Lorenzo non ne poteva più della sua situazione familiare e aveva deciso di farla finita lanciandosi dal tetto della sua villa. Si trattava però di arrampicarsi lassù con la scala e lui non era mai stato un grande scalatore. S’era alzato di buon mattino per non avere né spettatori, né curiosi. Sapeva di soffrire di vertigini e saliva senza guardare giù. Dunque procedeva cautamente e dopo molti gradini, ebbe la visione della finestra del secondo piano sul cui davanzale pensò di mettersi seduto per riposarsi e calmare i battiti del cuore. Ma premendo il piede con forza su un piolo, lo spezzò. Per fortuna era all’altezza del davanzale e s’aggrappò con grande sollecitudine, dimentico ormai delle sue intenzioni suicide. Le gambe erano sospese in aria e con un calcio all’impazzata, fece cadere la scala a terra. Si issò con tutte le forze e si sedette, rendendosi conto di sentirsi male per la paura. Si chiese allora dove trovassero il coraggio i suicidi e, tutto sommato, la situazione della sua vita gli parve meno grave e ingarbugliata di quel che credeva. Appollaiato, si accorse che la finestra era ermeticamente chiusa dall’interno e quindi era destinato a stare là per chissà quanto tempo, avendo abbandonato le sue precedenti intenzioni di morte. Non gli restava che aspettare il passaggio di qualche soccorritore. Si mise nel frattempo a riflettere sulla strana e insolita piega che aveva preso la sua esistenza.
Aveva ventotto anni ed aveva sposato una vedeva di trentotto, la quale aveva una figlia di vent’anni. Il padre di Lorenzo aveva sposato tale figlia, per cui suo padre era diventato suo genero in quanto aveva sposato sua figlia. E fin qui tutto chiaro, ma sua nuora era diventata sua matrigna in quanto moglie di suo padre. Inoltre lui e sua moglie avevano avuto un figlio, il quale era divenuto fratello della moglie di suo padre, quindi cognato di suo padre. In aggiunta, tale figlio era pure suo zio in quanto fratello della sua matrigna. Suo figlio era dunque suo zio. Come se ciò non bastasse, la moglie di suo padre aveva avuto un figlio, il quale era anche suo fratello poiché figlio di suo padre ed era anche suo nipote in quanto figlio della figlia di sua moglie. Quindi lui era fratello di suo nipote, e siccome il marito della madre di una persona è il padre di tale persona, risultava che lui era il padre della figlia di sua moglie e fratello di suo figlio. In ultima analisi, lui era suo nonno.
Lorenzo pensava a tutto ciò e provava un senso di panico, di sconcerto e di confusione mentale. Ci ripensava e sentiva i conati del vomito. Poi improvvisamente rivisse i momenti di disperazione che l’avevano indotto al suicidio e si rallegrò di averci ripensato, altrimenti in quel momento si sarebbe trovato dinanzi al Padre Eterno che lo interrogava: “Chi ha provocato tutto questo? Eeeeh? Chi l’ha provocato?” E lui avrebbe dovuto rispondere: “Io Signore, sono io il responsabile!”
Comunque erano le sei del mattino e si trovava a circa venti metri dal suolo, seduto come un deficiente sul davanzale di una finestra sbarrata. Attorno a lui gli uccelli cantavano e trillavano melodiosi, festanti, erano chiassosi, pettegoli e gli stavano attorno con una cordialità eccessiva. Soprattutto un pettirosso, posatosi sull’orlo del davanzale, lo guardava con la testa inclinata da un lato e con molta curiosità. Poi si girò e volò via. Ma non si assentò per molto tempo. Dopo circa due minuti era nuovamente accanto a lui e continuava a guardarlo come a dire: “Ma vedi questo cretino!” Volava via e tornava ad osservarlo pensieroso. Per cui Lorenzo non ne poté più e si sporse ad afferrarlo, rischiando di perdere l’equilibrio. L’uccellino lanciò un grido di terrore e scomparve per sempre lontano.
Verso le sette, sotto di lui risuonò un fischio che aveva qualcosa di umano. Fino a quel momento aveva udito tutto un concerto incessante eseguito da passeri, cardellini, usignoli, canarini, pettirossi, ma quell’ultimo fischio era completamente diverso. Non era più un cinguettio. Era un vero e proprio fischiettare. Lorenzo si risolse a guardare giù nonostante le vertigini. Vide allora passare suo cugino Benedetto, che abitava nella villa accanto, con fare baldanzoso e con le mani in tasca.
- Ehi!- gridò con quanto fiato aveva in gola. – Ehi!
Il cugino si fermò. Guardò a destra, guardò a sinistra, poi si girò e guardò dietro di sé, ma non vedendo nessuno, proseguì la sua marcia.
- Ehi! Benedetto! Accidenti. Dico a te deficiente!
Infine Benedetto guardò in su e vedendo il cugino seduto sulla finestra, restò attonito a bocca aperta, come se stesse posando per la statua dello spaventato del presepe.
- Per Bacco! – esclamò- Che diavolo fai lassù?
- Non ti interessa, aiutami a scendere.
- Sì, però come ci sei arrivato?
- Non ti riguarda, aiutami a scendere.
- Sì, ma come ti è venuto in testa?
- Non ti interessa, prendi quella scala.
- Cosa?
- La scala.
- Quale scala?
- Quella che è per terra.
- Dove?
- Là. Dove guardi? Non lì. Là. Ti dico non lì. Là, là.
- Ah! Ecco! Là, quella scala là.
- Sì appunto, prendila.
- Va bene. L’ho presa e ora?
- Mettila qua, sotto la finestra.
- O. K. Ma perché sei sulla finestra?
- Tieni forte quella dannata scala e cerca di stare zitto.
- O.K. Tengo forte. Ma che ci facevi sulla finestra?
Lorenzo si decise a scendere e quando i suoi piedi presero contatto con il suolo, credette di avere realizzato tutti i sogni della sua vita. Il cugino però non si dava per vinto e continuava a chiedere. Dunque bisognava dargli una risposta.
- Avevo visto un nido di rondini sotto la grondaia.
- Un nido di rondini? A Luglio?
- Sì, perché?
- Perché le rondini non fanno il nido a luglio.
- Beh, queste avevano deciso di farlo a luglio.
- Ma neanche per sogno! Fanno il nido ad aprile.
- Le rondini che ho visto io, lo fanno a luglio.
- Tu sei scemo e visionario.
Questo dialogo increscioso terminò dopo che Lorenzo l’interruppe girando le spalle e lasciando il cugino in asso, perplesso e preoccupato a pensare che aveva perso il cervello e che l’aria insalubre della sua famiglia allargata aveva ormai minato la sua povera psiche.