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In epoca paleocristiana il matrimonio non era considerato un sacramento dalla Chiesa ed i suoi fedeli celebravano le nozze secondo il diritto romano e col rituale usato dai cosiddetti “pagani”, anche perché l’organizzazione ecclesiale ancora non aveva un proprio rito canonico per l'unione della coppia.
Poi nei secoli successivi vennero fissati i criteri fondamentali dell’istituto matrimoniale cristiano. Dal rituale delle nozze fu eliminato sia il sacrificio di un animale in onore degli dei sia la presenza dell’haruspex, che non era un sacerdote ma un indovino esperto del rituale. Egli esaminava le viscere degli animali sacrificati, in particolare fegato ed intestino, per trarne presagi, auspici, responsi da parte delle divinità invocate.
L’haruspex fu sostituito con un presbitero quando questo ruolo cominciò a delinearsi, però questo si limitava a benedire gli sposi, che esprimevano la loro volontà di essere marito e moglie. Il cristiano poteva sposare una pagana e viceversa. Successivamente, però, la Chiesa proibì i matrimoni misti.
Fu Agostino (354 – 430), vescovo d’Ippona, il primo teologo a considerare il matrimonio un sacramento istituito da Cristo. Nel “De nuptiis” (11) e nel “De bono coniugali”(24, 32) scrisse che lo sposalizio è giustificato da tre funzioni: proles (procreare i figli), fides (essere fedeli per evitare l’adulterio) e sacramentum: l'indissolubilità del matrimonio come unione divina voluta da Dio fin dall’inizio del creato. Infatti nel libro della Genesi (1, 27 e 2, 24) ci sono alcuni elementi riguardanti la complementarietà dell’uomo con la donna e l’indissolubilità del vincolo coniugale.
Pure nei Vangeli di Matteo (19, 1-11), di Marco (10, 1-12) e nella Lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini (5, 22-32), c’è il fondamento della sacralità e dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, che nel 1215 fu regolamentato nella parte liturgica dal Concilio Lateranense IV, e nel 1439 per gli aspetti giuridici nel Concilio di Firenze.
La Riforma protestante contestò la natura sacrale del matrimonio. E Martin Lutero considerò ammissibile il dìvorzio nei casi di infedeltà, impotenza, rifiuto di rapporti sessuali, ed abbandono. Egli difese la possibilità di nuove nozze per il partner offeso.
Filippo Melantone, discepolo di Lutero, limitò il divorzio all'infedeltà ed all'abbandono. Anche i riformatori Calvino e Beza permisero il divorzio dopo l'adulterio del partner.
Per reazione alla liberalità protestante, nel 16/esimo secolo la Chiesa cattolica nel Concilio di Trento fece elevare a legge canonica l'indissolubilità del matrimonio cristiano. Divorzio e nuove nozze furono ufficialmente banditi anche nei casi di adulterio.
I documenti del magistero della Chiesa, la teologia e il Codice di diritto canonico descrivono il matrimonio come un patto coniugale con cui un uomo e una donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole. Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità. E tra due battezzati il patto coniugale, espresso con un valido consenso, è indissolubile ed è sacramento.
La Chiesa cattolica è contraria allo scioglimento del vincolo matrimoniale ma non alla nullità del matrimonio, che può essere decisa dal secolare “Tribunale della Rota Romana”, nota come ex “Sacra Rota”, se ci sono i presupposti previsti dal Codice di diritto canonico.
La dichiarazione di nullità è diversa per l'ordinamento canonico e per quello civile. Quindi una coppia può ottenere il divorzio dallo Stato italiano, ma non avere la dichiarazione di nullità dalla Chiesa cattolica. Potrebbe avvenire anche il contrario: la Chiesa riconosce la nullità di un matrimonio, ma la legge dello Stato italiano non accetta tale sentenza. Quindi molti cattolici per potersi risposare intentano i due procedimenti in modo separato, per ottenere sia la dichiarazione di nullità dalla Chiesa, sia il divorzio, introdotto nella legislazione italiana l'1 dicembre 1970.
Contro questa legge il Vaticano tramite il partito politico “Democrazia Cristiana” impose un referendum abrogativo, convinto di vincerlo. Il 12 e 13 maggio del 1974 gli italiani si recarono alle urne ed il 60% votò contro l’abrogazione della legge. La Chiesa capì che anche in Italia non aveva più il predominio delle coscienze. Per dominare quelle dei fedeli continua a vietare l’eucarestia ai divorziati risposati. Deroga dalla sanzione solo se la persona divorziata s’impegna a “vivere in piena continenza, astenendosi dagli atti propri dei coniugi” …