Si allontanava, la facciata del carcere, agli sguardi che le lanciava di sghimbescio di quando in quando... ogni volta che cambiava di spalla il sacco nero con i suoi averi.
Era quasi gradevole alla vista, quella facciata Rifinita in mattoni rosso cotto... e il gran portale luccicante che egli aveva attraversato già svariate volte... ostinatamente!
La guardia carceraria gli aveva detto:
“Arrivederci!”.
La sua cella l’aveva lasciata, quasi con rincrescimento, ora che era finalmente non affollata per via dell’indulto, ed era occupata solo dall’amico Giuseppe.
Gli era spiaciuto lasciare, lì solo, il Peppino, che non fruiva dell’indulto... Il Peppino che nemmeno russava. Per un attimo aveva anche pensato di rinunciare all’indulto, ma non si poteva... era obbligatorio!... anche per lui. Però nessuno avrebbe potuto impedirgli di consideralo, l’indulto, solo come un “tempo d’aria” prolungato ad un’intera giornata Usato per una lunga e non impegnativa passeggiata fino a notte inoltrata. E poi sarebbe bastato poco, ad uno esperto come lui, per essere nuovamente arrestato ed internato.
Sapeva come fare!
Certo, con un programma così limitato, avrebbe volentieri fatto a meno del sacco nero con i suoi averi, che peraltro era permesso lasciare, ma avrebbero bruciato tutto Tutto quanto possedeva... compreso i ricordi gli avrebbero “rubato”.
Ma pur col sacco, ora che usciva dal “collegio”, mostrava un contegno dignitoso nell’abito borghese quasi nuovo e frutto, a suo tempo, di un esproprio proletario in un grande magazzino.
Si sentiva leggero a questo primo impatto di vita in “libertà”, e la brezza fresca di un’estate fino ad allora di afa, gli donava leggerezza Tanto che la città gli sembrava di vederla per la prima volta, e gli comunicava anche una disposizione all’avventura: cosa strana... e forsanche assurda alla sua età e condizione.
Egli aveva operato una scelta una volta sola nella sua vita... una volta per tutte! di vivere fuori dal branco. Più che altro, per un senso estetico. E a questa scelta aveva sempre mantenuto fede, pagando di persona tutto quanto, inevitabilmente, doveva per essa capitargli.
Si fermò ad una edicola per acquistare un biglietto per l’autobus, ma non ebbe il tempo di scambiare due parole da libero con il giornalaio. Arrivava gente a comperare i giornali, e tutti i giornali portavano a grandi caratteri in prima pagina l’allarmante notizia dell’indulto e l’invasione dei delinquenti E cosi il giornalaio, ad evitare imbarazzi con i suoi benpensanti clienti, lo ha salutato in fretta... ma con garbo:
“Buona fortuna e buona giornata a te!”
Comunque la fretta con la quale era stato licenziato lo rendeva piuttosto pessimista e andava figurandosi con sufficiente chiarezza la somma di sensazioni che avrebbe suscitato la sua imbarazzante immagine inequivocabilmente definita dal sacco nero... reazioni infastidite e anche , per lo più, di evidente diffidenza e rigetto, fino all’ ostilità. Le aveva già sperimentate, diffidenza e ostilità, fin dai tempi dei suoi diciotto anni, quando aveva fatto la “sua” scelta di vita... unica e definitiva. Anche se, in realtà, era stato il mondo a scegliere per lui, quando tutti i suoi amici, i più vivaci, si erano schierati univocamente… Il sessantotto!
Si era lasciato crescere i capelli! Capellone quando la gente perbene li schifava, ma poi, quando i capelli lunghi divennero moda, lui allora i capelli li aveva tagliati!... quasi a zero, per continuare a suo modo a contestare.
E aveva continuato a contestare... sempre... incrollabile... e contestava in certo modo anche ora, portandosi in giro il sacco nero che inequivocabilmente lo identificava.
Il sacco che difficilmente sarebbe diventato moda... ma chissà!
Questo andava oziosamente pensando, mentre giungeva alla fermata dell’autobus, al momento presidiata da un folto gruppo di passeggeri in attesa.
Un piccolo bambino biondo e sorridente gli ha detto “ciao” Lui lo ha accarezzato La madre lo ha attirato a sé con energia Per educarlo alla diffidenza... come è giusto!, al sospetto ed all’ostilità!
