La prima volta che l'ho conosciuto girava per la piazza in pantaloncini corti e torace nudo. Alto quanto un palo del telegrafo, magro, capelli bianchi e una disperazione profonda. Girava di qua e di là, chiedendo a tutti dove fosse la moglie, aveva perso la moglie, dove era finita la moglie, era rimasto solo, mi sono perso, lei si è persa, ma dov'è?
Lo portai per mano nel mio ufficio, che allora dava direttamente sulla piazza ed era a piano terra. Lo feci accomodare, gli parlai per calmarlo e gli diedi da bere. Mai capito perchè a chi è agitato si dia dell'acqia da bere, non so se sia tradizione o se veramente funzioni, comunque lui parve calmarsi.
Gli dissi che la moglie forse era a fare la spesa e un sacco di altre cose, ma dove vuole che sia finita, ora tornerà di sicuro, ma siete usciti insieme, quant'è che non la vede...insomma esibii tutto un repertorio di buona volontà. Poi arrivarono gli infermieri di psichiatria e lo portarono con sè, era un loro paziente che uscito di casa aveva perso le coordinate.
Da allora spesso si fermava a chiacchierare, era una persona di buon cuore, che dava ogni tanto i numeri, quelli che l'età e i trambusti della vita gli avevano sottratto e a volte aggiunto. Eravamo d'accordo che saremmo andati a ballare la lambada, era diventata quasi una parola d'ordine, un gioco che solo noi due capivamo, era come lo stringersi la mano e salutarci.
A volte arrivava la moglie a recuperarlo, una donna che più o meno pareva un Tir, ma dolcissima, bionda e con due occhi protuberanti azzurro slavati. Era brasiliana, ma era tutto fuorchè sembrare una brasiliana dei film. Purtroppo la lambada non l'abbiamo mai ballata. Ernesto rimase secco nel letto per un ictus, in una giornata di fine estate. Ieri ho visto in necrologio della moglie, e così si chiude un altro cerchio. Chissà se ora Anna lo va a recuperare in mezzo alle nuvole, o lui balla la lambada con qualche santa vergine e martire.