la storia è lunga, il nome elettricità deriva dall'usa delle prime monete. Era usata la pietra chiamata elettro che è un miscuglio di oro e argento. Le pepitine che vennero usate come prime monete si trovavano in un fiume della Grecia e la leggenda dice che lì stavano perchè vi si era lavato le mani il mitico Re Mida, che lì si era lavato le mani ed aveva passato la sua maledizione al fiume. Come moneta venivano usate anche pezzetti di ambra che come si sa, se strusciata si elettrizza, da ciò il nome di elettricità!
A proposito di elettricità, sul settimanale "Domenica" de "Il Sole 24 Ore" del 18 ottobre scorso, nella pagina 26 c'è un interessante articolo scritto da Laura Leonelli col titolo: "Si raccende la luce di Jacopozzi", con riferimento alla parigina torre Eiffel.
Il fiorentino Fernando Jacopozzi (1877 - 1932) ideò e poté realizzare per la prima volta, col finanziamento di André-Gustave Citroën (fondatore della fabbrica di automobili Citroen), l'illuminazione della Tour Eiffel in occasione dell'"Esposizione internazionale delle arti decorative" nel 1925. Quell'idea ebbe molto successo e fu ripetuta per illuminare altri monumenti e piazze di Parigi.
Questo è l'articolo della Leonelli:
"Era bastato un clic d’interruttore, quello generale, quello che lega la vita alla luce, e Fernando Jacopozzi, l’uomo che novant’anni fa accese l’immensa struttura della Torre Eiffel, era scivolato nell’oscurità. Sembrava una punizione o un risarcimento alla grandeur francese, visto che Jacopozzi, emigrante di successo, non aveva mai rinunciato alla nazionalità italiana. E sembrava pure che la famiglia di questo genio fiorentino si fosse dimenticata delle sue imprese, fino a quando la nipote, Véronique Tessier Huort, elegante pittrice parigina, ha deciso di collegare nuovamente i fili e riaccendere lo spettacolo di una storia straordinaria. Nel cuore, i pochi ricordi che la madre le ha affidato. Tra le mani, un talismano prezioso, «il libro delle fotografie che uno degli amici più cari di mio nonno, René Baschet, editore de “L’Illustration”, regalò a mia nonna alla scomparsa del marito. Sono partita da qui, ho creato un sito,
www.fernandojacopozzi.com, ho lanciato un appello su internet perché chiunque avesse informazioni, disegni, fotografie, ritagli di giornale, mi contattasse. Vorrei ricostruire l’intero archivio dell’Établissement Jacopozzi - racconta Véronique -. E poi vorrei che venisse dedicata una via a mio nonno, vicino alla Torre Eiffel. In fondo, dopo Gustave è lui che l’ha reinventata».
Ma prima che a Parigi, Fernando dovrebbe essere ricordato a Firenze, dove nasce il 12 settembre 1877, in via Giuseppe Verdi, a un passo dalla Basilica di Santa Croce. Di lui si sa poco, ha sei fratelli, è pittore autodidatta nella bottega di un decoratore di insegne, e clandestino in Francia per fuggire al matrimonio. È il 1900 quando Jacopozzi arriva nella Ville Lumière e vede accendersi il profilo della Torre Eiffel, illuminata per la prima volta dall’energia elettrica. Un appuntamento, il primo di tanti ce la farò. «Mio nonno era titanico e dispotico, altrimenti non avrebbe potuto raggiungere questi risultati».
I primi clienti sono i negozianti del 15° arrondissement, a cui Fernando suggerisce di unire alle insegne di caffè e piccole boutique una ghirlanda di lampadine. Improvvisamente la voce della pubblicità invade il silenzio della notte. Nasce un’altra città, al punto che nel 1918 Jacopozzi propone di ingannare gli aerei tedeschi, creando una falsa Parigi notturna e luminosa, sull’ansa della Senna a Villepinte, a quindici chilometri dal centro. Il progetto di camouflage resta sulla carta, ma l’idea è talmente patriottica che Fernando, a quel punto Fernand Jacopozzì, viene nominato Commandeur de la Légion d’honneur. Gli affari prendono il volo.
