Autore Topic: Scienza e relativismo  (Letto 9344 volte)

Doxa

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Scienza e relativismo
« il: Novembre 12, 2012, 19:00:56 »
Karl Raimund Popper (1902 –1994) fu un filosofo ed epistemologo  nato in Austria ma vissuto in Inghilterra. Nell’ambito scientifico è noto per  aver proposto la falsificabilità come criterio di demarcazione tra scienza e non scienza e per il rifiuto e la critica del metodo induttivo o induzione, dal latino “inductio” (verbo induco, presente di in-ducere) che significa  indurre o trarre a sé.

Il metodo induttivo è un procedimento che da singoli casi cerca di stabilire una legge universale. Questo metodo è contrapposto al metodo deduttivo, che, al contrario, procede dall'universale al particolare.

Karl Popper scrisse: “Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. Il vecchio ideale scientifico dell’episteme (della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile) si è rivelato un idolo, L’esigenza dell’oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente ed inquieta della verità”.

Il professor Dario Antiseri (filosofo ed epistemologo) dice che tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata,, si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli  al fine di vedere se esse sono false, cioè sbagliate. Si cerca di dimostrare l’eventuale falsità delle congetture per sostituirle, se possibile, con teorie migliori, più ricche di contenuto esplicativo, nella consapevolezza che non è possibile dimostrare assolutamente vera nessuna teoria.

Se ci confrontiamo con problemi difficili è facile sbagliare, perciò razionale non è l’individuo che vuol avere comunque ragione, ma quello che vuole imparare dai propri errori e da quelli altrui.

Ancora Popper: l’errore commesso, individuato ed eliminato permette di essere meno ignorante. E nello sviluppo della ricerca scientifica, ma non solo, consente di evitare sia il dogmatismo sia l’arbitrio soggettivo, che hanno provocato scontri e guerre in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive religiose, politiche e filosofiche.

E’ ovviamente sbagliato sostenere che tutte le etiche sono uguali. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è un principio diverso da “occhio per occhio, dente per dente” e da quello leninista: “la morale è soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato”.

Ci sono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche: non esistono spiegazioni etiche. Dalla scienza non si può estrarre la morale. I principi etici si fondano su scelte di coscienza e non sulla scienza. Il pluralismo di valori  induce alla scelta, alla libertà di scegliere e al relativismo, inteso come esito della non fondabilità razionale di qualsiasi principio etico. Invece la presunzione di essere in possesso di “fundamenta” del proprio sistema etico può generare fondamentalisti inquisitori che pretendono di imporre agli altri il “Vero” e il “Bene” platoniani, magari a costo di lacrime e sangue a chi ha idee ed ideali diversi.
Si dice che sia la ragione a far stabilire ciò che è Bene e ciò che è Male. Ma la ragione di chi ?

Scrisse Blaise Pascal: Nulla in base alla ragione è di per sé giusto, tutto muta col tempo”.  Con tale affermazione Pascal  deve essere considerato un “fideista” perché disprezza la ragione o un razionalista consapevole dei limiti della ragione ?

Per il cristiano solo Dio è assoluto e tutto ciò che è umano è storico, contestabile, perfettibile, non assoluto. E la ragione è come una lanterna, da tenere sempre accesa, necessaria per la correzione dei nostri errori, indispensabile nelle scelte  e per scrutare i limiti.

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #1 il: Novembre 13, 2012, 19:27:24 »
/2

ll relativismo nega l'esistenza di verità assolute. Se esistono, non sono conoscibili o relativamente conoscibili.

Il relativismo  fu sviluppato dall’antica filosofia sofistica greca dalla seconda metà del V secolo a.C.; in seguito posizioni relativiste furono espresse dallo scetticismo antico e moderno, dal criticismo, dall'empirismo e dal pragmatismo.

I seguaci della Sofistica,venivano denominati sofisti. Al centro del loro interesse c’era l’individuo,  considerato  all’interno di una comunità, caratterizzata da valori etici, religiosi, culturali, ecc..

Di solito i sofisti usavano il loro sapere per insegnare ai figli degli aristocratici e venivano retribuiti.

Fra i sofisti del V sec. a.C. emersero Protagora e Gorgia.

Protagora svolse la sua attività di insegnante girovagando per le città, soggiornando più volte ad Atene.

Come relativista Protagora dice che non esiste una verità oggettiva, perché la conoscenza è condizionata dal soggetto che percepisce e pensa, e non esistono criteri universali che consentano di discriminare la verità e la falsità delle conoscenze soggettive.

Anche la conoscenza è limitata: l’individuo può conoscere solo le cose che diventano oggetto della sua esperienza.

