Autore Topic: perchè si dice così  (Letto 18289 volte)

Doxa

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Re:perchè si dice così
« Risposta #60 il: Agosto 09, 2014, 12:02:43 »
"Rifiuti"

L’unità lessicale “rifiuto” deriva dal latino “refutare” (parola composta dalla particella “re” + “futare” (= gettare) da cui il verbo italiano “rifiutare”.

Da refutare deriva anche confutare, e dal latino “irrefutabilis”  abbiamo "inconfutabile", perché una cosa è evidente e non si può negare. 

Dall'italiano rifiutare discende il sostantivo “rifiuto”, che è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo rifiutare.

La parola rifiuto viene usata in diverse accezioni, per esempio come negazione di consenso, come diniego di un invito, di una proposta o di un’offerta, ma anche come eliminazione di qualcosa perché inutilizzabile, per esempio gli scarti alimentari o di altri materiali, la cosiddetta “immondizia”, perché immonda, sporca.

Rifiuto col significato di rinuncia fa pensare a Dante Alighieri e al suo 60/esimo verso del III canto dell’Inferno: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, alludendo al papa Celestino V, che abdicò al pontificato.

Lo scrittore ed aforista statunitense Ambrose Gwinnett Bierce (1842 – 1914) scrisse che “ci sono vari tipi di rifiuto, graduati secondo una scala discendente di finalità: il rifiuto assoluto, il rifiuto condizionale, il rifiuto probabile o ipotetico e il rifiuto femminile".

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Re:perchè si dice così
« Risposta #61 il: Settembre 26, 2014, 16:12:01 »
"Gentrificata"

Il 2014 è l'anno della "gentrificazione". Neologismo che deriva dall'inglese "gentrification",  a sua volta derivato da "gentry"(= piccola nobiltà, poi borghesia e ceto medio).

 Il sostantivo "gentrification" indica la riqualificazione di zone o quartieri di solito periferici. La riqualificazione viene realizzata con nuove costruzioni e dinamiche sociali. l'arrivo di nuovi abitanti più dotati economicamente  Come conseguenza aumenta il costo delle locazioni e degli immobili ed avviene la migrazione degli abitanti originari  economicamente disagiati verso altre aree  urbane meno costose.

A Roma si dice che il "Pigneto" è "er quartiere più gentrificato d'à capitale". 


interessante, ma come si dice il caso contrario?

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Re:perchè si dice così
« Risposta #62 il: Settembre 26, 2014, 16:14:27 »
Milano: via  Paolo Sarpi, la "Chinatown" del capoluogo lombardo si sta "gentrificando".  La zona storica dei cinesi sta attirando giovani coppie e professionisti.

Alla fine della prima guerra mondiale i primi immigrati cinesi si trasferirono nella zona di via Sarpi perché era una zona "borghese" in decadenza, come la zona di piazza Vittorio a Roma. I negozi chiudevano e le case costavano poco. Quindi c'era il potenziale per "buoni affari", spiega Angelica de Vito nel blog "Cina-Milano".

Quei cinesi arrivarono dalla Francia, dove erano stati mandati a sostituire gli uomini al fronte, e si spostarono in Italia. Si innescò così l'effetto calamita, e al primo nucleo seguirono altri flussi, prima dalla Francia e dall'Olanda e poi dalla Cina. Così nacque la Chinatown di Milano, zona di manifatture, in particolare abbigliamento.

Negli anni '80 del secolo scorso  i milanesi andavano in via Sarpi e nelle strade adiacenti per acquistare i regali di natale. Negli anni '90 e 2000 questo quartiere era diventato una zona di commercio all'ingrosso, alla ribalta della cronaca a causa dei tafferugli tra commercianti e vigili urbani nell'aprile 2007.

Poi l'arteria principale, via Sarpi,  fu pedonalizzata ed i negozi  commercialmente diversificati. Le trasformazioni stanno cambiando la natura del quartiere, spiega Claudio Bianchi, autore del libro "Il drago e il biscione, cent'anni di convivenza: i cinesi a Milano". Sta mutando anche la stratificazione sociale. Secondo l'anagrafe sono 25 mila i cinesi  residenti in città, ma sono numerosi quelli che lasciano il quartiere Sarpi per andare ad abitare dove le case costano meno, come Bicocca, piazzale Loreto o via Padova. Al loro posto stanno giungendo giovani professionisti che desiderano abitare vicino al centro storico, al quartiere Isola, alla stazione Garibaldi e ai nuovi grattacieli, simbolo del rinnovamento urbanistico di Milano.

