“La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentiva salire [...] era per me un momento doloroso. Era l'annuncio di quello che sarebbe seguito, quando mi avrebbe lasciato, quando sarebbe ridiscesa di modo che quella buonanotte che amavo tanto, giungevo a desiderare che venisse il più tardi possibile, perché si prolungava il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. Talvolta quando, dopo avermi baciato, apriva la porta per uscire, io volevo chiamarla, dirle «Dammi un altro bacio», ma sapevo che subito ne sarebbe rimasta infastidita [...]”. (M. Proust da: Alla ricerca del tempo perduto – Dalla parte di Swann).
Quando è nato mio figlio non credevo lo avrei dovuto difendere dai pregiudizi, dalle convenzioni e dalle convinzioni di chi attorno a me sentendosi già esperta e capace, elargiva gratuitamente consigli senza tener conto né del mio istinto materno né del fatto che quel bambino fosse mio figlio e non il loro e soprattutto che non lavorassi; e tutto questo accadeva in un momento in cui io, particolarmente indebolita e stanca, avrei avuto di bisogno in realtà, di chi mi incoraggiasse e rafforzasse il mio naturale atteggiamento nei confronti della creatura che per la prima volta avevo tra le mani. In verità accadeva che volti e occhi attorno a me disapprovavano che ascoltassi prima di tutto il bisogno del mio bambino, quello cioè di sentire il mio contatto e il mio calore attraverso il corpo per confermargli di esserci e rassicurarlo del mio amore. Pertanto mi suggerivano tra le tante cose di abituarlo a dormire nella sua culletta perché altrimenti sarei stata schiava del suo volere e non avrei potuto badare ad altro.
Forse nel suggerirmi ciò sentivano meno il senso di colpa per essere state costrette dai loro impegni lavorativi a non assecondare sempre il bisogno del contatto che un bimbo ha nei primi mesi di vita.
In verità, ho sempre pensato che un essere umano non si può “abituare” a stare solo, ma è solo per adattamento, per convenienza; forse che una donna innamorata può “abituare” il proprio uomo ai troppi baci, alle carezze, al contatto fisico e sentirsi schiava qualora lui desiderasse stringerla a se ogni volta che lo volesse per confermarne l'amore? Esiste forse una misura?
Pertanto non comprendendo il perché avessi dovuto lasciar piangere mio figlio nel timore di abituarlo alle mie braccia, soprattutto dal momento che ero a sua disposizione giorno e notte e non dovendo rientrare al lavoro nei mesi a venire, ogni giorno ho ascoltato il bisogno di mio figlio ripetendo a me stessa che lo avrei privato del mio contatto anziché abituarlo se lo avessi lasciato piangere e gli avrei offerto al posto del calore delle mie braccia, della morbidezza e del profumo della mia pelle, un gelido, freddo, imbiancato “sepolcro” a quattro ruote.
Schiava? E cose sono tre, quattro o cinque anni della mia vita da trascorrere godendo ogni giorno di quelle braccine che sicure cercano il mio conforto, di quegli occhi che, sereni, si addormentano accanto a me.
È una scelta che ho potuto permettermi: essere mamma a tempo pieno! E quando tutto questo intenso periodo finirà sarò felice di aver goduto e non rimpianto. Quante madri invece impegnate a occuparsi delle faccende domestiche e del lavoro fuori casa imparano a condividere i figli con entrambi gli impegni, dedicando ogni giorno un po' del loro tempo ora a questo, ora a quello, perciò conoscono un solo modo di occuparsi del loro bambino, che purtroppo non lascia grande spazio al bisogno del piccolo d'avere la sua mamma sempre vicina. In tale modo fuggono certamente dalla “schiavitù” cui le costringe il figlio e tuttavia incorrono in un'altra schiavitù altrettanto severa, quella del lavoro, dell'impegno fuori casa, schiavitù questa così tanto crudele che spesso non permette loro di dedicare anche solo un'ora al proprio bambino per addormentarlo e le induce invece a farlo piangere nella sua culla perché trovi da solo la capacità di addormentarsi, perché fin da piccolo comprenda che la mamma non può essere sempre lì a disposizione. E tutto questo indurisce le mamme, le abbrutisce al punto che si convincono d'essere nel giusto, forse per difendersi, forse per giustificarsi da una tale crudeltà, e perciò dispensano la loro esperienza dimenticando che se una società migliore avesse permesso loro d'essere solo e principalmente mamme, esse avrebbero compreso da sole che non c'è alcun motivo di lasciar piangere il proprio bambino, mentre un bambino ha tanti motivi per farlo, è il solo mezzo di comunicazione che conosce quando è ancora troppo piccolo, quel mezzo che gli permette di gridare alla mamma l'immenso bisogno che ha di lei, del suo contatto, oltre che di condividere con lei il gioco, soddisfare attraverso lei la fame, essere aiutato a mantenersi pulito.
Forse nel tempo si è perso anche il dono dell'istinto, la nostra civiltà così tanto civilizzata da un lato, dall'altro ha rubato alla mamma la sua sicurezza costringendola a temere di ciò che la natura le ha donato in modo perfetto: il latte materno, unico nutrimento per il proprio bambino nei primi mesi di vita.
Quante madri si affidano ad estranei pensando di dare il meglio al proprio bambino e rinunciano invece al bene più prezioso perché scarsamente informate e sostenute. E quanta ignoranza in questo campo!
Quando ho cominciato ad allattare sentivo posarsi sui miei seni occhi pieni di vergogna, quasi fosse indecoroso il mio atteggiamento. A chi dare la colpa di tutto questo? Parlando con le nostre nonne si scopre che esse hanno allattato, chi in tempo di guerra, chi patendo la fame, specialmente in un’epoca in cui davvero tanti erano i tabù e le proibizioni per le donne, l'allattamento era l’unico atto veramente naturale, loro lo avevano compreso. Oggi in una società così avanzata e moderna in cui i tabù e i falsi moralismi sembrano ormai abbattuti appare indecoroso e vergognoso scoprire il seno per allattare il proprio piccolo! Mi chiedo se forse non è anche questa una scusa per giustificare quel tempo che si deve condividere tra mille impegni grazie ad una società che ci vuole frenetici, operativi e attivi sempre e comunque, e che non dà spazio alla riflessione, alla concentrazione, alla calma. Forse tutto ciò ha fatto si che non ci si chiede più il perché di certi atteggiamenti, si agisce e basta, e si tramanda. È un mondo crudele il mondo dell'adulto: se tra l’altro crede che anche un bimbo nasconda una buona dose di furbizia quando pretende le attenzioni tutte per sè. Un giorno qualcuno mi disse: ricorda che in nessuno esiste la malafede, se solo si pensasse alle conseguenze che una tale azione possa provocare nell'altro si eviterebbe di agire. Penso sia così per i bambini piccoli, non pretendono le attenzioni e l'affetto, ne hanno semplicemente bisogno, sempre, per affrontare il mondo da adulti capaci d'amare, infatti solo se sono stati appagati potranno comprendere domani il bisogno di appagare. Quante madri lamentano il comportamento dei loro figli ormai grandi che non si confidano più, le cercano poco e male e spesso presi dalla loro vita e dagli impegni, non si accorgono del vuoto che creano. Forse che quelle stesse madri a loro volta hanno cresciuto ed educato i loro piccoli prese com'erano, per necessità o per convenienza, dagli impegni familiari o lavorativi?