Un altro filosofo considerato fra i maggiori sofisti fu Gorgia (485 a.C. – 375 a. C). Pure per lui la verità non esiste. Tutte le possibilità si equivalgono, perché non sono conoscibili, e con l’arte oratoria si può dimostrare che “tutto è il contrario di tutto”. Ciò che conta è la capacità di argomentare, ma il linguaggio è distaccato dalla verità.

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #2 il: Novembre 15, 2012, 15:48:45 »
/3

Nell’antica Grecia la filosofia fu usata anche  per superare le spiegazioni mitologico-religiose del cosmo, slegandosi da quest'ultime e promuovendo per la prima volta un pensiero basato su un metodo razionale, poi in gran parte assimilato dalla teologia cristiana medioevale  attraverso la filosofia Patristica (che è la filosofia cristiana dei primi secoli elaborata dai cosiddetti “Padri della Chiesa” e dagli scrittori ecclesiastici), in seguito accolta nella filosofia Scolastica, che rappresenta la filosofia della religione cristiana dal IX secolo all’inizio del Rinascimento.
 
Il termine “scolastica” deriva dal latino "scholasticus" ed indicava il docente che insegnava.

Il carattere fondamentale della filosofia scolastica è l'uso della ragione al servizio della verità di fede, per difenderla dai tentativi di negarla da parte del relativismo e dello scetticismo.

Il termine scetticismo deriva dalla parola greca “sképsis”, che vuol dire "ricerca", "dubbio"; nel verbo sképtesthai  significa "esaminare".

Lo scetticismo filosofico venne elaborato e sviluppato in Grecia dal IV secolo a.C. al II secolo d.C..

Lo scettico nega la possibilità di conoscere la verità (=realtà), perché questa è contingente e mutevole, si basa sui sensi, che danno  percezioni ingannevoli.

Nell'alto medioevo il primo tentativo di sintesi fra ragione e fede fu quello di Agostino d’Ippona e le sue riflessioni  ebbero notevole influenza nell'Occidente cristianizzato, almeno fino al 13/esimo secolo, quando Tommaso d’Aquino giunse ad una più completa conciliazione tra fede e ragione.

Il filosofo e teologo Agostino (354 – 430) vescovo d’Ippona (Algeria),  asseriva che chi sostiene l’impossibilità di ogni certezza si contraddice perché ha la certezza che non vi sono certezze. Chi dice di dubitare di tutto si contraddice perché è certo che può dubitare, e quindi che vive e pensa. Il dubbio conduce l’individuo  sulla strada della verità, che consente di negare il relativismo, il “diritto d’errore”, che fu stigmatizzato da Agostino d’Ippona come la “peste dell’anima” e la “libertà di perdizione”.

La ricerca della verità è un anelito dell’essere umano, e cercarla suppone  un esercizio di autentica libertà, perciò in questo momento penso  al Vangelo di Giovanni (cap. 18, versi 37-38), quando Ponzio Pilato rientrò nel pretorio e fece chiamare Gesù per domandargli: “Dunque tu sei re ?” Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. […] Gli dice Pilato: “Che cos'è la verità ? “[…]

Ponzio Pilato ironizzò  sulla possibilità di poter conoscere la verità,  proclamando l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti.

"La fede consolida, integra ed illumina il patrimonio di verità che la ragione umana acquisisce”, disse il frate domenicano  Tommaso d'Aquino  (1225 – 1274) ed il relativismo è “un male morale, un vizio della volontà” che diventa progressivamente incapace di distinguere il vero dal falso e il giusto e dall'ingiusto.

Secondo Tommaso la filosofia consente di approdare ad alcune verità fondamentali, come la conoscenza razionale dell'esistenza di Dio.
 
Per tutto il periodo medioevale la filosofia venne sviluppata parallelamente con l’evoluzione del pensiero religioso, pur se alcuni autori, come Guglielmo di Ockham, evidenziarono l'esigenza di un'autonomia della filosofia dalla religione e chiesero la separazione della filosofia dalla teologia sottolineando l'impossibilità di comprendere con la ragione i misteri della fede.

Guglielmo di Ockham  (1288 – 1349), teologo e filosofo francescano inglese, poi scomunicato, mise in rilievo il problema già sollevato dal  filosofo Averroé che assegnava alla filosofia il riflettere e lo speculare e alla religione l'amore per Dio e l'agire di conseguenza, perché il ragionamento spesso non coincide con la fede.

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #3 il: Novembre 21, 2012, 18:48:47 »
/4

Il relativismo come concezione filosofica  non ammette verità assolute nella conoscenza o principi immutabili nell’etica.

Il relativismo non è una minaccia per la società, al contrario lo è il dogmatismo assolutista, fondamentalista e intollerante.

Nella filosofia moderna il relativismo assunse caratteristiche particolari.