Nella zona di via Sarpi man mano che si liberano gli appartamenti arrivano giovani coppie o single. Qui i negozi sono quasi tutti gestiti da asiatici, ma molti di questi abitano in altri quartieri. Inoltre, accanto ai venditori all'ingrosso ci sono anche negozi gestiti da italiani, studi di architetti, designer o videomaker.

Sta avvenendo la "gentrificazione", il processo in cui persone creative o professionisti "colonizzano" quartieri etnici e popolari.           
conosco bene la zona, ma non sapevo la sua origine. Penso alle case dette " ringhiera" che una volta erano dei poveracci, ora fanno tanto figo!

nihil

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Re:perchè si dice così
« Risposta #63 il: Settembre 26, 2014, 16:16:04 »
"Rifiuti"

L’unità lessicale “rifiuto” deriva dal latino “refutare” (parola composta dalla particella “re” + “futare” (= gettare) da cui il verbo italiano “rifiutare”.

Da refutare deriva anche confutare, e dal latino “irrefutabilis”  abbiamo "inconfutabile", perché una cosa è evidente e non si può negare. 

Dall'italiano rifiutare discende il sostantivo “rifiuto”, che è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo rifiutare.

La parola rifiuto viene usata in diverse accezioni, per esempio come negazione di consenso, come diniego di un invito, di una proposta o di un’offerta, ma anche come eliminazione di qualcosa perché inutilizzabile, per esempio gli scarti alimentari o di altri materiali, la cosiddetta “immondizia”, perché immonda, sporca.

Rifiuto col significato di rinuncia fa pensare a Dante Alighieri e al suo 60/esimo verso del III canto dell’Inferno: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, alludendo al papa Celestino V, che abdicò al pontificato.

Lo scrittore ed aforista statunitense Ambrose Gwinnett Bierce (1842 – 1914) scrisse che “ci sono vari tipi di rifiuto, graduati secondo una scala discendente di finalità: il rifiuto assoluto, il rifiuto condizionale, il rifiuto probabile o ipotetico e il rifiuto femminile".

i tipi di rifiuto sono infiniti, come il tempo! ci sarà sempre un rifiuto in più, rispetto agli usuali. Bravo Dott.

Doxa

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Re:perchè si dice così
« Risposta #64 il: Gennaio 31, 2015, 15:43:10 »
"Diamante"

Il nome “diamante” deriva dal latino “adamàntem” e questo dal greco greco “adamàntos”.

L’ellenico lemma “adamàs” (dal verbo “damao” = io domo) è composto dalla “a” privativa + “damas” (= indomabile). La parola veniva usata per indicare la durezza dell’acciaio, ma fu ampliata di significato e passò a denotare anche la dura pietra del diamante, che dopo il taglio viene  pure denominato “brillante” perché esprime l’eccezionale gioco di luce.
 
Il  diamante è carbonio puro in cristalli, il suo valore è commercialmente determinato dalle cosiddette quattro “c”: colour (colore), clarity (purezza),cut (taglio), carat (la caratura, cioè il peso).

Il dono di un anello “solitario” con diamante alla donna amata simboleggia il legame senza fine.

“Diamonds are a girl’s best friend…”, cantava Marilyn Monroe nel film “Gli uomini preferiscono le bionde”.

Un proverbio ebraico afferma: “Una parola detta al momento giusto è come un diamante incastonato nell’oro”.

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Re:perchè si dice così
« Risposta #65 il: Aprile 15, 2015, 15:01:47 »
"Miserere" è l’incipit  del salmo 51 (salmo 50 nella cosiddetta versione vulgata in lingua greca della Bibbia): significa “abbi pietà”. E’ un salmo penitenziale che esprime il pentimento del peccatore che invoca il perdono di Dio.

La frase in lingua latina è : "Miserere mei, Deus, secundum magnam/ misericordiam tuam". ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia").

Il canto del "Miserere" accompagna numerose celebrazioni del periodo pre-pasquale, in particolare viene spesso cantato durante le processioni che si svolgono il Venerdì Santo.

Alcune espressioni popolari: "È al Miserere", "Gli si può cantare il Miserere", si riferiscono ad una persona in fin di vita, e si spiegano col fatto che le preghiere di veglia per i defunti comprendevano la recitazione del Salmo 51 (50).