A questa creatura celestiale avrebbero presto “rubato” il proprio cielo, ed era un pensiero che lo immalinconiva Si commosse anche, come sempre, del resto, ogni volta che vedeva un’innocente creatura buttata in questo mondo.
Nell’autobus affollato aveva trovato posto a sedere, ma in breve lo aveva ceduto ad una signora anziana che lo aveva conquistato, il posto, senza ringraziare Era suo, il posto!, inalienabile diritto nei confronti di uno con il sacco nero.
Un atto dovuto!
Questa sgarbata nobildonna meriterebbe una garbata ramanzina, pensò, ma conservava ancora integro il senso del ridicolo e non ne fece niente e si allontanò in un angolo col suo vistoso sacco.
L’autobus si vuotava poco per volta ad ogni fermata e a metà tragitto trovò da sedersi col sacco fra le gambe.
All’arrivo al capolinea, su in alto in collina, era rimasto solo Unico passeggero e nello scendere salutò il conducente che gli rispose con un grugnito.
La giornata era limpida. Proseguì lungo i sentieri in salita attraverso i boschi.
“Un evviva al bisbiglio di Dio fra gli alberi, all’armonia dolce e semplice del silenzio nelle mie orecchie, alle fronde verdi ed alle fronde gialle!...”... “Un evviva al misericordioso silenzio sopra la terra, alle stelle e alla mezzaluna, sì, a quelle e a questa!… Ascolta verso oriente, ascolta verso occidente, ascolta! E’ l’eterno Iddio! Questo silenzio che mi ronza negli orecchi è il sangue bollente dell’universo, è Dio che tesse la trama della terra e di me stesso…”.
Raggiunse quasi la vetta e da una radura vide l’intera città stesa Lì, sotto di lui.
L’armonia dolce e semplice del silenzio nelle mie orecchie?… E il gatto selvatico?… che balza sul passero… ah…ah…ah…eh…eh…
Qualcuno mi sa ancora indicare l’oasi ove il sangue bollente dell’universo non sia ancora sepolto sotto cumuli di monnezza e macerie… ove la trama della terra non sia ancora stata sconvolta?
Questi erano i pensieri che gli suscitava il panorama, e avanzava la voglia di distogliersi Immediatamente!
Guardava la città dall’alto.
Una nebbiolina ristagnava nelle strade e vicoli Non sopra, ma proprio dentro, fino al fondo dove strisciano i vermi… e pesava sui tetti, la foschia, come una cappa oleosa di fumi di piombo.
E un brusio saliva fin lassù che non era il suono della vita Era un mormorio lugubre che richiamava alla mente il borbottio monotono di un folle nevrotico che laggiù produceva fracasso e urla Latrati disperati di cani isolati che fiutavano veleni.
Lo sapeva!
Alle sue spalle, il bosco silenzioso… silenzio mostruoso di morte perché il direttore d’orchestra era fuggito Il Dio Pan era fuggito!… e la trama della terra era ora disegnata dal dio danaro, dio del potere e della violenza… Brusio di morte!
Non resse lo spettacolo ed anticipò il rientro in città.
A piedi attraverso il bosco, senza fretta, mentre l’animo incorreggibile lentamente ritornava a ben disporsi man mano che vi si inoltrava.
Prudentemente, tranquillamente, ostinatamente avanzava lenta una disposizione fin quasi all’entusiasmo ad ogni pur minimo accenno residuo di un antico spettacolo di natura che pur ora questo resistente enigmatico pianeta era capace di offrire… Nonostante!
Non aveva fretta!
Lo avvolgeva ed estasiava il silenzio rotto a tratti da un timido cinguettio, un fruscio fra l’erba, e intravvedeva rapida una flessuosa serpe verde... una lucertola... un isolato fungo rosato fra l’erba.
Gli alberi alti si elevavano come colonne di un tempio e gli sembrava di procedere, col dovuto rispetto, lungo una navata, verso l’altare del Dio.
Si fermava spesso, illuminato da una striscia di sole filtrata tra i rami verdi lucenti lassù. Quasi trattenendo il respiro, in deferente ascolto percepiva il concerto... una melodia primordiale... il brivido del primo bacio.
