Il tasto del pianoforte
Stavo sognando di essere in montagna. Poi il sogno si trasformò in una frana, rumore, urli, scarponi. Scarponi? Mi svegliai, non c’era nessuna frana, solo urli e rumore.
Mia madre si precipitò in camera , aveva una faccia strana, lo ricordo bene, e senza motivo alcuno mi abbracciò forte, poi mi mise una mano sulla fronte e disse che avevo la febbre e che non mi avrebbe mandato a scuola.
Mi strinse per un tempo che mi parve infinito, al punto che mi venne paura di avere una malattia gravissima.
Poi all’improvviso il rumore cessò, si allontanò rombando. Aveva il suono di un motore.
Mi madre mi lasciò e mormorò: “E’ finita!”.
Le domandai cosa fosse finito, lei non rispose, mi disse di rimanere a letto e basta.
Ubbidii senza far domande, felice di non andare a scuola. Mi alzai, andai in bagno e dalla finestra che dava sul cortile, vidi che pioveva; i panni che la mamma di Ester aveva steso su due fili aspettavano di essere levati. C’era anche il vestitino rosso della mia amica, quello che il giorno prima indossava a scuola; era il suo preferito, ed anche il mio. Io non ne avevo di rossi, ma mi sarebbe piaciuto averli.
Andai in cucina perché alla fine avevo fame e malata o no, volevo mangiare.
Che strano, c’era anche mio padre, chissà perché non era andato al lavoro!
“Mamma, ho fame!”
“Sì, ti preparo il latte!”:
Tacevano, loro che avevano sempre da dire qualcosa, avevano gli occhi bui, non mi viene in mente altro modo per dire che faccia avevano. Quasi quasi mi facevano paura.
Tornai a letto, lessi un giornalino, giocai con la bambola, mi riaddormentai domandandomi quale malattia avessi, magari gli orecchioni, una cosa cha alcune mie amiche avevano avuta, anche se poi le orecchie erano tornate normali.
Per l’ora di pranzo mia madre mi fece vestire, dicendo che sicuramente stavo meglio.
“Mamma, dopo posso andare da Ester a farmi dare la lezione?”.
Mia madre guardò il babbo, che disse:”No, Ester se n’è andata, hanno traslocato questa mattina presto”.
“Come traslocato, ma dai, stai scherzando, non mi ha mai detto che sarebbe andata via e poi mi avrebbe salutato! “.
Mi spiegò che la decisione era stata improvvisa, ma che poi sicuramente mi avrebbe scritto.
I giorni passavano, io aspettavo sempre una sua letterina e intanto guardavo quel vestitino rosso, steso lì, dimenticato.
Lo vidi scolorire lentamente, ma ero certa che se lui stava lì, un giorno Ester sarebbe ritornata a prenderlo, sua madre lo avrebbe stirato e lei se lo sarebbe rimesso. Saremmo andate a giocare vicino alla fontana, lei mi avrebbe dato le sue bambole ed io le avrei prestate le mie.
In quei giorni anche alcune altre compagne di scuola traslocarono, mi pareva una bella cosa andare in altri posti, magari al mare, ma noi non fummo così fortunati, mio padre continuò a lavorare alle poste e non ebbe mai il trasferimento.
Finalmente venne la fine della scuola e l’inizio delle vacanze; con le mie sorelle, la mamma e le zie andammo in un posto chiamato “sfollati” e ci passammo l’estate. Ogni tanto domandavo di Ester, se era tornata, ma mio padre diceva che no, la cosa sarebbe stata lunga.
Mia sorella, quella grande, non sorrideva più tanto spesso, ma anche lei chiedeva se Deborah, la sorella di Ester fosse tornata. Loro suonavano sempre il piano insieme e le mancavano molto quelle ore di musica. Chiedeva sempre se il piano era ancora lì e mio padre, che era rimasto in città per lavorare, le rispondeva sempre che sì, il piano era ancora lì e così io ero sicura che avrei rivisto la mia amica. Nessuno parte per sempre, lasciando tutto nella vecchia casa, vestiti, mobili, fotografie, pentole, anche se non avevo mai conosciuto qualcuno che fosse partito così all’improvviso. Mah, che ne sapevo io, magari quella era l’usanza!
Fu alla fine dell’estate che mio padre venne a stare con noi e non tornò più in città; pare che il suo ufficio fosse rovinato, non capii bene cosa era accaduto, ma doveva essere una cosa grossa, forse dovevano rifare i pavimenti come quando da zia Angela erano scoppiati i tubi del riscaldamento.
I miei sembravano sempre arrabbiati, parlavano poco, erano nervosi e alzavano spesso la voce e una volta fecero piangere mia sorella; vidi che teneva in mano, dentro un fazzoletto un coso bianco, che mi pareva un dito e invece era un tasto di pianoforte.
Le chiesi dove l’avesse trovato, ma non mi rispose, continuò a piangere.
Quel tasto ora è qui, accanto alla mia macchina da scrivere; ogni tanto le mie vecchie mani lo accarezzano, ma ormai non ho più bisogno di chiedere.