Nell’ambito teologico-metafisico il relativismo venne fatto dipendere dall'insanabile contrasto tra la limitatezza della mente umana e l'infinitezza della verità divina.

Il filosofo e teologo tedesco Nikolaus Krebs von Kues, conosciuto da noi come Nicola Cusano (nome e cognome italianizzati) oppure Niccolò Cusano o Niccolò da Cusa (1401 – 1464), constatò la differenza  tra realtà divina e ratio naturalis e nel suo saggio titolato “De docta ignorantia” scrisse: "La verità non ha né gradi, né in più né in meno, e consiste in qualcosa di indivisibile. [...] Perciò l'intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all'infinito.” (1, 2-10)

In un altro suo elaborato titolato “De conjecturis”, egli affermò il carattere “congetturale” della conoscenza umana. Non potendo conoscere la realtà divina i e l’essenza delle cose possiamo solo formulare delle congetture, delle supposizioni.

Un secolo e mezzo dopo,  il filosofo ed ex frate domenicano Giordano Bruno (1548 – 1600)  aveva capito che  la novità concettuale dell’astronomia copernicana avrebbe coinvolto aree di riflessione apparentemente lontane dalla cosmologia, quali la teologia, 1'epistemologia, i valori morali. Per lui non c’era possibilità di convivenza tra fede e ragione. La strada della fede induce a rinunciare "a cogliere il frutto dell'albero della scienza."

Nella storiografia è interessante il relativismo espresso dallo storico e politico italiano Francesco Guicciardini  (1483 – 1540). Ne “I ricordi politici e civili” pubblicato nel 1530 e nella “Storia d’Italia”, pubblicata postuma nel 1561, rifiuta il tentativo di Niccolò Machiavelli  di sintetizzare la realtà tramite principi unici ed assoluti. Per Guicciardini è necessario considerare ogni singola situazione in funzione del contesto nel quale essa si determina. Perciò è necessario spostare l’attenzione dall’universale al cosiddetto “particolare”:  Nei “Ricordi” ha scritto:“È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione.”

Da un punto di vista psicologico il relativismo è considerato (Montaigne, Hume) una conseguenza della natura umana, incapace di andare oltre i propri limiti, le proprie inclinazioni e abitudini personali e sociali.

il filosofo e politico francese Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592), considerato il precursore del relativismo antropologico, nel suo saggio titolato “Dei cannibali” (motivato dalla visita, nel 1563, al re di Francia Carlo IX di tre indigeni delle Antille appartenenti ad una tribù cannibale), evidenzia la relatività del concetto  di “barbarie”, che è sempre in rapporto al proprio modo di vivere, considerato come parametro per giudizi .  Montaigne dice che “Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi: "sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo.” “Civiltà” e “barbarie” sono quindi concetti relativi, che possono essere facilmente capovolti l’uno nell’altro.

Il filosofo e storico scozzese David Hume (1711 – 1776) si chiede a cosa serve pensare se l'oggettività non esiste. Sostenere che "ogni cosa che è potrebbe anche non essere", può esser valido quando si fanno delle ipotesi o quando si criticano aspetti ritenuti negativi. Nel mondo, osservò Hume, niente è uniforme, perciò non prevedibile. Le proposizioni descrittive che parlano di fatti si possono logicamente dedurre soltanto altre proposizioni descrittive e non mai proposizioni normative,
« Ultima modifica: Gennaio 09, 2013, 13:44:28 da dottorstranamore »

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #4 il: Novembre 29, 2012, 21:32:56 »
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Fra i fautori del moderno relativismo ci furono Friedrich Schiller, Ralp Waldo Emerson, Friedrich Nietzsche,  Oswald Spengler e Ludwig Wittgeinstein.
 
Il filosofo e scrittore tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805), meglio conosciuto in Italia come Friedrich Schiller,  nega ogni verità "assoluta" o "razionale": la verità è sempre relativa all'uomo, valida perché utile a lui.

Il filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882) propose un’etica individuale basata su una singolare combinazione di relativismo e perfezionismo (che lo avvicina alla tradizione stoica e alle radici puritane della cultura americana). L'asse portante del suo pensiero fu la definizione di "Superanima", descritta come una forza superiore che vigila e interviene sulla realtà e sull’intelletto degli individui.

E’ del filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900) la celebre frase relativista: "Non esistono fatti ma solo interpretazioni dei fatti” da parte degli individui.

Nietzsche con la sua affermazione  si allontana dalla verità di tipo trascendente, e non poteva essere diversamente per questo filosofo che diceva “Dio è morto”. Abolita la trascendenza e l’orizzonte della metafisica, per lui la verità diventa una costruzione dell’Uomo.

