Se l’Egitto esplode? Le ragioni della crisi.
L’analisi storica
Miṣru, Egitto, in lingua accadica (il semitico parlato dai popoli della Mesopotamia, dagli Assiri e dai Babilonesi), significava “terra di confine”, ma anche “guardia” o “sentinella”.
Questo è l’Egitto, da sempre, una nazione che si colloca tra l’Asia (la penisola del Sinai, riconquistata agli israeliani nel 1973 con la guerra del Ramadam o del Kippur, condotta unitamente alla Siria) e l’Africa. La sua storia ha origini lontanissime: comincia con Faraoni a partire dal 3100 a.C., per proseguire con i greci, i romani, gli arabi, i mamelucchi, gli ottomani e, in tempi più recenti, francesi (Napoleone Bonaparte) e inglesi.
E’ ovvio concludere che l’Egitto si è arricchito nei secoli, fondendo sapientemente tutte le culture che via via incontrava e che metabolizzava nel tessuto sociale.
Una caratteristica, questa, che tuttavia è diventata una delle sue tante debolezze strutturali.
Nella storia più recente, quella che fa riferimento al periodo successivo il 2° conflitto mondiale, il Paese delle Piramidi e del Nilo, ha dovuto lottare strenuamente per liberarsi in maniera definitiva dal giogo politico-economico esercitato da Inghilterra e Francia, che ne limitavano la sovranità, attraverso il controllo diretto di alcuni ministeri dell’Egitto di Re Faruq I.
I governi che vennero successivamente alla deposizione della dinastia Mehmet Alì Pascià (dalle lontane origini albanesi), segnatamente quello di Anwar al-Sadat (che governò per un decennio), Ḥosnī Mubārak (rimasto saldamente al potere per ben trent’anni) per giungere sino a quello attuale di Mohamed Morsi, si sono sempre dovuti dibattere tra panarabismo e cultura occidentale, con tutto ciò che ne consegue in ambito internazionale.
L’Egitto oggi
La situazione di forte destabilizzazione politico-sociale che sta vivendo in questi giorni l’Egitto, ha la sua radice non solo nelle scelte di schieramento fatte negli ultimi periodi e che hanno indirizzato il Paese verso una islamizzazione della società, seppure in maniera “morbida” e graduale, orchestrata dai “Fratelli musulmani”, che sostengono l’attuale presidente, ma anche dalle scelte di politica economica (il welfare in stile egiziano) che sta dilapidando progressivamente la riserva in moneta pregiata dell’Egitto. In buona sostanza, il presidente Morsi si ostina nel portare avanti una politica dei “prezzi imposti” sul mercato nazionale, che non tengono conto dei reali costi di produzione per le aziende e svincolati dalla realtà dei mercati internazionali. In questo modo, è pur vero che, ad esempio, la spesa dei cittadini per l’energia elettrica è certamente bassa (sia che appartengano alle classi povere sia che, invece, appartengano alle classi più ricche). Ancora, per mantenere contenuti il prezzo dei prodotti derivati dai cereali, l’attuale governo egiziano continua a coprire le differenze dei costi facendovi fronte con la valuta pregiata (una riserva oggi stimata intorno ai 14 mld di dollari, contro i 35 del 2011).
A questo si aggiunga la profonda crisi che sta vivendo il settore turistico, la fonte principale per l’Egitto di valuta pregiata, iniziata con le agitazioni popolari del gennaio 2011, che hanno prodotto la caduta del regime di Mubārak, al potere senza soluzione di continuità da trent’anni.
Anche il settore della produzione elettrica, compreso quello dell’estrazione del gas (dove è presente l’Italia con l’ENI in associazione con la spagnola Repsol), si avvertono forti riduzioni in relazione all’esaurimento oramai prossimo dei giacimenti sfruttati da troppo tempo e la mancanza di fondi per la ricerca di nuovi. Attualmente l’Egitto, per far fronte alla attuale crisi economica, ha interpellato nell’ordine il Fondo Monetario Internazionale, dal quale arriveranno 5 mld di dollari; la Comunità Europea, che non concederà nessun aiuto, sino a quando il Paese non avrà stabilizzato l’attuale crisi politica (mai superata in effetti dal 2011) rivedendo la sua attuale politica; la Libia ha messo a disposizione una cospicua quantità di barili di petrolio oltre ad una generosa fornitura di gas, per aiutare l’Egitto a superare l’attuale momento di grave difficoltà economica.
