E metto insieme parole, a scuola mi chiamano scherzando “l'inventora”. Di certo anche loro, i miei compagni, non sono da meno quando hanno da appiccicare soprannomi ed etichette. E' dalla prima liceo che mi conoscono e subito a chiamarmi col nomignolo. Mi piacerebbe una volta tanto che mi chiamassero col mio nome e invece no, anche quando siamo alle feste sembra si divertano di più a rivolgersi alle persone coi soprannomi. Alla Elisabetta che proprio oggi ho visto al supermercato stavo quasi per chiamarla “La bona”, poi mi sono fermata in tempo per fortuna, era col padre e sua sorella più piccola e certo ci sarebbe rimasta male. Mannaggia a loro e ai soprannomi, mi chiedo a che servono se non a dare inizio alla lunga serie di etichette che poi ci accompagna fino a grandi quando, anche esponendo un'idea o attuando un comportamento, ce lo scrivono in fronte se siamo così o cosà. Che mania stupida. Ed io allora parlo della strada, di quella che ognuno percorre a suo modo illudendosi di avere l'arbitrio e invece è l'istinto a guidarlo, e poi di chi non va al di là delle proprie convinzioni, si fissa e si rifissa e rimane rigido e si è perso parti nel frattempo. Io per esempio sto qui a scrivere di notte, e lo faccio per trascorrere le ore che volentieri vorrei passassero e ritornasse il giorno. E perché lo faccio, non certo perché sono un'inventora come dicono quei cretini dei miei compagni, ma solo perché ho paura, sì proprio così, una profonda paura di questa notte che avanza e tutti dormono e siamo alla mercé di ciò che possa accadere. E così sto alla scrivania, mi guardo la tv, leggo qualcosa e poi accoppio le parole. Mi vengono spontanee, sarà la paura a rendermi prolifica. Di certo mi tiene sveglia e solo quando le palpebre si chiudono rimetto tutto a posto e m'infilo a letto. A scuola oggi l'insegnante di italiano mi guardava sbadigliare, e subito a dirmi: facciamo le notti brave in discoteca vero D'amico? Ecco, anche lei a giudicare e chissà a fare due più due, una sola cosa ha fatto bene a dire, il mio cognome. Se sapesse invece che sto sveglia per la paura la smetterebbe anche lei di giudicare. Che brutto vizio! E dire che a mia madre le ha pure detto: signora, le consiglio di limitare le uscite serali di sua figlia, quanto meno nei giorni di scuola. E quella povera di mia madre a guardarla stranizzata. Siamo uscite da quella stanza in gran silenzio, credo che ancora si stia chiedendo a quali uscite serali la prof si stesse riferendo. E' già mezzanotte passata e ancora ho il cuore in attesa, vedo il mio letto e non ho alcuna voglia di andare a dormire, anzi mi dico che se potessimo vivere di notte come facciamo di giorno avremmo anche più tempo. Vorrà dire che studierò ancora un po' e così domani mi faccio interrogare in storia.
Certo però che di notte tutto sembra più brutto e angosciante, leggevo in un libro che la paura del buio è atavica, risale agli uomini primitivi che temevano le bestie feroci e da allora è scritta nel nostro dna, ce la portiamo dappresso per tutta la vita. Ieri l'altro al compito in classe di matematica Luigi mi ha confessato d'aver paura anche lui, e così gioca ai videogiochi fino a stancarsi. A lui per esempio lo chiamano “Il secchione”. Ecco, se sapessero che invece di studiare gioca semplicemente, che figura farebbero. E di certo io e il Luigi non abbiamo alcuna intenzione di parlare, passerebbero dal mettere soprannomi a prenderci in giro che forse è anche peggio. Tutto sommato mi sta bene ciò che pensano così non mi disturbano più di tanto. Mi toglierei volentieri la paura invece, e queste ore passate ad ascoltare i rumori, gli scricchiolii e a fare finta che invento parole quando invece vorrei dormire e basta.