E’ tedesco anche il filosofo e storico Oswald Spengler (1880 – 1936), il quale scrisse il noto libro “Il tramonto dell’Occidente”, nel quale afferma la relatività dei valori in rapporto alle epoche storiche. “Ogni cultura ha il suo proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso.  E per quanto riguarda l’etica egli crede che non ci sia alcuna morale universale.

Il filosofo austriaco Ludwig Josef Johann Wittgenstein (1889 – 1951) sosteneva che la realtà  viene filtrata dalla percezione umana, limitata ed imperfetta, perciò ogni conoscenza è relativa.
Wittgenstein nel suo libro “Ricerche filosofiche” espone la sua tesi: ogni “universo linguistico”, quale è quello delle culture o delle civiltà, ha le proprie regole di costruzione, significazione e decisione. Il vero, il bello, il buono in una cultura sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella cultura.

ciro

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #5 il: Novembre 30, 2012, 05:08:35 »
In questa tua rassegna, caro Dottor Stranamore,  non vedo Feuierbach che a mio parere, in questo contesto, tutti gli altri oscura. Chi ha reso relativo perfino dio merita ben altri altari!

Con stima

Ciro

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #6 il: Dicembre 01, 2012, 18:57:11 »
Grazie Ciro per avermi segnalato il filosofo tedesco  Ludwig Andreas Feuerbach, che fu tra i più influenti critici della religione. Come tale l’ho inserito nel topic dedicato a scienza e conoscenza, nel 18/esimo post dedicato all’anima, perché nel 1830 pubblicò un libro titolato: “Pensieri sulla morte e l’immortalità”, in cui nega l’immortalità dell’anima. Ovviamente Feuerbach è molto conosciuto per il suo libro del 1841 “Essenza del cristianesimo”  e l’altro dedicato nel 1845 all’”Essenza della religione”, ma sul relativismo mi sembra che egli non abbia argomentato, perciò se  su questo tema puoi segnalarmi qualcosa di suo sarei contento.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #7 il: Dicembre 07, 2012, 09:34:30 »
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Per la Chiesa cattolica il relativismo è inaccettabile, in particolare il relativismo etico.

Il Vaticano afferma di rispettare le fedi diverse dalla propria, ma vorrebbe imporre come unica verità teologica, la sua, seguendo le parole di Gesù  ai suoi apostoli riuniti nel cenacolo “Io sono la via, la verità, la vita.” (Vangelo: Gv 14,1-12). 

Secondo papa Ratzinger anche se le religioni sono diverse, la ragione umana è una ed identica per tutti gli individui che possono dialogare sulla base di un fondamento condiviso, facendo riferimento sulla nozione di verità e che cosa l'adesione ad essa in definitiva comporti. Ma la sua opinione viene respinta dall’Islam e nell’Occidente laicista.

Il teologo americano Paul Knitter dice che  il presupposto fondamentale per il pluralismo è quello di riconoscere che tutte le religioni sono o possono essere egualmente valide.

Il card. Camillo Ruini l’11 maggio 2007 a Torino in occasione della “Fiera internazionale del libro” descrisse la crisi della teologia cattolica, che disorienta i credenti: “La profonda disillusione prodotta nell’ambito delle teologie della liberazione dal crollo del muro di Berlino (1989) ha spinto vari loro esponenti verso il relativismo. Essi sono confluiti, insieme a non pochi altri teologi, in quell’orientamento che prende il nome di teologia delle religioni, secondo il quale non solo il cristianesimo ma anche le altre religioni del mondo, con i popoli e le culture che ad esse si riferiscono, costituirebbero, accanto al cristianesimo storico, autonome e legittime vie di salvezza. Viene così abbandonata la fondamentale verità della fede, secondo la quale Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo ed è vissuto nella storia, è l’unico Salvatore dell’intero genere umano, anzi di tutto l’universo”. In questo modo si accetta il messaggio di Gesù ma non Cristo come messaggero.

Il termine 'pluralismo'  esprime il concetto di molteplicità e si contrappone al monismo, all'unità. Ma la realtà, costituita da una pluralità di fenomeni, non può essere compresa partendo da un solo principio e non è riducibile ad una unità.

Il pluralismo politico e socioeconomico è il presupposto e  la condizione necessaria  della democrazia rappresentativa. Però nell’ambito religioso è inaccettabile. Il rifiuto dipende dalle varie gerarchie religiose, perché sottende il potere di controllo sulle masse, sugli annessi interessi economico-finanziari, sull'esistenza stessa delle religioni come organizzazioni.

Le posizioni del Vaticano contro il relativismo sono nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”, in alcune encicliche del pontefice Giovanni Paolo II, fra le quali “Fides et ratio” e “Veritatis  splendor”, in alcune note dottrinali della Congregazione per la dottrina della fede, in varie omelie e discorsi del papa Benedetto XVI, il quale  anche nella sua enciclica “Spe salvi” (30 novembre 2007) ribadisce che  la funzione della Chiesa, del magistero e del papa è quella di “rendere testimonianza alla ragione e alla sua capacità di conoscere la verità.

