La pacchia era finita.
La cara vecchia prof. Balzano si sarebbe occupata solo di storia.
Lei, che ci interrogava mentre leggeva le bollette dell'Enel. Lei, che ci chiedeva come usare la webcam per vedere suo figlio Giuseppe in America. Lei, che dopo quattro anni ancora confondeva i nostri cognomi.
Lei, che osò mettermi un bel "non classificato" in pagella al terzo anno, e fu la comica della classe per tutto il quadrimestre successivo.
Iniziammo a rimpiangerla appena il nuovo professore di Italiano si fu presentato.
Bassino, barbetta bianca, capelli elettrizzati bianchi, occhi profondi, un difetto di pronuncia con la s marcata e lo sguardo di chi ha intenzione di farti filare diritto.
«Se non vi piaccio ditemelo ora. Faccio domanda per un'altra classe. Siamo d'accordo?»
Senza dubbio la presentazione più amichevole del mondo.
Però non era tanto male, Raf. Ogni tanto, anzi spesso, Raf parlava in napoletano col suo marcato accento torrese. Non ridere era una sfida, ma eravamo costretti a superarla.
Purtroppo ero la sua beniamina, in un certo senso. Gli altri lo capirono subito, e ad ogni interrogazione mi pregavano come se fossi la Madonna di Pompei.
«Che domande mi farà? Come diavolo glielo spiego sto concetto? Perchè non ti fai interrogare tu?»
La cosa aveva ben poco di vantaggioso. Soprattutto quando interrogava me.
Ricordo che una volta volle essere buono, così chiese ai prescelti di parlare di un autore a piacere.
Venne il mio turno. Già ero pronta per Pirandello.
«Sorrentino» disse.
«Sì professore»
«Voglio fare un tour»
Cazzo vuoi fare?
«Che intende professore?» domandai pallida, mentre sentivo gli occhi di tutti addosso.
«Vorrei che cominciassi dal Verismo fino ad arrivare all'ultimo argomento» esordì. Avevamo studiato il Verismo non so quanto tempo prima. «Però non voglio sentire le solite pappardelle. Dimmi i punti chiave di ogni corrente studiata, confrontamele fra loro, fammi capire le ssssfrumature tra un passo e l'altro, poi portami ad esempio i maggiori esponenti, parlandomi solo dei loro tratti veristi, decadenti, ecc.»
La classe aveva trattenuto il fiato. Io pure. Non dimenticherò mai quella domanda.
Brutto bastardo. Fu il mio primo pensiero. Trassi un respiro e iniziai ad accontentare sua Eccellenza. Mi mise otto. Quando andò via alcuni miei amici mi confessarono di "non aver capito la domanda".
Ricordo che un giorno, mentre spiegava il relativismo, prese una penna.
La alzò, la lasciò cadere e non disse nulla.
«Pcchè a penn car?» "Perchè la penna cade?"
Io e la mia compagna ci davamo dei pizzicotti per non ridere.
Ricordo quando ci insegnò a scrivere i Saggi Brevi, ricordandoci di quali punizioni infernali avrebbe dato la Commissione d'esame a chi l'avrebbe scelto e sbagliato.
Tutto sommato era proprio un tipo comico.
Ricordo anche il giorno in cui, mentre tutti uscirono dalla classe, mi chiamò in disparte.
«Dorotea» non mi aveva mai chiamato per nome «all'esame non sarò in commissione. Scrivi un saggio breve. Devi avere 15 alla prova di italiano, 'e capit?»
«Si professore. Aggia capit.»
Fu strano parlarsi in modo più sciolto.
All'esame di Stato ebbi 15/15 alla prova di Italiano, con tanto di complimenti.
Andai a fargli visita dopo l'estate, mentre era alle prese con una nuova classe che probabilmente lo stava giudicando male come avevamo fatto noi a nostro tempo.
«Professò! 15! Avit vist?»
«E brav! E mò ch vuò?» mi disse sorridendo.
I ragazzini ci guardavano perplessi. Scoppiai a ridere. Ora potevo farlo tranquillamente.