Anche “misericordia” deriva dal latino. La parola è composta dal verbo  “misereri” (= avere pietà) e da “cor, cordis” (= cuore), indica la compassione per l’infelicità altrui. 

La misericordia è una  virtù, motiva a far del bene, perciò fu usata per la denominazione di confraternite cattoliche dedite al soccorso, ad alleviare la sofferenza.
 
Fu nella Firenze del XIII secolo che per la prima volta questo sostantivo femminile fu utilizzato come nome per un ente assistenziale, che offriva cure gratuite ad ammalati e feriti, e provvedeva alla sepoltura dei morti derelitti: la “Venerabile Arciconfraternita della Misericordia”,  creata  durante l'epidemia di peste, ed è ancora esistente.

Sono numerose le associazioni e  le confraternite di volontariato che ancora oggi nel nome della Misericordia operano nell'ambito dell'assistenza medica. Sul proprio stendardo associativo raffigurano l’immagine della Madonna della Misericordia che protegge la confraternita. Questa tipologia mariana fu introdotta nell’iconografia cristiana nel XIII secolo. La  “Madonna della Misericordia” è rappresentata stante (in piedi), nell'atto di accogliere sotto il suo ampio mantello i fedeli supplici. E’  la  manifestazione visiva del richiamo alla fratellanza sociale, da cui il nome di“fraternità” o confraternita.  La raffigurazione della Vergine sullo stendardo della compagnia (insegna a due facce dipinta su tela e portata in processione durante le cerimonie pubbliche, oppure dipinta su tavola come pala d’altare per gli oratori della liturgia fraternale) diviene emblema visivo della tutela spirituale concessa da Maria ai suoi devoti.

“Misericordia” è anche il nome di una daga corta, o pugnale,  con lama robusta a doppio filo, adatta a penetrare le maglie della corazza per finire il nemico ferito o agonizzante, diffusa dal XIV al XVII secolo.

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Re:perchè si dice così
« Risposta #66 il: Aprile 21, 2015, 08:47:55 »
Errore ed errante

Dal punto di vista grammaticale “errore” è un sostantivo maschile, invece “errante” è il participio presente del verbo errare ma può avere anche la funzione di aggettivo.

Erróre  deriva dal latino  error,  indica l’allontanamento da ciò che è o è ritenuto vero, giusto, normale.

Errante: Che va senza meta.

C’è differenza tra il commettere un errore e l’incorrere in uno sbaglio. Si commette l’errore  quando deliberatamente ci si allontana dalla verità, da ciò che ci può far raggiungere i nostri obiettivi. Invece si commette uno sbaglio quando erroneamente deviamo dalla meta.
 
Il pontefice Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris”, pubblicata l’11 aprile del 1963,  distingue tra l’errore e l’errante.
 
Nel capitolo 83 della predetta enciclica, riguardante i rapporti fra cattolici e non cattolici in campo economico-sociale-politico, il papa afferma: “Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità…”. 
Questo capitolo fa capire che l'impegno dei cattolici con partiti e movimenti lontani dalla chiesa può essere positivo, che la collaborazione con essi può essere in certi frangenti storici opportuna. Tale affermazione fu considerata in Italia come un incoraggiamento alla svolta verso il centrosinistra, l’alleanza tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista.

Alcuni anni prima dell’enciclica giovannea fu il sacerdote don Primo Mazzolari a distinguere tra errore ed errante nel libro “La più bella avventura”,  che è un ampio commento alla parabola evangelica del figliol prodigo.

Don Primo Mazzolari indicava “al cattolicesimo italiano la necessità di abbandonare ogni atteggiamento di paura e di contrapposizione polemica verso coloro che  erano considerati estranei, o nemici, rispetto alla comunità cristiana.

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Re:perchè si dice così
« Risposta #67 il: Maggio 09, 2015, 18:58:06 »
Areola - Aureola

Areola ed aureola: due parole da non confondere.

Areola (plurale: areole): deriva dall’omonima parola in lingua latina; diminutivo di area = piccola area.
 
Areola mammaria: è la cute pigmentata  che circonda il capezzolo, in corrispondenza della sommità della mammella.

