Si guardò nello specchio e vide una faccia strana. Quegli occhi un po' spenti. Agli angoli le labbra piegavano mestamente verso il basso. Il naso era rimasto quello di sempre. Pallida senza trucco, doveva usare il pennello del fard dall'alto verso il basso per ammorbidire la sporgenza degli zigomi.
Quella mattina si guardò a lungo. Sembrava non volersi staccare dallo specchio. Più l'immagine che vedeva riflessa le risultava estranea e più sembrava quasi ipnotizzata a scrutare ogni piccolo particolare che potesse ricordarle quella che era stata. La mano destra si mosse verso la guancia come in una carezza. Le dita prima accarezzarono piano poi, di punta, coi polpastrelli, puntellarono la carne , quasi a volerla penetrare, non con forza, ma decisi a non lasciare la presa. Quando la pressione diventò dolore, incominciarono a scivolare verso l'alto con la stessa decisione deformando l'espressione del viso. L'occhio si chiuse, stretto, incapace di opporsi a quel movimento lento, tenace, progressivo.
Si guardò ancora come all'inizio. Si costrinse a guardarsi con un unico occhio. Vide tutto diverso. Come sarebbe stata la sua vita se avesse visto con un solo occhio? Si riesce a vedere ogni cosa anche se la prospettiva cambia, le percezioni si impoveriscono, le posizioni vengono alterate. Però avrebbe comunque visto. Questo è il bello di possedere due occhi, due orecchie, due narici. Mancando uno dei due si riesce comunque a vedere, ad udire, a respirare.
Era quello che vedeva che appariva grottesco. Un viso deformato per la pressione delle tre dita centrali della mano destra. Un viso che non aveva più nulla di umano. Un viso che doleva, tirava, perdeva colorito in alcuni punti, concentrando un rossore innaturale in altri. Il labbro aveva perso la consueta piega verso il basso e sembrava volesse ridere ma si componeva in un riso beffardo, innaturale, brutto.
Una metamorfosi vistosa, voluta. Sembrava volesse farsi male. Quel modificare l'espressione del volto deformandola fino a renderla irriconoscibile era l’esasperazione dell'espressione già deformata dal passare del tempo. Quel farsi male era il ripetere voluto di quel dolore già subito nella realtà per non essere più né bella né giovane. L’occhio chiuso le faceva vedere la realtà da una visuale completamente diversa dal consueto, peggiore ma non impossibile. C’era in quel compiacimento di deformarsi il viso una specie di rassegnazione attiva. Se il tempo l’aveva cambiata così tanto, lei poteva, con il solo movimento delle dita cambiarlo ancora fino a renderlo brutto. Una masochistica azione tesa a cambiare l’involucro esterno per comprenderne gli effetti sulla propria interiorità. Avrebbe potuto anche vedere con un solo occhio, udire con un solo orecchio senza che nulla cambiasse la sua anima. Ciò che poteva cambiare era solo la sua percezione del mondo che già era cambiata per il lento ed inesorabile effetto del tempo passato.
”E' strano lo specchio”, pensò, “una superficie piana capace di rimandare un'immagine fedele a ciò che riflette.
Riflettere.
Flettere due volte.
Un'immagine.
Un pensiero.
E farlo e rifarlo ancora.”
Si sentì, in quei pensieri, simile a quello specchio. Capace di riflettere l'immagine che aveva di fronte, uguale a come era diventata.
Quanto tempo era passato da quando quello stesso specchio le aveva detto l'ultima volta di essere bella e giovane?
Tanto quanto quel viso e quel corpo avevano impiegato a mutare.
E allora che differenza mai poteva esserci fra la sua pelle e quella superficie che la rifletteva?