L’attuale Pontificato si caratterizza per la lotta contro il relativismo.
Il 18 aprile 2005, alla Messa “pro eligendo romano pontifice”, il card. Ratzinger disse: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, sbattuta da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale… Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #8 il: Dicembre 08, 2012, 11:15:07 »
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L'altro giorno, 6 dicembre, vigilia della ricorrenza festiva dedicata a Sant’Ambrogio, patrono della città di Milano,  il cardinale Angelo Scola, ha letto il tradizionale discorso alla città, argomentando su vari temi.

Secondo l’arcivescovo di Milano la laicità dello Stato mette a rischio la libertà religiosa.

Il “modello francese di laicité che è parso ai più una risposta adeguata a garantire una piena libertà religiosa, specie per i gruppi minoritari”, ha detto Scola nella basilica di Sant’Ambrogio,  “si presenta a prima vista idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti.” Ma, sostiene il cardinale, la laicità “ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso.” E “la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l'idea di neutralità, il sostegno a una visione del mondo che poggia sull'idea secolare e senza Dio.”

Forse il cardinale Angelo Scola vorrebbe lo Stato italiano  non aconfessionale.  Il suo ideale è l’Islam ? In alcune nazioni del nord Africa, del Vicino e Medio Oriente la politica è ispirata e condizionata dalla religione coranica. 

Il Vaticano è consapevole della perdita d’influenza sugli individui e chiede la collaborazione del potere politico, come è sempre stato fin dai primi secoli. Anche l’Inquisizione si servì del “braccio armato” messo a disposizione della Chiesa dai sovrani.
 
L'arcivescovo ha aggiunto che ''Lo Stato cosiddetto 'neutrale',  lungi dall'essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identita', soprattutto quelle religiose, presenti nelle societa' civili tendendo ad emarginarle, se non espellendole dall'ambito pubblico''. Nel tempo, ''si sono andate assolutizzando in politica delle procedure decisionali che tendono ad autogiustificarsi in maniera incondizionata''.

L’allontanamento degli individui dalla religione  non è dello Stato aconfessionale.  Diversamente dal passato le persone hanno la possibilità di studiare, i vari rami della scienza hanno eliminato false credenze, superstizioni e miti religiosi. Ed anche la gerarchia cattolica si deve confrontare con la realtà, che la costringe alla perdita di potere e di influenza sulle masse. 
Il cristianesimo non è più considerato l’unico depositario della “verità” divina, ma una religione fra le altre, secondo i relativisti. 
« Ultima modifica: Dicembre 08, 2012, 11:19:31 da dottorstranamore »

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #9 il: Dicembre 20, 2012, 07:35:57 »
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La riforma protestante è la causa della secolarizzazione dell'Occidente ?

Brad Gregory, docente di storia all’Università di Notre Dame negli Stati Uniti, ha pubblicato un suo libro dal titolo: “The Unintended Reformation: How a Religious Revolution Secularized Society” (Harvard University Press 2012, 592 pagine), traducibile nel seguente modo: “La Riforma non compresa: come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società”.

Il professor Gregory è convinto che la Riforma Protestante sia stata la causa della secolarizzazione del mondo occidentale. Egli afferma che quando quei riformatori del Cinquecento decisero di abbandonare la cultura filosofica aristotelica e tomistica diedero il via al pluralismo religioso e confessionale che ebbe ripercussioni notevoli su tutta la società, in particolare su quella Europea.

La tesi  di Gregory è influenzata  dal pensiero di Ernst Troeltsch e di Max Weber.

Per Gregory  i problemi dottrinali irrisolti ed i conflitti religiosi e politici nati dalla Riforma protestante costrinsero a prendere una direzione di secolarizzazione e di separazione della religione dal resto della vita pubblica con conseguente “relativizzazione di ogni forma di fede”.

Le guerre di religione e la persecuzione delle minoranze religiose generò il desiderio di trovare un fondamento comune del vivere civile che non si basasse sulla religione né sulla costrizione agli individui di aderire ad una Chiesa. 

Nel nostro tempo molte persone  credono che nessuna religione sia depositaria della cosiddetta “verità” in senso teologico, e  la scelta religiosa sia una questione privata, soggetta alla preferenza  personale.

Io penso che sia eccessivo associare alcuni fenomeni sociali alla Riforma protestante, che  s’inserì in un processo storico di divisione all'interno della societas cristiana. La riforma protestante va ricondotta nell’ambito dei problemi religiosi interni al Cristianesimo; non credo che essa possa aver influito molto nell’ambito socioeconomico, ad eccezione del calvinismo.