La colorazione dell'areola dipende  da due pigmenti presenti in questa zona: l’eumelanina e la feomelanina. A seconda della loro concentrazione l'areola può essere più scura se il tessuto areolare è più abbondante di eumelanina, più rossastra o rosacea se il tessuto areolare è più abbondante di feomelanina. La colorazione dell'areola dipende anche dalle variazioni ormonali.

L'areola in genere assume una colorazione più scura durante il periodo della gravidanza, durante la quale aumenta la dimensione. Si espande anche durante l'allattamento.

La cute areolare ha ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee (che rendono il capezzolo morbido ed elastico), e ghiandole mammarie nane che si ipertrofizzano.

Aurèola: deriva dal latino “aureolus” (da “aurum” = “oro”).

Nell’Antico Testamento è citata la “corona aureola” in passi  dell’Esodo(25,25; 30, 3;  37,27).

Nell'arte classica greca (prima nella pittura e poi nella scultura) l’aureola veniva attribuita ad alcune divinità pagane della luce, come Elios (il Sole) ed Artemide (la Luna). 

Nella tardoantichità romana l’attributo dell’aureola è rara e destinata alle statue di alcuni imperatori e consoli.

Nell'iconografia cristiana, invece, l’aureola è diffusa inizialmente come attributo di Cristo e degli angeli; non indicava la santità del personaggio raffigurato, ma unicamente la sua natura ultraterrena. A Roma, nel mausoleo di Santa Costanza (seconda metà del IV secolo) l’aureola di Cristo è di colore blu per simboleggiare la dimensione eterea del soggetto raffigurato. Di colore blu sono anche le aureole degli angeli nei mosaici della basilica romana di S. Maria Maggiore (432-440).

In seguito, in particolare dal VI secolo, per le aureole venivano usati l’oro e l’argento per simboleggiare l’emanazione di luce. Oltre a Cristo e agli angeli le aureole vennero attribuite anche agli evangelisti, all’Agnus Dei (un esempio del V secolo è nella catacomba di Marcellino e Pietro a Roma),  agli apostoli, alla Vergine Maria, ai santi,  e ai profeti.

In numerose pitture paleocristiane, nei mosaici bizantini e negli affreschi romanici anziché gli aloni luminosi venivano raffigurati nimbi di forma quadrata per indicare che il personaggio rappresentato era vivo al tempo dell’esecuzione dell’opera, quasi sempre un papa, un vescovo o il committente.

Sul capo o dietro la testa delle statue le aureole sono metalliche, rotonde o a raggiera e di color oro.



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Re:perchè si dice così
« Risposta #68 il: Maggio 11, 2015, 14:17:38 »
Mitopoiesi

Mitopoiesi: sostantivo femminile di origine greca, composto da mito (dal greco “mythos”) + poiesi (dal greco poiesis).

Mito: significa racconto, anche di tipo religioso, come la narrazione biblica (Genesi) della vita sulla Terra.

Poiesi: deriva dal verbo greco 'Poieo' che significa fare. Appare la prima volta in Erodoto col senso di "creazione poetica".

La parola mitopoiesi  viene di solito usata per indicare la creazione di un mito, l’invenzione di una leggenda, una favola, la rielaborazione in forma mitica di fatti, eventi.   

Nell’interpretazione dell’antropologia culturale è il processo di formazione ideologica con cui si attribuisce a fatti reali o alla narrazione di essi un valore fantastico di riferimento culturale e sociale.

Nella letteratura moderna e nei film indica la mitologia fantastica  creata dall'autore (come lo scrittore britannico J.R.R. Tolkien) od elaborata dal regista.



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Re:perchè si dice così
« Risposta #69 il: Maggio 21, 2015, 16:58:26 »
Voltagabbana: questa parola composta deriva dal "gabbano", un lungo cappotto senza cintura, spesso con cappuccio e a volte foderato di pelliccia. Veniva usato nel medioevo per proteggersi dal freddo e dalla pioggia, soprattutto durante le cavalcate. Indicava anche la casacca da lavoro per operai e contadini.

La parola “gabbano” deriva dall’arabo “qabà”: il vocabolo evoca la “cappa”, l’ampio mantello usato dai nobili nel XVII secolo. Nel tempo il lemma “cappa” è stato ampliato di significato ed indica anche la parte del sistema di smaltimento dei fumi. In architettura denota lo spicchio di cupola tra due costoloni.

Una variante di “gabbano” è “gabbana”. In passato indossata dai militari.