Arrivò alla strada asfaltata e continuò il cammino in discesa per un incalcolabile tempo.
E dietro una curva, eccoli! i mostri alieni meccanici Robot avanzanti lenti ed inesorabili Le lunghe alte artigliate braccia meccaniche che tutto abbrancano, lasciando dietro di sé escrementi di cemento e bitume a coprire cascine prati orti boschi... Tutto!
Sollevò lo sguardo e vide un angelo nero danzare su un’asse stretta contro il cielo limpido.
Angelo nero! Funambolo!
Posò il sacco e sollevò per istinto entrambe le braccia con le palme rivolte al cielo, le dita divaricate come a sostenere l’angelo... Oppure pregava?... O imprecava e malediceva?
Era solo un piccolo ladro, lui? O era a lui che avevano “rubato” tutto?, i grandi ladri del diritto alla vita.
Ora le braccia levate e le mani in alto erano il segno della resa E l’angelo nero si era dileguato, volato via per posarsi alla fine su un qualche trespolo.
Malinconicamente era giunto in città e zigzagava tra le auto Sgarbate padrone incontrastate della strada, e finanche dei marciapiede.
L’ora era avanzata e quasi non s’accorgeva del tempo che era passato, se non glielo avesse ricordato un senso di languore e di vuoto nello stomaco.
Non aveva voglia di entrare in una trattoria Preferiva continuare la sua passeggiata, ancorché intristita.
Entrò in un supermercato, ancora affollato a quell’ora, ma senza l’intenzione di approfittare della confusione per procedere ad un esproprio proletario... e mica per timore di essere scoperto per il suo aspetto altamente sospetto Solo considerava che era ancora presto per rientrare in “collegio” Avrebbe acquistato e pagato solo un grosso panino e dell’affettato.
Regolarmente pagati!
Sotto gli alberi di un parco si è seduto ad una panchina ed ha scartato il megapanino.
Non era ora di bambini al parco Solo alcuni anziani oziavano seduti sulle panchine.
La sua attenzione era attratta da un signore distinto dai capelli candidi Leggeva un libro e di quando in quando sollevava lo sguardo dalle pagine e lo dirigeva avanti a sé guardando al di sopra delle lenti a lunetta. Sembrava non osservare niente in particolare. Era come assistesse ad una proiezione su uno schermo invisibile... un film che poteva essere il bilancio della propria vita.
Nel mentre osservava, aveva scartato il panino e non s’era accorto che un uomo dalla pelle scura si era seduto sulla sua stessa panchina La testa reclinata, il mento sul petto.
Spezzò il panino, gliene offrì la metà Ne ebbe in cambio un grazie appena sussurrato.
L’uomo addentò il panino sforzandosi di non divorarlo come la fame che si portava dietro quasi gli imponeva. Mangiò con garbo e dignità, a bocca chiusa e masticando a lungo. E non ci furono parole fra di loro. Solo quando ebbero finito di mangiare egli gli chiese, al nero, se potesse offrirgli un piccolo aiuto E quello non rispose Forse non conosceva la lingua! Gli mise in mano cinque euro e lui non li strinse avido, ma gli rivolse uno sguardo umile.
Riprese il cammino attraverso le vie del centro nel chiasso e nei fumi e incontrava gente che camminava o sostava alle vetrine illuminate ché oramai faceva buio. Camminò poi a lungo verso la periferia, ed era già buio e tardi quando entrò in un elegante edificio nuovo e salì le scale fino al quarto piano senza fruire dell’ascensore. Si fermò sul pianerottolo presso una delle porte a riprendere fiato Si dette una sistemata alla cravatta e al vestito e aveva già il dito sul pulsante del campanello... Esitava!
Era stato suo amico al tempo della contestazione e si erano ritrovati assieme disorientati nella gran confusione che ne era seguita: irriducibili, pentiti, dissociati, voltagabbana, PCI-ini, democratici proletari, gambizzatori, lotta armata, brigatisti e lotta continua, normalizzati, fighetti radical-chic, bombaroli, fascisti, poliziotti proletari...
Non sapevano più, lui e l’amico, cosa scegliere!
Scelse di non scegliere rimanendo fedele solo agli espropri proprietari e venne d’ufficio aggregato ai “dissociati mentali” Il suo amico invece aveva scelto la normalizzazione... assolutamentesìesenzama... in linguaggio moderno.
