unguento: olio misto a profumo che la Chiesa cattolica usa nel battesimo, nella cresima, nell’ordinazione sacerdotale dei presbiteri e dei vescovi.

La parola cresima deriva da crisma, e la Messa viene detta crismale  perché durante la funzione religiosa  viene consacrato anche quest'olio.

Il giovedì sera  viene celebrata la “Missa in coena domini” per ricordare l’ultima cena di Gesù con gli apostoli in occasione della Pasqua ebraica. La tradizione localizza il luogo del “Cenacolo” sul monte Sion, all’esterno della “città vecchia” di Gerusalemme.

Questa Messa vespertina commemora anche l’istituzione dell’eucarestia e dà inizio al triduo pasquale. Dopo l’omelia è previsto il rito della “lavanda dei piedi”.

L’apostolo Giovanni  nella descrizione di quella sera evidenzia che Gesù in segno di umiltà lavò i piedi ai suoi discepoli: “si alzò da tavola, depose le vesti e prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto (Gv 13, 4 - 5).
Nel brano della lavanda dei piedi l’evangelista Giovanni cita tre volte la parola “puro”, un concetto della tradizione dell’Antico Testamento: per  poter comparire davanti a Dio, per entrare in comunione con Lui l’individuo deve essere “puro” di cuore ed avere fede.

Dopo la pericope della lavanda dei piedi Gesù comincia a parlare di Giuda Iscariota. Giovanni riferisce che Gesù fu molto turbato e disse: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà” (13, 21). L’annuncio del tradimento suscita reazioni fra i discepoli. “Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: ‘Signore, chi è ?” Rispose Gesù: “E’ colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” (13, 23 ss).
Per la comprensione di questo versetto si deve tener presente che per la cena pasquale era prescritto ai partecipanti di stare sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato. Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo  davanti a Gesù, perciò vicino al suo petto.   

Gesù dice: “Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno” (salmo 41,10 e salmo 55, 14). E’ questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole del Vecchio Testamento Egli allude al suo destino.

L’evangelista Giovanni non dà alcuna interpretazione psicologica dell’agire di Giuda, ma ci dice che questo era il tesoriere del gruppo dei discepoli e che aveva rubato il loro denaro (12, 6). 
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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #26 il: Marzo 07, 2014, 00:33:13 »
/2

Quella probabile sera del 7 aprile dell’anno 30 dove avvenne l’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli ?

Dai Vangeli di Matteo, Marco e Luca si apprende che nel “primo giorno degli azzimi”, i discepoli chiesero a Gesù il luogo dove celebrare la Pasqua. Egli dette le indicazioni e mandò gli apostoli Pietro e Giovanni per i preparativi in un edificio che aveva al piano superiore una grande sala arredata con i tappeti, usati all’epoca anche come “divano” per la bassa mensa, sulla quale si poggiavano quei cibi previsti dal rito pasquale ebraico.

Nell’area dove la tradizione ha localizzato il “Cenacolo” forse c’era una locanda al tempo di Gesù. Poi, nel tempo, sul sito fu più volte ricostruito un edificio. Quello attuale è di epoca bizantina  però ai visitatori  vien fatto credere che il salone  che sia quello dove avvenne l’ultima cena di Gesù. Il primo piano viene venerato come “sala del Cenacolo”, invece il piano terra è adibito alla preghiera.


la cosiddetta “sala del Cenacolo”, in stile gotico...

I sovrani di Napoli Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca acquistarono l’edificio  nel 1333 dal sultano d’Egitto e, con l’approvazione papale, lo donarono all’Ordine Francescano. I frati racchiusero il santuario all’interno di un loro convento fino al 1551, quando furono costretti dai musulmani a lasciare questo “luogo santo” trasformato in moschea.



L'edificio detto "il Cenacolo" è l'ultima parte rimasta della chiesa bizantina e crociata. Al piano superiore c'è la cosiddetta "sala del cenacolo". Nella foto: ingresso al complesso di epoca ottomana.