Nel 1925 Parigi ospita l’Esposizione internazionale di Arti decorative. E se la Torre Eiffel salutasse il mondo come una freccia tra le stelle? «Si può solo immaginare l’indignazione del Comitato dell’Expo, della Società della Torre Eiffel e della stessa città di Parigi, che aveva il controllo sui monumenti, alla presentazione del progetto di mio nonno. Un italiano che stravolge la creatura di Eiffel, mai!». Anche perché era stato lo stesso Eiffel a respingere le sirene del marketing qualche anno prima, e a chi gli proponeva di trasformare il suo capolavoro in un gigantesco cartellone pubblicitario aveva suggerito di rivolgersi ad altri “gestori”: «Quando vedrò le torri di Notre-Dame illuminarsi al crepuscolo, allora offrirò anche la mia torre».
Gustave Eiffel muore nel 1923. Insistendo sulla fraternité che unisce scienziati e artisti, Jacopozzi invita nel suo studio i responsabili dell’Expo. In una stanza dipinta di nero appare una Torre Eiffel, alta tre metri. Si abbassa una leva, e arabeschi di geometria fantastica avvolgono di luce il modellino. I visitatori sono ipnotizzati. Permesso accordato, ma niente finanziamenti. Jacopozzi cerca un mecenate e trova André Citroën. «Mio nonno confessò a sua figlia che l’ufficio di quell’uomo così potente lo aveva impressionato, anche perché aveva fatto un bel po’ di anticamera.
Fu Madame Citroën, in realtà, che convinse il marito a spendere 500mila franchi per scrivere il suo nome sulla Torre Eiffel e vederlo scintillare da luglio a ottobre, dall’Expo alla fine del Salone dell’Automobile». Poche settimane dopo e ai piedi della Tour appaiono cinque lettere di trenta metri l’una, novanta chilometri di cavi e 250.000 lampadine di sei colori diversi, montate su pannelli di legno, da agganciare a loro volta ai trecento metri della struttura di ferro. Gli elettricisti si rifiutano. «Mio nonno non si scompone. In suo aiuto giungono i gabbieri della Marina francese e gli acrobati del circo di Paolo, Francesco e Alberto Fratellini, originari di Prato e già vedettes in tutta la Francia. In due mesi e mezzo l’opera è compiuta. Nessun incidente, solo un braccio rotto. Finalmente arriva la sera del 14 luglio. Mio nonno, mia nonna, mia madre che allora aveva solo tre anni, insieme alla famiglia Citroën, agli impiegati e agli amici, si riuniscono sulla prima terrazza della Torre. L’ordine di accendere gli interruttori viene trasmesso per telefono a Monsieur Lecomte, capomastro dell’impresa Jacopozzi. In un attimo la creatura di Eiffel si veste di luce». Marie Laurencin, ritrattista del bel mondo, tra Coco Chanel e Andrè Gide, scriverà che nessuna donna ha mai indossato un abito più bello. Due anni dopo, nel 1927, le luminarie dell’Établissement Jacopozzi, che ancora animano la Torre, guidano nella notte Charles Lindbergh fino all’aeroporto di Bourget. Gloria. Jacopozzì diventa Jacò.
Tutti lo chiamano, dalla Galerie Lafayette al Bon Marchè, dalla Samaritaine ai Grands Magasines du Louvre. Italo Stalla, pittore italiano, collaboratore di Jacopozzi, inventa le insegne più originali. Nell’illusione del movimento suggerito da migliaia di lampadine accese e spente in pochi attimi, una cicogna spicca il volo, un elefante innaffia una scimmia nascosta tra le palme, e persino Ercole uccide l’Idra, scagliando una pioggia di pietre da Rue de Rivoli a Rue Saint Honorè, come testimoniano le fotografie di un altro amico di Fernando, Léon Gimpel, virtuoso del colore e reporter de «L’Illustration» (si veda la bella mostra nell’ambito della Biennale Foto/Industria a Bologna).
Nel 1930 il Cardinale Verdier si lascia tentare dal peccato della pubblicità e chiede di “accendere” Notre-Dame per il centenario del romanzo di Victor Hugo. L’illuminazione è miracolosa, un vapore tenerissimo che avvolge la chiesa, grazie a un sistema rivoluzionario di proiettori nascosti tra le pieghe dell’architettura. Un soffio e la cometa di Jacopozzi tocca l’Arco di Trionfo e tutti i monumenti di Parigi. Quando le Prince de la lumière muore a soli cinquantacinque anni nel 1932, Parigi si spegne per tre giorni in segno di lutto. Poi la città torna ad animarsi. Il mago che l’ha fatta brillare, invece, resta nel buio. Per fortuna una donna ha riacceso la luce".