Ma la situazione economico-sociale, nonostante una politica di tipo assistenziale verso le classi meno abbienti, non migliora e, anzi, paradossalmente ha contribuito a innescare due situazioni che concorrono, insieme, a condurre il paese verso il baratro politico-economico e sociale: la fuga degli investitori internazionali, con la conseguente anemizzazione dell’economia e il sollevamento di quella parte di elettori egiziani da sempre contrari alla politica dei “Fratelli musulmani”, coloro cioè che vorrebbero l’instaurazione di una repubblica teocratica che si fonda sull’applicazione della shari’a (la legge coranica), più vicina alle istanze jihadiste, oggi sostenute dalla Repubblica musulmana dell’Iran.
Quindi, le regioni della “Primavera araba” sommate ad una situazione economica in rapido deterioramento, stanno destabilizzando il Paese spingendolo verso il “punto di non ritorno”, a meno che gli Stati Uniti, la Comunità Europea e, non ultimo, il Fondo Monetario Internazionale, in uno sforzo corale e tempestivo non riescano a invertire innanzitutto l’attuale tendenza per l’Egitto, ma anche per l’intera area del vicino oriente e di quella del maghreb.
L’ultimatum al governo Morsi
Nel corso della crisi del governo Mubārak, furono i militari a decidere il destino del rais intimandogli di lasciare il potere e di consentire nuove elezioni, dal cui risultato sarebbe scaturito il nuovo esecutivo che avrebbe dovuto apportare profonde innovazioni costituzionali, allo scopo di rinnovare il Paese e farlo uscire definitivamente dal “periodo di emergenza” che lo aveva caratterizzato sin dal 1981, a seguito dell’assassinio di Anwar al Sadat.
Anche in queste ore la storia egiziana, quasi ripercorrendo un copione che non prevede alternative, vede i militari protagonisti delle scelte politiche, che si concretizzeranno nel breve futuro.
Il Presidente Morsi, nel corso di una lunga telefonata, è stato invitato dal collega Obama a dare corso alle richieste della Piazza. Ma sino ad ora nulla di fatto, se non una presa di posizione da parte di Morsi nei confronti del Capo di Stato Maggiore della Difesa egiziana, per ricordare a tutto il suo popolo (militari compresi) che lui è stato eletto democraticamente e che pertanto non rimetterà per ora il suo mandato. Mohamad Morsi, in un comunicato dell’ultima ora, ha dichiarato testualmente: "Violare la legittimità costituzionale minaccia la pratica della democrazia". Quindi si rende disponibile ad un governo di coalizione per arrivare alle prossime legislative e alla formazione di un commissione indipendente, per la modifica della costituzione da sottoporre al nuovo parlamento.
La Fratellanza araba
L’emiro del Qatar Hamad al-Thani, sognava una “primavera araba”, non violenta, ma tuttavia capace di espandersi pacificamente in tutti i paesi di cultura araba. La cosiddetta “Fratellanza araba”, che attualmente sostiene anche Morsi, avrebbe dovuto realizzare una politica più moderna, attraverso un Islam moderato e, necessariamente, in contrapposizione alle istanze rappresentate nel mondo arabo dai Salafiti e dai Qaidisti.
In ultima analisi, per comprendere meglio quali sono le ragioni ultime che stanno portando allo scontro nelle piazze egiziane decine di migliaia di cittadini, si deve tenere ben presente quali sono i giochi di potere che stanno all’origine dello scontro oggi in Egitto, ancora solo ieri in Tunisia, Algeria, Marocco e Siria. In buona sostanza, tutta l’area nord africana, del Maghreb e del vicino Oriente è in fermento poiché è qui che si realizzeranno i cambiamenti epocali che molti chiedono, ma che non tutti vorrebbero vedere realizzati. Uno scontro che vede di fronte, ancora una volta, il mondo arabo legato alla shari’a, quindi estremamente ortodosso, e quello panarabo della “Fratellanza araba, meno intransigente e aperto verso la cultura occidentale.
Uno scontro di religione oltre che di scelte politiche e sociali, dal quale emergerà una società sicuramente cambiata. Non sappiamo, però, se in meglio.