Nicola si porta la mano alla bocca. Sull’anulare, al posto della fede, ha tatuate tre lettere. ASR. Perché lui sa che nella vita potrà cambiare cento volte lavoro, potrà abitare in mille posti diversi, persino con la sua donna potrà non essere per sempre amore. Ma la Roma, no. La Roma è una fede. E’ dentro di te da quando nasci come una marcatura cromosomica. Più che amore è necessità. E’ come l’aria che respiri e l’acqua che bevi. Nicola ha macinato chilometri per essere qui stasera. Qui a Brescia, fucina di donne facili e vuote, scherno dei milanesi, buone per ballare sui cubi delle discoteche. Ma lui di bresciane non ne ha incontrate. Lui è dentro il Rigamonti già da tre ore, nel settore ospite. Ospiti? Nemici. Lui è oggetto di insulti e obiettivo di sassaiole. E’ qui per gridare col cuore. Per celebrare la sua fede, per sostenere una squadra che è il cuore pulsante di un popolo. Populus Romanorum. La sua Roma è in difficoltà, deve rialzare la testa e dimostrare l’orgoglio. Nessun gemellaggio. Solo Nemici. Non ha caso, sulla sciarpa di Nicola c’è scritto ODIO TUTTI. Nicola guarda incredulo Philippe, il francese trasteverino, a cui viene mostrato il rosso. Un rosso evidenziatore che colpisce al cuore quando si eleva dalla mischia di uomini in calzoncini. Sulle teste dei nostri e degli avversari. Marco è sul divano di casa, davanti al quarantaduepollici, a vedere la sua Roma in HD, a sentire avvelenato quei due idioti di Sky che sebbene mandino e rimandino le immagini del gesto atletico di Mexès, continuano a dire che il fallo c’è. Ma quale partita state vedendo? Ma chi vi paga? Il commento tecnico è di Di Biagio. Il supplì con le braccia, lo chiamavano quando giocava. E’ sempre stato un ibrido. Uno che ha giocato con la Lazie non può vestire la maglia amaranto di Roma. Non ne è degno. E poi se ne è andato all’Inter. E al Brescia stesso. No. Marco vorrebbe sapere chi sceglie i commentatori a Sky. Pecore alla corte dei padroni nordisti. Marco ha iniziato da bambino ad andare allo stadio. Suo padre aveva il cuore grosso. Mezzo giallo e mezzo rosso. Suo padre gli ha instillato l’amore febbrile per questi colori. Il gusto di quanto lo Stadio Olimpico (e per una stagione il Flaminio) possa essere un luogo intimo sebbene pieno di centomila cuori. Di quanto l’amore paterno e filiale abbia avuto espressione su quegli spalti. Delle loro chiacchierate prima della partita, dei loro abbracci ai gol su punizione di Agostino. Allo scudetto di Falcao. Ai loro pianti col Liverpool. Da quando suo padre non c’è più, Marco ha smesso di andare allo stadio. Gli fa troppo male, andare solo, senza di lui. Ma la Roma ti è dentro e non puoi ignorarla. E allora ecco che ti abboni perfino ad una televisione di palta pur di vederti la tua Roma. Vicino a Marco, sul divano blu che sembra una graticola, è seduto Stefano suo figlio adolescente. La tradizione e l’amore per quella maglia continua. Marco è un tifoso critico. Uno che si lamenta, e che raramente si esalta e gode. E se lo fa, lo fa dentro di sé. Perché le cose belle te le porti dentro e non hai bisogno di urlarle agli altri. Sono perfette e ti riempiono. Lo ha fatto allo scudetto di Capello. Quella della Roma che ti faceva godere come un riccio. Quella che dopo il fischio finale del 17 giugno, ha fatto abbracciare ancora idealmente Marco e suo padre. E Marco si è sentito meno solo. Anche Tonia è davanti alla tv, col suo fido Cesare ai piedi. Sebbene il francese non sia proprio il suo tipo (il suo tipo è quel fico di Mirko, che Marco invece vede bene con un gancio in mano a prendere la roba dai cassonetti), Tonia non può fare a meno di ammirare Philippe. I pettorali tesi, compatti. La rabbia negli occhi del francese de Roma. Nicola, Marco e Tonia in quel momento sono Phil, muovono ogni suo gesto. Condividono lo stato d’animo. La rabbia. Quella faccia da beota pugliese di Ayroldi. Quella da tonno spocchioso di Russo. E’ proprio vero che i pugliesi sono tutti infidi. Non ne esiste uno buono, dice sempre Marco che nella vita ne ha incontrati tanti. I pugliesi sono tutti juventini, ciuccia piselli di tutta quanta la famiglia degli agnelli. Due pigne bene assestate in faccia a quella corte di pecore della cupola, le avrebbe date Philippe, le avrebbero date Marco, Tonia e Nicola. Le avrebbero date un milione di braccia. Le braccia di un’intera città. Del suo popolo, il popolo giallorosso. Stufo di essere preso per il culo.