Il mercante di stoffa Mikhail percorreva la stessa strada da trent'anni.
Si svegliava prima dell'alba, nella sua villetta a Kubinka, accendeva la pipa e aspettava il sorgere del sole. Una volta pronto partiva in sella al suo cavallo alla volta di Mosca. La sua vita era un grigiore: le solite stesse faccende dall'alba al tramonto. E i giorni meccanicamente passavano e la lancetta dell'orologio compiva i suoi giri non sembrando né fermarsi né accelerare. La strada che portava a Mosca era di terra battuta con qualche sasso sparso di qua e di là. Prima della città si poteva scorgere una collina con uno stagno dall'odore nauseabondo. Dietro la collina una distesa di verde, un ponte e la città.
Mikhail portava le sue stoffe fino al mercato in centro, racimolava qualche soldo e tranquillo ritornava a casa. Viveva da solo: la moglie morta di tubercolosi anni prima e i due figli che lavoravano a San Pietroburgo sembravano essersi dimenticati di lui. Giorno dopo giorno non viveva più la sua vita. Era morto anche lui con la moglie in quell'autunno maledetto. A volte si sentiva così solo che non aveva voglia di mangiare. Tornato a casa si sedeva sopra la sua poltrona e osservava la siepe del suo giardino, sempre incolta.
Tutto questo per trent'anni.
Ma un giorno di primavera fu preso da un improvviso malore. Era lì sulla poltrona nella sua villetta e ansimava, vedeva la morte. Aveva paura. Stava morendo. Negli ultimi attimi di vita rimasti gli passarono davanti quei 30 anni. Tutti quanti. Danzavano intorno ai suoi occhi, entravano nella sua mente e rimbombavano nel suo cervello. Pensò alla moglie, pensò a Kubinka e a Mosca e a quella vecchia strada di terra battuta che per 30 anni gli aveva fatto compagnia.
Ripensò a ogni singolo sasso di quella strada, al suo cavallo dal passo lento e alla collina. Non voleva morire. Aveva troppa paura della morte: aveva sempre paura di qualcosa che non fosse il suo ritmo regolare. Durante gli ultimi battiti il suo cuore pensò alla collina e alle distese verdi e al ponte innevato. Non voleva andarsene.
Aveva nostalgia persino dell'odore nauseabondo dello stagno che, adesso, sembrava il più bello e il più profumato odore di vita. Una vita nauseabonda la sua, monotona, piena di così tanti rimpianti che non riusciva a ricordarli in quei brevi attimi. Aveva ancora voglia di vivere e di ripercorrere quella strada. Ripensò ancora ai sassi, al cavallo, al ponte e allo stagno. Poi tirò un ultimo respiro e si consegnò in lacrime alla signora nera.