L’imprevisto
Finalmente pausa pranzo. Emy prese dall’armadietto il suo sacchetto contenente frutta, chiuse l’ufficio e pedalando mollemente raggiunse la spiaggia.
Si sistemò sul telo da mare e mentre addentava la sua mela, si mise a leggere l’ultimo Harmony che aveva comprato. Di solito non leggeva quelle banalità ma dopo la fine della sua ultima storia, aveva bisogno di vivere amori certi, anche se di riflesso. Magra consolazione, ma meglio di niente.
Aveva ricoperto il libricino con carta bianca e vi aveva scritto col pennarello un titolo altisonante: “Atene e l’età di Pericle”. Non voleva essere confusa con le ragazzine romantiche; ci teneva al suo look di ragazza senza grilli per la testa.
Harmony la rilassava, la conclusione felice era assicurata, anche se le storie si assomigliavano tutte.
Lui bellissimo, ricchissimo, intelligentissimo, ma così intelligente che gli ci volevano 200 pagine per accorgersi di lei bellissima, sfortunatissima, in gambissima e a volte anche vergine.
La descrizione dei personaggi era anch’essa standardizzata: lui moro o biondo doveva per forza essere alto sopra la media, con gambe muscolose, torace possente e collo arrogante.
Lei il più delle volte era di un biondo castano ramato con tendenze a bruno corvino, piccola e bisognosa di protezione.
Era la faccenda del collo arrogante che Emy non aveva mai capito. Come fa un collo ad essere arrogante?
Alzò gli occhi per vedere se tra tutti quei bagnanti potesse scoprire un collo come quello dell’ l’Harold descritto nel libro, ma non ebbe questa fortuna.
Invece vide Harold in persona: alto, biondo, occhi blu, torace possente e gambe muscolose. Abbronzato come un biscotto e collo normale. Forse collo timido.
Le si fermò il cuore: mai e poi mai avrebbe riso dei colpi di fulmine. Infatti, era stata fulminata senza rimedio.
Subito lo segui con lo sguardo, perché dove c’era un Harold, secondo Harmony, c’era sempre una Michelle. Constatò invece che era solo e con noncuranza le lunghe dita affusolate reggevano una sigaretta. Harold si mise gli occhiali da sole e con gran signorilità iniziò a fare le parole incrociate.
Il giorno dopo, la pausa pranzo sembrava non arrivare mai. Questa volta Emy pedalò voracemente fino alla spiaggia, temendo che Harold fosse solo un tizio di passaggio, già piangendo l’amore non ancora vissuto e subito infranto.
Invece era lì, lo sguardo signorilmente rivolto all’orizzonte, il pensiero immerso in chissà quali disquisizioni altamente filosofiche. Ne era il tipo.
Emy aveva portato questa volta il libro “Biografia di Dante” certa che il giovanotto non avrebbe apprezzato letture frivole. Tutti i giorni la ragazza si avvicinava all’amore spostando il suo asciugamano da mare di qualche metro, ogni giorno temendo di trovare Lui in compagnia di qualche Michelle e cercando nel frattempo di vedere cosa lui leggesse, tanto per scoprire i suoi gusti ed adeguarvisi.
Arrivata alla distanza giusta, si accorse che il giovane aveva in mano la rivista “Novella 2000”. Ci rimase un poco male, vista l’inconsistenza della lettura, ma fu pronta a giustificarlo pensando che giustamente al mare non si potesse portare un testo costoso, con il rischio di sciuparlo.
Lei invece portava cose serie, sperando sempre che il titolo facesse da tramite per un inizio di discorso. Esibì sul suo asciugamano un improbabile Storia del Congo, un impossibile Platone e un semplice Follet..
Harold continuava a fare piccole passeggiate sulla spiaggia, camminando con la sua superba andatura dinoccolata, sempre immerso in tenebrosi e stuzzicanti pensieri.
“Però, pensava Eli, strano che sia così abbronzato per essere un biondo!”
Un fugace pensiero le suggerì che poteva avere i capelli schiariti ad arte, ma fu subito licenziato. ”Ma sì, insomma a volte i manager lo fanno per essere più gradevoli, si sa che qualcuno si fa persino il lifting! Domani è sabato, se non riesco a combinare qualcosa con tutta la giornata a disposizione, vado a rincorrere le tartarughe! Magari domenica si va a cena insieme e poi a ballare e poi….” E qui, arrossì.
Sabato mattina si presentò al mare con “Sole 24 ore”, ormai aveva deciso che lui fosse un manager, e un bikini nuovo che lasciava tutto all’immaginazione, nel senso che il costume bisognava immaginarselo.
Aveva anche speso una cifra per cosmetici da mare. Come in tutti gli Harmony che si rispettino, il giorno dell’ora irrevocabile, portò un imprevisto.
Harold era in compagnia di un altro ragazzo, molto bello, con qualche anno in più. Forse il fratello. Forse il cugino.
Parlavano piano e a volte sorridevano; l’imprevisto rischiava di bloccare la sua strategia ma Emy, decise che ormai il dado era tratto. C’era un ragazzo di troppo? Pazienza, avrebbe invitato Susanna e sarebbero andati a ballare in quattro.
Il momento dell’attacco era arrivato: con il coraggio della recluta che va in guerra, ossia poco, gli passò davanti con quello che s’immaginava dovesse essere un passo languido. Gli lanciò uno sguardo che voleva essere altamente magnetico e fortunatamente in quel momento anche lui la vide. Come ipnotizzato la seguì, scortato dal pseudocugino che invece sembrava perplesso.
Lei si esibì in un tuffo perfetto e iniziò a nuotare avanti e indietro conscia di esporsi all’ammirazione del suo amato. Perché non la raggiungeva? Era forse troppo lontano? Si avvicinò nuotando in stile Esther Williams fino a poterlo guardare negli occhi.
Ecco, finalmente stava per buttarsi! Emy s’inventò nuove evoluzioni acquatiche e quando riemerse per prendere fiato….orribile visu! Invece di eseguire uno spettacolare tuffo olimpionico, Harold aveva indossato due fosforescenti bracciali arancione e assaggiava col piede la temperatura dell’acqua lagnandosi del freddo come un bambino.
“Marco, per carità, stammi vicino e stai pronto, siamo sicuri che qui si tocca vero?”
Entrò in acqua e quando questa gli arrivò a malapena al petto, cominciò a gonfiare le gote e a soffiare come si usa fare per controllare le doglie. Intanto sbatteva le braccia sulle onde, come solo una papera che cerca di spiccare il volo, potrebbe fare.
Il cuore di Emy urlò un “nooooooo” straziante. Sentì gli ormoni rattrappirsi, congelarsi , cristallizzarsi e infine sbriciolarsi.
Il colpo di fulmine morì sfrigolando, come quando si butta acqua fredda sulle braci accese.
Nel tentativo di articolare un inconsueto “Merda” ingoiò un’onda e fu costretta ad uscire di scena sputacchiando e tossendo in maniera affatto sensuale.
Raccattò con furia le sue cose, pedalò questa volta con ferocia fino al bar della piazzetta dove singhiozzò un sintetico: “Mi voglio suicidare, dammi il gelato più grande che c’è!”
La commessa, intuì al volo il senso della situazione e con sottile e tacita solidarietà femminile, le servì un gelato da congestione.
In effetti, questa quasi le venne, unico ricordo di un colpo di fulmine.