Vivo in un'area che ha vissuto profondamente una guerra, la Grande Guerra. L'ho conosciuta dapprima tramite i ricordi dei miei nonni. L'ho approfondita a scuola, nei testi di storia. L'ho vista nelle foto e documentari in bianco e nero, quanto la tecnologia di allora offriva. L'ho comunque accanto, spesso ignorata dai più, quei piccoli cimiteri di guerra, dimenticati, nascosti o lasciati al trascorrere del tempo, nella quasi totale incuria umana, oramai sbiaditi testimoni di una tragedia umana, una tra le tante, di cui ci siamo macchiati. Dimenticate i grandi ossari, sacrari o cimiteri monumentali, paragonati ormai ad attrazione turistica, prima che memoria. In questi luoghi si respira e percepisce un'emozione diversa, intima e ancor più profonda. Spesso minimi in tutto, ultimo giaciglio per quei soldati, ormai nemici riuniti e senza bandiera, raccontano di violenza e pietà umana, due sentimenti contapposti ma a fronte della morte, presenti da ambo le parti. Pochi metri quadri, rubati al bosco, alle rocce o a un prato, racchiusi da un muro, muto recinto e senza pretesa alcuna che ultima difesa di quei nomi, conosciuti o ignoti, a volte illeggibili su targhette arruginite o sulle lastre erose dalle intemperie. Nomi spesso strani, di altra patria, ma che leggo ancor vivi tra erbacce e smottamenti, nel mio rispetto, forse solo curiosità. Dedico a tutti questi uomini, i miei quindici minuti di oggi.