Tre sono i ricordi evangelici più importanti legati al Cenacolo:l 'istituzione dell'Eucaristia; le apparizioni dei Risorto; la Pentecoste.

L’edificio è disputato da cattolici ebrei e musulmani.

Al tempo delle crociate venne diffusa la falsa  notizia che nel sottosuolo del fabbricato ci fosse la  tomba di David, re d'Israele, perciò il palazzetto divenne "luogo sacro" anche per gli ebrei, i quali al piano terreno fecero costruire il cenotafio di quel re, che viene onorato anche dai cristiani, perchè riconoscono in Gesù il compimento delle promesse messianiche collegate alla dinastia davidica.

Nel 1948-’49 durante la guerra arabo-israeliana per la Palestina i musulmani abbandonarono il complesso e da allora è occupato dagli israeliti, che hanno adibito il piano terra a sinagoga e ad una scuola religiosa ebraica (Yeshiva).  Ma ai cristiani è consentito l’accesso al piano superiore per la “memoria dell’Ultima cena”.
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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #27 il: Marzo 08, 2014, 07:27:47 »
L’ istituzione dell’eucarestia  ed il cerimoniale connesso furono  stabiliti da Gesù nella sua ultima cena, durante la quale affidò, a chi ci crede, la sua permanente presenza nei segni simbolici del pane e del vino.

L'evangelista Matteo racconta:”Ora , mentre mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: ‘Prendete e mangiate; questo è il mio corpo’. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.
Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. (26, 26-29)

Anche Marco dice che: ”Mentre mangiavano (Gesù) prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ‘Prendete, questo è il mio corpo’. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”. (14, 22-25)

L’evangelista Luca narra: ” Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: ‘Ho desiderato ardentemente di mangiare (=celebrare) questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finchè essa non si compia nel regno di Dio’. E preso un calice, rese grazie e disse: ‘Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio’
Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: ‘Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. (22, 14-20)

L’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi: ”Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me’. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me’. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga.” (1 Cor 11, 23-26)
Paolo inviò questa  “lettera” alla comunità cristiana di Corinto durante il suo secondo viaggio "missionario" effettuato dal 50 al 53. Il documento è considerato il più antico resoconto dell’istituzione dell’eucarestia, scritto circa vent'anni dopo quell'evento.
Nel linguaggio biblico la “nuova alleanza” si riferisce sia al patto tra Dio e l’umanità annunciato dal profeta Geremia (31, 31 – 34) sia all’alleanza  annunciata a Mosé sul monte Sinai.

L’evangelista Giovanni riferisce che “In quel tempo (nella sinagoga di Cafarnao), Gesù disse alla folla: ‘Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
Allora i Giudei si misero a discutere tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’
Gesù disse: ‘In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno’” (6, 51 – 58).

Al sacramento dell’eucarestia è dovuto il culto di latria, di adorazione, perché per la religione cattolica Dio è presente nell’ostia consacrata. Le discussioni teologiche sulla presenza di “Gesù-Dio” nelle particole cominciarono nell’undicesimo secolo. Per evitare la convinzione della trasformazione della materialità del pane nella materialità del corpo del “Signore”, alcuni teologi  attribuirono al pane consacrato  il valore della presenza simbolica di Cristo.  Anche i protestanti contestarono la pratica del culto del “santissimo” e dei segni di adorazione che si fanno davanti all’ostia consacrata, sostenendo che la presenza di Cristo è reale nella celebrazione eucaristica ma che non ha senso adorare l’ostia consacrata quando finisce la celebrazione della Messa.
Per i cattolici, invece, la realtà non è riducibile a ciò che si percepisce coi sensi, ma è  la fede che induce a credere e ad adorare Cristo nell’ostia consacrata. Essi credono nella “transustanziazione”, la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue.  Secondo la teologia cattolica la trasformazione avviene mediante l'azione dello Spirito Santo durante la preghiera eucaristica e la consacrazione dell'ostia da parte del sacerdote, però le caratteristiche del pane e del vino, cioè le “specie eucaristiche”, le ostie, rimangono inalterate.     

