Nel pianoro a metà strada tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia di Palermo, la festa del primo maggio 1947, a cui partecipavano migliaia di persone, fu interrotta da una sparatoria che, secondo le fonti ufficiali, causò 11 morti e 27 feriti. Successivamente, per le ferite riportate, ci furono altri morti e il numero dei feriti varia da 33 a 65.
Questa la cronaca del tempo.
Un momento della storia della Sicilia e dell'Italia, ancora oscuro e carico di significati, dal valore sociale e politico. Chi veramente orchestrò la strage di Portella della Ginestra e gli inconfessabili disegni politici che si celavano all'ombra di Salvatore Giuliano e la sua banda. Così come lo fu la sua morte. Di certo possiamo riconoscere i segni della atavica guerra tra chi il potere lo deteneva (insieme alla ricchezza che derivava dal possesso dei latifondi) da sempre e chi lo doveva, invece, solo lavorare senza poterne trarre il giusto guadagno per sostentare dignitosamente la propria famiglia. La lotta di classe, qui ben rappresentata, che era partita da lontano (non solo dal punto di vista geografico) fece ancora una volta le sue vittime (ben 12 in quella giornata funesta), sacrificate sull'altare della storia politica di un'Italia che, con grande fatica, usciva dal secondo conflitto mondiale umiliata e povera. Difendiamo le nostre radici, difendiamo i valori che a costo della vita furono testimoniati non solo dalle genti della Sicilia ma, da quel momento in avanti, da un'intera Nazione che scelse di incamminarsi sulla strada del progresso culturale e economico. Lo sviluppo culturale in seguito portò il popolo siciliano, e non solo, ad una maggiore coscienza di sé e, di conseguenza, al rifiuto della mafia e della sua asfissiante presenza in tutti i settori della società.