Se è vero ciò che dice Max Weber, che capitalismo e individualismo sono due fattori che albeggiano all'interno delle società riformate, è altresì vero che le cause non si possono ricondurre completamente alla Riforma protestante, che fu l’effetto e non la causa  della secolarizzazione nel centro-nord Europa.

E l’Illuminismo ? Fu determinante per il rinnovamento della civiltà occidentale, per liberare gli individui dalle  cosiddette “verità”: la  religione cattolica si considera la depositaria dell'unica “verità”, quella cristiana. Superba certezza della sua verità  oggettiva !  Ma quali sono le modalità per l’acquisizione della verità ? Quelle insegnate dalla Chiesa o dalla scienza ?  La verità è relativa ? La scienza offre la conoscenza razionale, laica e antidogmatica;  per sua natura è relativista.

piccolofi

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #10 il: Gennaio 05, 2013, 19:31:52 »
Caro Dottor Stranamore, che spesso da solo, con costanza ed impegno, popoli questo settore nelle sue varie sezioni, io dal mio piccolo sento il bisogno di ringraziarti per le interessanti lezioni impeccabilmente esposte.
Ai lontani tempi in cui studiavo, la filosofia non mi prendeva granche', ma se avessi avuto un docente come te penso che il mio approccio sarebbe stato diverso, arricchito di stimoli.
In fondo, forum non e' solo palleggio o dibattito, ma anche questo, ossia regalare agli altri ( quelli che hanno interesse ) le proprie conoscenze.
Ognuno da' in modo diverso.
Io in questo settore non posso che essere lettrice, ma mi va bene cosi'.
Grazie dunque e ciao, qualunque sia il tuo nome e di dovunque tu sia.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #11 il: Gennaio 06, 2013, 16:36:49 »
/9

Gentile interlocutrice, “piccolofi”,  il tuo nick è la forma abbreviata di piccolo fiore ?

Grazie per le tue cortesi parole d’incoraggiamento.

Mi chiamo Rudi e vivo a Roma.

Sono in età geriatrica ma la mente è rimasta nell’età pediatrica: un Peter Pan !

Mi piace argomentare su alcuni temi, comprenderli. Le diverse materie le ho nelle mie cartelle virtuali. Quando posso cerco di mettere ordine, di sintetizzare e pubblicare in questo forum come condivisione con voi.

Oggi ti voglio parlare del relativismo culturale.

Dal punto di vista gnoseologico od epistemologico la relazione tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto incontra dei limiti, perciò non si può parlare di verità  universalmente valida. Ed è ciò che afferma anche il relativismo. Ma quale relativismo ? Ci sono numerosi relativismi. Oltre quello scientifico, c’è quello culturale, quello etico ed altri. 

Relativismo culturale.

L’antropologo tedesco naturalizzato statunitense Franz Boas (1858-1942)  fu il primo ad elaborare il concetto di “relativismo culturale”. Per Boas ogni gruppo etnico  ha proprie tradizioni e modalità sociali.

Lo statunitense Jean Melville Herskovits (1895-1963) con il suo libro “L’uomo e le sue opere” contribuì a chiarire il concetto di relativismo culturale dal punto di vista antropologico.  Per Herskovits, la cultura è la risposta che  nel tempo i diversi gruppi umani si danno per la loro esistenza e le loro interazioni economico-sociali.
 
Un’altra antropologa, la statunitense Margaret Mead (1901 – 1978), studiò il ruolo dei fattori biopsicologici individuali e culturali nella strutturazione della personalità, e concluse che la variabilità naturale dei caratteri congeniti basilari è universalmente identica, ma  in ogni società vengono selezionate le modalità per vivere meglio nel proprio ambiente naturale.

Considerato il carattere universale della cultura, intesa in senso antropologico, e la specificità di un ambito culturale, si può affermare che ogni società è unica e diversa dalle altre. Da questa teoria sono derivate numerose tesi che raccomandano il rispetto delle diverse culture e dei valori in esse professati.

Fino al XIX secolo alcuni gruppi etnici diversi da quelli occidentali venivano considerati "primitivi" o "barbari".  L’etnocentrismo indusse molti intellettuali a presumere di essere gli unici in grado di proporre il proprio sapere ed il modo di agire  come termini di paragone per le altre culture.

"Etnocentrismo” è il termine usato dagli antropologi per indicare l'opinione secondo la quale il proprio modo di vita è quello giusto e naturale, il solo vero modo, quello di altri popoli è sbagliato. Si tratta di una forma di riduzionismo.

La tendenza ad interpretare o valutare le altre culture partendo dalla propria, divenne evidente presso gli europei dopo le grandi spedizioni geografiche, con la scoperta dell'America, delle isole del Pacifico e dell'estremo Oriente.

