“…Il tempo ci porta
fin dove si inventa una memoria…”
La vianova!
Era la strada sterrata che sobbalzava dal paese in collina fino alla piana del Tavoliere… polverosa cosparsa di sterco di cavallo e sassi d’ogni dimensione Nei tratti piů prossimi al paese affollata di animali… cani gatti porci cavalli asini muli galline tacchini oche pulcini con chiocce…talvolta serpentelli innocui regolarmente classificati quali vipere e valorosamente schiacciati da scarpe chiodate.
Coloro, pochi, che possedevano un’automobile, si equipaggiavano convenientemente prima di intraprendere la traversata sulla vianova: spolverini lunghi fino alle caviglie, copricapo in pelle da pilota anni venti, occhiali da motociclista… Chi li avesse visti toccare il suolo terrestre dopo un viaggio anche breve, magari all’imbrunire, si trovava faccia a faccia con una comitiva carnevalesca di fantasmi d’altri pianeti Borotalcati e con qualche imbarazzante traccia di materiale organico da vomito sugli spolverini Visi pallidissimi, occhiaie profonde e violacee: gli effetti della frenetica danza tra e sulle buche della vianova sfasciacarrozze.
Tra due tratti quasi paralleli di vianova, uniti da un largo tornante in discesa, sorgeva il palazzo di don Vincenzo e subito piů in basso, fino alla curva “ sott’a l’ulm’ ”, si estendeva il vasto oliveto di proprietŕ dello stesso don Vincenzo.
L’olmo alla curva non c’era piů!… Doveva essere stato un albero maestoso per aver lasciato traccia del suo essere stato: frescura al viandante, ombrosa casa di uccelli e cicale, da provar turbamento al pensiero della sua secolare etŕ recisa.
Don Vincenzo aveva un grande amore per i fiori Considerava l’oliveto piů un giardino che un luogo di produzione agricola Si riforniva di bulbi e semi dalla ditta Sgaravatti o fin direttamente dall’Olanda E l’oliveto era affidato ad un vecchietto, z’ Rafačl’, che proveniva da chissŕ quale altro paese… piccolo e tanto vecchio, z’ Rafačl’, che a mala pena poteva badare esclusivamente ai fiori Cosě che di olio se ne produceva poco e di cattiva qualitŕ… ed anche il giardino, invero, era un po’ arruffato, ma con rovi di rose perfettamente potati e privi di parassiti.
E z’ Rafaele, oltre che piccolo e vecchio, era anche cosě povero che don Vincenzo non se la sentiva di mandarlo via… Sě!… avrebbe potuto solo mandarlo via!, ché non era infatti possibile procedere a licenziamento in quanto z’ Rafačl’ non era un dipendente, e non percepiva un regolare salario… Era quasi un ospite!
Viveva miseramente e ci chiedeva sempre delle pezze “ come sonza sonz’ ”, nel suo linguaggio di chissŕ quale paese perduto E le pezze servivano a rattoppare i suoi indumenti che doveva aver riparati tante di quelle volte che ora dei suoi pantaloni non era piů possibile riconoscere la stoffa originaria, né per qualitŕ, né per colore.
Era “evangelista”, z’ Rafačl’.
Nessuno capiva cosa significasse essere evangelisti e forse nemmeno a lui doveva essere molto chiaro il concetto… ma non andava in chiesa Leggeva la Bibbia e officiava messe solitarie nella casetta degli attrezzi.
In un qualche modo, a modo suo, z’ Rafačl’ dava scandalo. Certamente comunque, quasi inconsciamente z’ Rafačl’ esprimeva cosě una sua silenziosa, dignitosa protesta.
E un giorno arrivň un suo parente, chissŕ da dove.
Nessuno aveva mai pensato che potesse avere parenti o, quanto meno, parenti che si ricordassero di lui E il parente invece c’era e se lo portň via con sé, con tutto il suo avere che ci stette largo in una bisaccia. In piů, fuori bisaccia, portava via un ombrello e tre polli legati alle zampe… il quarto dei suoi quattro polli era stato sacrificato per festeggiare l’avvenimento.
Si allontanavano a piedi verso la stazione ferroviaria galleggiando sulla vianova Miraggio vibrante di luce calore e polvere sotto uno sguardo velato di commozione.
Anche z’ Rafačl’ č passato su questo mondo.
Posso testimoniarlo!
Ho bevuto acqua fresca dalla sua “cecina” … e qualcosa ho bevuto anche da lui.