Ho imparato che a volte non c’è niente di più provvisorio delle cose definitive, come quando Carla mi diceva “ti amerò per sempre!”. Io le credevo, ma domandavo “Come fai a sapere che sarà per sempre?”. Lei, sorridendo, mi guardava come si fa con le persone tarde e mi prendeva la mano. Poi, dolcemente, mi sussurrava “Lo so e basta”.
In effetti, fu proprio “basta” la parola che mi disse poco tempo dopo, quando capì che non mi amava più. Io, volendo fare la parte di chi, nonostante tutto, cade sempre in piedi, in quel doloroso frangente le chiesi ironico “ma non dovevi amarmi per sempre?”.
In quell’occasione non mi sorrise e non mi prese la mano, ma continuò a guardarmi come si fa con le persone tarde. Sempre dolcemente, però, mi sussurrò “Non c’è niente di più provvisorio delle cose definitive”.
Non ebbi abbastanza prontezza per rispondere a tono, ma mi limitai a fare la faccia da cernia, occhio lucido e bocca socchiusa. O da persona tarda, se preferite.
Carla di mestiere faceva (anzi fa) l’ hostess, ed è forse grazie al suo lavoro che ha affinato la capacità di rispondermi mezzo secondo dopo che io avevo finito di parlare. Sicuramente essere hostess di voli intercontinentali l’aveva messa di fronte alle richieste più assurde. C’è chi si fa prendere dal panico e vuole scendere, così, come si fa con l’autobus. Oppure c’è chi ha pretese culinarie fuori luogo, visto che il massimo del pasto su un volo intercontinentale è un contenitore a più scomparti sottovuoti. Il suo contenuto, che più che fuoriuscito da un menù d’alta cucina sembra opera di un pittore futurista, ha sempre qualcosa di misterioso e individuarne la composizione è spesso lavoro adatto ad un medico legale.
Poi ci sono anche quelli che vorrebbero dirottare l’aereo, ma questa è tutta un’altra storia.
Il giorno in cui Carla mi disse di aver capito che il nostro rapporto era arrivato al capolinea, indossavo un accappatoio-kimono, regalo di uno dei suoi esotici viaggi intorno al mondo. Mi sentivo sempre un po’ ridicolo quando lo portavo, perché la taglia giapponese XXL non corrisponde minimamente alla nostra. Essendo alto quasi uno e novanta e con una peluria molto poco orientale, con quella vestaglia sopra le ginocchia e le maniche troppo corte, avevo sempre l’impressione di indossare qualcosa di non mio, ma soprattutto di decisamente troppo muliebre. In aggiunta, ritengo anche di non possedere la dignità degli uomini orientali, che sanno indossare quella veste come se portassero addosso una gloriosa armatura. So per certo che il mio incedere con il kimono addosso era ridicolo abbastanza da minare la mia autostima, se non fosse che amavo a tal punto quella donna che avrei indossato anche un tutù rosa, se me lo avesse regalato lei.
Dunque, me ne stavo in cucina, con una tazzina di caffè fumante in mano, quando la vidi entrare, vestita di tutto punto. Le sue testuali parole furono “Mi sa che siamo all’ultimo scalo, tesoro…”. Paragonare la fine del nostro amore all’ultimo aeroporto di un ipotetico volo sentimentale, fu proprio da lei. Ed io mi sentii come quando il pilota comunica che dovrà tentare un atterraggio di fortuna in mezzo all’oceano e invita i passeggeri ad allacciarsi le cinture di sicurezza.
In fondo, però, ero preparato e fu questo che mi salvò. Perché dopo tre anni trascorsi assieme, in cui lei mia aveva fatto sentire un re, fu come se mi avessero tolto improvvisamente la corona e mandato in esilio.
Si avvicinò e mi sfiorò la guancia.
-Troverai sicuramente una ragazza che ti renderà felice e ti meriterà più di me…
-Chissà perché questa sicurezza l’ha sempre chi lascia e non chi è lasciato.
-Credimi, Lorenzo, sono sicura che sarà così!
-Come fai ad essere così sicura?
-Lo so… e basta.
A quel punto mi ricordai l’ epitaffio del suo amore per me.
-Ma non avevi detto che mi avresti amato per sempre?
E fu così che mi sentii rispondere quella frase del cavolo sulla provvisorietà delle cose definitive.
-Se è per questo, …- ribattei io, invertendo l’ordine degli addendi.- non c’è niente di più definitivo delle cose provvisorie, come chi parcheggia l’auto in tripla fila e dice che “sta tornando” e magari lo rivedi dopo un’ora.
-Non roviniamo tutto litigando…-m’interruppe lei, intuendo forse che il mio era un infantile tentativo di ritardare la fine di un amore, probabilmente era deceduto da tempo.
-E chi litiga? Ti sembro uno che ha intenzione di farlo?- chiesi onestamente, indicando con le entrambe le mani la mia mise da Madam Butterfly.
-Vorrei ricordarmi di te con un sorriso…-insistette lei.
-Se ci tieni, puoi anche farti una risata ripensando me.
-Ciao, Lorenzo…
Poi uscì dalla cucina e io la seguii, come un animale fedele che ama nonostante tutto. Afferrò il suo inseparabile trolley che aspettava all’ingresso, aprì la porta di casa e si diresse verso l’ascensore. Da lì mi indirizzò un cenno con la mano, poi la vidi sparire, e fui tristemente consapevole che la fine di quel rapporto avrebbe lasciato strascichi vischiosi e appiccicaticci nella mia psiche. Mi chiesi anche se l’avrei mai più rivista, ma ciò che rammentai per lungo tempo fu solo il suo dondolante fondoschiena, al quale fino a quel momento era mancata solo la parola, che -in quel drammatico addio- parve proprio averla acquista, perché mi sembrò rispondesse alla mia domanda con un “No-no!… No-no!… No-no!”.