La gabbana poteva essere rivoltata ed indossata anche al rovescio, motivo per cui i militari che disertavano l’esercito  utilizzavano questo stratagemma per non essere riconosciuti durante la fuga e per essere scambiati per cittadini comuni.

Dal voltare la gabbana dalla parte opposta deriva  lo spregiativo  “voltagabbana”, detto a chi cambia facilmente idee o opinioni o muta il proprio comportamento in modo da trarne un vantaggio.

Fino all'autunno del 2013 Matteo Renzi era solo, attaccato più all'interno che all'esterno del suo partito. Nel giro di pochi mesi, molti dei suoi avversari hanno voltato gabbana, sono diventati renziani, e alcuni fanno parte della squadra di governo. Dopo la clamorosa vittoria del Pd alle elezioni europee del maggio 2014, un folto gruppo della classe dirigente del paese si è messo a disposizione del giovane presidente del Consiglio, sperando di conquistare un ruolo di primo piano. "Ma visto che da noi non cambiava niente, l'ondata di renzismo è improvvisamente cessata" racconta il premier nel lungo colloquio accordato a Bruno Vespa per questo libro. I voltagabbana sono una costante della storia nazionale. Dal Risorgimento, quando venivamo accusati di vincere le guerre con i soldati degli altri, alla prima guerra mondiale, di cui ricorre il centenario, quando in nome del "sacro egoismo" a un certo punto ci trovammo a combattere a fianco delle due fazioni opposte, per scegliere infine quella vincente, rivolgendo le armi anche contro i tedeschi, nostri alleati da trent'anni. Mussolini, che voltò gabbana come interventista prima della Grande Guerra, si alleò con Hitler nella seconda anche perché gli era rimasto il complesso del "tradimento" del 1915. Alla caduta del fascismo, i voltagabbana furono milioni, e Vespa narra con divertito stupore la storia di prestigiosi intellettuali e artisti diventati all'improvviso antifascisti dopo aver orgogliosamente inneggiato al Duce fino al 25 luglio...

Doxa

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Re:perchè si dice così
« Risposta #70 il: Settembre 04, 2015, 06:50:54 »
gossip/pettegolezzo

Pettegolezzo, in inglese “gossip”.

Gossip è una parola composta, deriva da “god-sib”: indica la madrina o il padrino di battesimo o cresima del cosiddetto “figlioccio”, dal latino “filiolus”,  diminuitivo di “filius”.
 
Fino a pochi anni fa specie nel meridione d’Italia anziché madrina o padrino si usavano i termini “compare” e “comàre”.  Compare deriva dal latino “compatrem”, parola composta da “com” (in latino “cum” = insieme) e “pàter” (= padre); comàre dal latino “commater”, parola composta da “com”, dal latino “cum” (= insieme) e “mater” = madre.
 
Nel  XVII secolo cominciò l’ampliamento di significato della suddetta parola “god-sib”  e la fecero approdare nel “gossip”, che nel nostro tempo indica la  “cronaca rosa”, gli amori, le infedeltà o altro di noti e meno noti personaggi o v.i.p.

Nel passato il gossip avveniva tra due persone che si scambiavano confidenze iniziate con l’incipit “lo sai che”…. E giù a “sparlare” su amici, colleghi, vicini di casa, conoscenti.  Con la diffusione dei media  il gossip si è focalizzato sui “segreti” dei divi.

I cosiddetti “rumor”, le “dicerie” sono voci che corrono, si diffondono con commenti maliziosi o malevoli verso altre persone.   E per avere informazioni c’è chi guarda il rotocalco televisivo preferito, chi legge giornali specializzati, chi telefona all'amica per le novità dell'ultima ora, chi accosta l'orecchio al muro di casa per ascoltare i litigi dei vicini. Il motivo? Soddisfare l'innata esigenza di entrare nella vita degli altri, famosi e non, di conoscere i particolari di amori e tragedie, debolezze e virtù, insomma di “pettegolare”.

Pettegolo/a  è chi gradisce “sussurrare” notizie riguardanti i comportamenti altrui.

L’aggettivo “pettegolo”  deriva, secondo alcuni etimologisti, dalla parola dialettale veneta “petegolo”, “petegola”, con allusione al  “peto”,  per l’incapacità di mantenere un segreto di cui si è a conoscenza.