Per difendere la sopravvivenza delle culture "primitive" venne sviluppato all’inizio del '900 il cosiddetto "relativismo culturale". Gli assertori di tale teoria combattevano l’etnocentrismo, negando l'esistenza di un'unità di misura universale per la comprensione dei valori culturali, poiché ogni cultura era portatrice di istituzioni ed ideologie che non avevano validità al di fuori della cultura stessa. Emerse un nuovo punto di vista che facilitò la  comprensione e  l’apprezzamento
di una diversa cultura, la quale esprime il modo di vivere di una comunità, con  atteggiamenti o comportamenti appresi e tramandati nel tempo da una generazione all'altra durante il processo di socializzazione. 

Questo, dunque, è il relativismo culturale: ogni cultura ha pari dignità delle altre; non ci sono culture antropologiche “superiori” od “inferiori” ad altre, ma soltanto differenze.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #12 il: Gennaio 08, 2013, 17:07:34 »
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Il sociologo Gian Paolo Prandstraller nel suo saggio: “Relativismo e fondamentalismo” evidenzia l'avvento del relativismo come fenomeno di grande rilievo culturale che influenza la mentalità collettiva.

Dal punto di vista filosofico, il relativismo è quella corrente di pensiero secondo cui la conoscenza umana non può penetrare la realtà in sé, come assoluto, ma deve accontentarsi di afferrare della realtà solo aspetti parziali, particolari, contingenti.

Invece il fondamentalismo monoteistico dà una spiegazione unitaria ed esclusiva della realtà, perciò confligge con la visione pluralista e con le discipline che spiegano in modo diverso  la vita umana e l’universo.

Il relativismo nega l’Assoluto, cioè l’esistenza di entità-verità capaci d'intervenire nella realtà, esistenza che è invece alla base della religione cristiana.

Il fondamentalismo ormai viene percepito come dissonanza cognitiva dagli individui che non ricavano il proprio senso della vita da un principio trascendente.

Il relativismo contesta l’offerta unitaria di senso, del senso della vita, che offre, ad esempio, la Chiesa cattolica; non crede alla “salvezza” eterna  proposta dal cristianesimo come  scopo supremo di ogni individuo; non crede ad una realtà trascendente.

piccolofi

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #13 il: Gennaio 08, 2013, 17:57:27 »
Grazie, ho letto con interesse.   Se la conclusione che tutte le culture hanno pari dignita' in quanto espressioni di altrettanti gruppi umani e contesti, che vanno rispettati e per i quali non si possono stilare ne' classifiche ne' giudizi di valore ( stante appunto il relativismo di tutto ), trovo pero' che, pur conservando il rispetto, non sia altrettanto naturale e opportuno il mescolarsi delle culture.
Cioe' un conto e' l'approccio mentale, di principio, e un conto e'l'opportunita' concreta di una indiscriminata convivenza di culture diverse.
Intendo dire che, laddove le culture non sono compatibli o si ispirano addirittura a principi opposti, l'ecumenismo a tutti i costi mi sembra poco opportuno quando non controproducente.
Dunque, fatto salvo il principio da te esposto del dover tener presente la non assolutezza  bensi' il " relativismo " della cultura, la concreta integrazione delle culture io credo sia un problema con molte facce e che non puo' ad ogni modo essere superficialmente propugnata o peggio ancora imposta, con  atteggiamento semplicistico, "fideistico", o semplicemente opportunistico, quale e' spesso quello dei politici.
Ti saluto ora, e si, il mio nick ( che non avevo mai chiesto a nessuno di svolgere, ma che altri hanno avuto il dubbio piacere di mettere in chiaro ) sta per quello che hai detto.
L'espressione, non mia, viene dal passato e percio' mi era sembrato giusto troncarla nel farne un nickname.
Per le altre tue considerazioni..., da che esisto a me delle persone interessa solo la sostanza, non il contorno e non l'eta' anagrafica.
Non c'e' bisogno di rincorrere quel che non si ha piu', tanto quello che conta e' quanto abbiamo dentro.
E per chi la pensa diversamente....c'e' solo l'imbarazzo della scelta, specie al giorno d'oggi.
Ti pare?
Ma non definirti un " Peter Pan ", non mi sembra una gran definizione.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #14 il: Gennaio 09, 2013, 15:14:10 »

Se la conclusione che tutte le culture hanno pari dignita' in quanto espressioni di altrettanti gruppi umani e contesti, che vanno rispettati e per i quali non si possono stilare ne' classifiche ne' giudizi di valore ( stante appunto il relativismo di tutto ), trovo pero' che, pur conservando il rispetto, non sia altrettanto naturale e opportuno il mescolarsi delle culture.
Cioe' un conto e' l'approccio mentale, di principio, e un conto è l'opportunita' concreta di una indiscriminata convivenza di culture diverse.
Intendo dire che, laddove le culture non sono compatibli o si ispirano addirittura a principi opposti, l'ecumenismo a tutti i costi mi sembra poco opportuno quando non controproducente.