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #28 il: Marzo 10, 2014, 10:52:04 »
Ci sono alcune anomalie nel dipinto con la tecnica “a secco” realizzato da Leonardo da Vinci per rappresentare l’”Ultima cena” su una parete dell’antico refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, accanto all'omonima chiesa, a Milano.



In questa immagine Leonardo volle rappresentare il drammatico momento in cui Gesù annuncia il tradimento di uno degli apostoli: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse” (Gv 13, 21 – 22).
L’agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola,  ha le braccia distese,  è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.

Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello (come in altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena), s’inchina in avanti, con la mano sinistra scuote Giovanni chiedendogli:  "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24).

Se si guarda bene l'immagine quella mano col coltello crea problemi di attribuzione. L'apostolo Pietro (che era seduto nella terza posizione, nel posto dove apparentemente sembra esserci l'apostolo Andrea) viene raffigurato mentre si alza in piedi di scatto, aggira le spalle di Giuda e si accosta a Giovanni  per parlargli; Pietro indica Gesù con la mano sinistra tesa e vuol sapere il nome del colpevole, mentre nella mano destra  ha il coltello per uccidere il traditore, ma il braccio  è in un'anomala posizione perchè non ha fatto in tempo a seguire il movimento del corpo.

Continuando a contare i personaggi da sinistra a destra il quinto apostolo che appare nella sequenza (ma quarto nella posizione seduta) è Giuda  (davanti a Pietro), che con la mano stringe il sacchetto con i soldi ( "tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29) ed  indietreggia con aria colpevole, nell'agitazione rovescia la saliera. All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati  la loro incredulità. Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui c’è Filippo  che porta le mani al petto per confermare la sua devozione e la sua innocenza.

La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo: c’è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici,  non c’è calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell’ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27).

Sulla sinistra di Gesù  c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l’alto.  La sua figura è anatomicamente sproporzionata, ha un braccio troppo lungo, e pare collocata nell’unico spazio disponibile in modo un po’ forzato. Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera,  Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura,  perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.

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Re:da Carnevale a Pasqua
« Risposta #29 il: Marzo 11, 2014, 10:05:41 »
Giovanni nel suo vangelo  narra che dopo la lavanda dei piedi Gesù  parlò del suo  addio (capp. 14 e 16) e proferì la cosiddetta “preghiera sacerdotale” (17, 1 - 26) definizione del teologo luterano David Chytraeus (1530 – 1600).
 
Questa preghiera di Gesù è comprensibile sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr (= “giorno dell’espiazione), descritto nella Torah (Levitico, Esodo e Numeri). E’ il  giorno  ebraico della penitenza e del digiuno, dell’espiazione dei peccati e della riconciliazione con Dio. 

In tale giorno nel Tempio il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale  e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli.

La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del vangelo giovanneo riprende la struttura di questa festa. Cristo in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui(cfr Gv 17,20). La sua croce ed il suo innalzamento costituiscono il giorno dell’espiazione del mondo.

Al tempo di Gesù in occasione di questa festività religiosa ebraica descritta nel Levitico (16 e 23, 26 -32), il sommo sacerdote eseguiva alcuni sacrifici (due capri per un sacrificio espiatorio, un ariete per un olocausto, un giovenco). Egli doveva compiere l’espiazione prima per se stesso, poi per la classe sacerdotale di Israele  ed infine per tutta la comunità. Durante questi riti il sommo sacerdote pronunciava, l’unica volta l’anno, l’indicibile nome di Dio.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, evidenzia che il Nazareno mutò in preghiera il rituale del giorno dell’espiazione, la parola sostituì i sacrifici. Con l’istituzione dell’eucarestia Egli simbolicamente  trasformò la sua uccisione in “parola”, in auto-donazione come vittima sacrificale, offrì se stesso in espiazione, caricando su di sé l’iniquità di tutti.