Entrambi avevano dismesso le armi della politica ed interrotto definitivamente un sodalizio intrattenuto per un tempo che, a quell’età, era sembrato lunghissimo.
Si sceglie nella vita! Anche più volte.
Questo o quello si sceglie, ma lui aveva scelto una volta per tutte! e per questo veniva percepito paradossalmente come uno spirito libero. In realtà egli era tutto fuorché libero Era il mondo che continuava capricciosamente a scegliere per lui che aveva abdicato a costruire la propria vita nel tempo.
La libertà di cui a volte anche osava vantarsi non era che una mancanza di libertà... il mondo reale lo dominava.
Tuttavia, nei suoi momenti migliori osava definirsi esteta ed aristocratico e rivendicava per sé una presunta superiorità.
In realtà era solo un povero cristo!
Ora su quel pianerottolo si rendeva conto che tra lui e il suo vecchio amico s’era scavato un invalicabile solco... un abisso.
Impossibile incontrarlo, questo antico amico!
Si immaginava la scena: l’avrebbe riconosciuto ed abbracciato e fatto entrare La moglie avrebbe messo a letto in fretta i bambini e oltre la porta della sala gli avrebbe bisbigliato il suo disagio Gli avrebbe chiesto di licenziarlo presto con una scusa, quell’uomo dal sacco nero, “Dissociato mentale!”.
Una tristezza profonda si impossessò di lui.
Distolse il dito dal pulsante Rimise il sacco in spalla Ridiscese le scale Si allontanò ancora verso la periferia Fino ad una piazza deserta con una miriade di auto parcheggiate.
Le finestre dei palazzi erano aperte ed illuminate Era il posto ideale per organizzare il finto esproprio proletario necessario per rientrare nel guscio protettivo del collegio.
Avrebbe potuto armeggiare intorno ad una delle auto di lusso... intorno ad un enorme fuoristrada... ma si sarebbe vergognato come un ladro a farsi vedere interessato a simili aggeggi.
Scorse una misera vecchia cinquecento Quasi nascosta e sopraffatta da enormi mostri e vi si diresse con passo pesante sul selciato... TAP... TAP... TATATAP...!
Fece cadere pesantemente con un tonfo il sacco, lo aprì e vi fece tintinnare dentro tutto quanto era tintinnabile.
Nessuno si affacciava ad una finestra.
Tossì forte fino quasi al soffoco Ravanò rumorosamente nel sacco e ne trasse un paio di forbici e con quelle prese ad armeggiare intorno alla serratura della cinquecento arrugginita.
Nessuno si affacciava.
Fece ancora quanto più baccano poté e finalmente uno si affacciò.
“Cosa stai facendo?”, urlò.
“Sto rubando... non lo vedi?”
“Io chiamo la polizia!”
“E chiamalaa...!”.
Non mancò molto che una pantera sgommante era sul posto.
Egli lasciò sacco e forbici e si dette alla fuga lungo la piazza.
Fu naturalmente presto raggiunto e si divincolò a spintoni.
Infine immobilizzato gridò:
“SBIRRI DI MERDA!”.
Era fatta!
C’era tutto ormai!: furto tentativo di fuga resistenza... e soprattutto oltraggio a pubblico ufficiale La retta alberghiera poteva considerarsi pagata e garantita per una lunga permanenza.
Quando rientrò in cella era molto tardi e Peppino, che lo aveva atteso da sveglio, glielo fece notare.
“Avrei potuto rincasare molto prima” rispose “ma gli sbirri hanno voluto scrivere un rapporto che era un romanzo Tra scrittura, editing e correzioni, a momenti veniva giorno, se io non avessi dato loro una mano”.
Salì al primo piano del letto a castello.
Peppino prese posizione a piano terra.
“Peppì!... Usciremo assieme da qui?”.
Era il segnale!, acché Peppino intonasse la ninna nanna.
“Certo!...
E verrai con me in un posto che solo io conosco...
Dove la terra è nera e grassa...
E basta guardarla perché ti nutra...
E alleveremo le galline...
E cresceremo il maiale...
Con gli avanzi.
Sentirai che sapori!...”
Aveva chiuso gli occhi.
E sulla litania di Peppino lo accolse un sonno vuoto di sogni.