Concordo con te. Dopo la scoperta dell’”America” le antiche popolazioni del Sud America furono quasi sterminate dagli spagnoli e dai portoghesi. I missionari cattolici, in primis i Francescani, imposero il  cristianesimo  a quelle etnie  che già avevano proprie culture e religiosità. Anche nel Nord America ed in Canada le cose non andarono meglio. Gli inglesi ed i francesi ridussero entro piccole riserve i cosiddetti indiani.

Dunque, fatto salvo il principio da te esposto del dover tener presente la non assolutezza  bensi' il " relativismo " della cultura, la concreta integrazione delle culture io credo sia un problema con molte facce e che non puo' ad ogni modo essere superficialmente propugnata o peggio ancora imposta, con  atteggiamento semplicistico, "fideistico", o semplicemente opportunistico, quale e' spesso quello dei politici.

La Chiesa accusa gli organi internazionali di diffondere tra le popolazioni una morale relativista e per questo si concentra sull'inculturazione, cercando di mediare la visione etica delle "verità" rivelate con le tradizioni locali.

Papa Ratzinger è contro il relativismo, specie religioso. Nel contempo con il suo costante invito  all’accoglienza di gente con culture diverse costringe noi europei alla mescolanza di fedi diverse. Mi sembra un controsenso. Per motivi politici  e di pace religiosa  egli incita all’accoglienza, ma nel contempo pretende dagli occidentali una salda fede religiosa cristiana.  Eppure lo sa che la moltitudine degli europei cristiani è culturalmente insufficiente nella conoscenza della propria religione, in particolare nella teologia. Il proprio sapere del cristianesimo e della liturgia è limitato a quanto appreso nelle lezioni di catechismo   durante l’infanzia. E le omelie durante la Messa  anziché istruire sono spesso noiose.

Anche alcuni partiti politici strombazzano l’accoglienza degli stranieri e la Caritas vuol sfamare poveri e finti poveri con i soldi dello Stato italiano e le offerte. Ci sono delle onlus che per giustificare la loro esistenza segretamente chiamano  gente dall’Africa e dall’Asia e speculano su quegli immigrati. Questi, quando arrivano in Italia, pensano di trovare casa, lavoro, diritto d’asilo, diritto di cittadinanza. Ci sono albergatori che  per mesi li ospitano a spese del contribuente. Quegli immigrati quando sono qui incontrano ostacoli, indifferenza. Molti danneggiano le stanze dove vivono. Vogliono fare i padroni in casa nostra. Molti altri anziché tornare nelle loro nazioni si aggregano a bande di delinquenti e cominciano a spacciare droga, a rubare ed a commettere tanti altri reati. La maggioranza dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri. Il nostro parlamento è incapace di fare leggi severe, di prevedere espulsioni, di far scontare la pena detentiva nelle prigioni dei loro luoghi di provenienza. L’Italia è il “corpo molle” dell’Europa per colpa dei nostri politici e della Chiesa cattolica.

Comunque non bisogna generalizzare. Ci sono tantissimi immigrati dell’est Europa e del nord Africa che si sono integrati, sono brave persone.  Mandano i figli nelle nostre scuole. Lavorano nel settore del commercio, dell’edilizia, l’assistenza familiare, ecc..


Ma non definirti un " Peter Pan ", non mi sembra una gran definizione. Considerala una mia battuta scherzosa non corrispondente al vero.  Tale è stato il mio intento.
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Ora faccio seguito al relativismo culturale, per ribadire che questa teoria e prassi non ammette verità assolute, per l’impossibilità di  raggiungere la natura oggettiva delle cose. E considera le diverse fedi sullo stesso piano, perché non esiste una verità riservata ad una sola religione, come pretende la Chiesa cattolica.

Per le Chiese cristiane il relativismo culturale è inaccettabile perché mette in dubbio le verità rivelate che sono oggetto della fede.  Accettare il relativismo significherebbe l'eclisse del cristianesimo.

La Chiesa  cattolica afferma di rispettare le culture diverse dalla propria ma le vuole evangelizzare, perché si ritiene detentrice dell’unica verità: il Gesù-Dio. Essa richiama in proposito le parole di Gesù: “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv. 14,6). 

Molti ignorano che il contrario del relativismo è l’assolutismo. Forse in Vaticano ci sono ancora molti fautori di tale potere ormai perduto.
« Ultima modifica: Gennaio 09, 2013, 15:20:58 da dottorstranamore »