Nelle relazioni sociali il pettegolezzo fa parte della “normalità”. Soddisfa la curiosità di chi ascolta o legge la notizia. E’  anche un modo  per manipolare la reputazione altrui o insinuare un dubbio nell’opinione di un’altra persona.
 
“Questo posso dirlo solo a te”…, oppure: “Lo sai solo tu”, per creare complicità, intimità. Se ci si fermasse sulla soglia della maldicenza, il pettegolezzo sarebbe solo una “chiacchiera” da verificare. Un “divertimento”.  Ma purtroppo spesso danneggia.   

Nel biblico Libro dei Proverbi ci sono dei versetti che invitano alla prudenza per evitare le conseguenze dei pettegolezzi.  Per esempio,  “Il  pettegolo tradisce una confidenza; perciò evita un uomo che parla troppo” (20:19).   “Un uomo poco saggio deride il vicino, ma l’uomo saggio trattiene la lingua”. “Un pettegolezzo tradisce una confidenza, ma un uomo degno di fiducia mantiene il segreto” (11:12-13). Il perverso pettegolo crea dissenso e separa gli amici più cari, (16:28).
« Ultima modifica: Settembre 04, 2015, 20:19:22 da dottorstranamore »

Birik

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Re:perchè si dice così
« Risposta #71 il: Settembre 04, 2015, 09:18:22 »
Mi risulta che gossip sia una parola indù gapshap, derivata dal Sanscrito che indica il chiacchiericcio del pomeriggio. Passata alla lingua inglese dopo 150 anni di colonialismo e diventata di uso comune. Un'altra parola che ha fatto lo stesso percorso è bangla, villa, abitazione di campagna che si è trasformata in "bungalow" e che si pronuncia come in Hindi.
« Ultima modifica: Settembre 04, 2015, 11:44:30 da Birik »

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Re:perchè si dice così
« Risposta #72 il: Settembre 13, 2015, 00:17:03 »
Dignità

Il sostantivo “dignità” deriva dal latino “dignitas”, e questo da “dignus”  (= degno) che significa  “meritevole”, per esempio di essere rispettato.

Il concetto di dignità è mutato nei secoli. Nell’antichità la dignità era considerata un oggetto di conquista, come la gloria o l’onore degli eroi omerici. In epoca romana, secondo Marco Tullio Cicerone, la dignità dell’individuo coincideva  con il ricevimento di una onorificenza politica o con l’azione conforme al dovere.

Nel VI sec. d.C. il filosofo Severino Boezio (475 – 525), che con i suoi saggi influenzò la filosofia cristiana medievale, ne “La consolazione della filosofia” ampliò il significato della parola “dignità”, attribuendola all’interiorità dell’individuo e non all’esteriorità con la ricerca della gloria o con il ricevimento di un incarico onorifico. Per Boezio la virtù possiede una dignità che si rende manifesta in chi la possiede.

La questione intorno al carattere ontologico (per dotazione naturale) e al carattere acquisito (per prestazione) della dignità è stata prolungata nei secoli giungendo fino a noi. Nel nostro tempo la  dignità  è considerata un valore in sé, con  valenza etica e sociale; si manifesta nelle relazioni interpersonali con l’esigenza del suo rispetto nella convivenza. 

La Chiesa cattolica proclama la dignità e i diritti della persona nei discorsi pontifici e nelle lettere pastorali, per esempio,  Giovanni XXIII (“Pacem in terris)”; Paolo VI (“Populorum progressio”); Giovanni Paolo II con le encicliche “Redemptor hominis”; “Dives in misericordia” e “Laborem exercens”.
Altri insegnamenti provengono dal Concilio Ecumenico Vaticano II, in particolare dalla costituzione pastorale “Gaudium et Spes”.

Nel linguaggio quotidiano usiamo espressioni come “una persona con una dignità” oppure “perdere la dignità”: sono frasi che tendono ad esprimere un carattere accidentale di questo valore. La dignità, pare dirsi con il linguaggio comune, può essere acquisita con azioni virtuose o persa con azioni deplorevoli.

La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (1948) afferma che:  “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. […] Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.  La detta “Dichiarazione” evidenzia l’intrinsecità della dignità e la sua ineliminabilità.

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« Risposta #73 il: Ottobre 02, 2015, 08:30:55 »
Giubileo.

Il prossimo 8 dicembre, giorno dedicato dalla Chiesa cattolica alla commemorazione dell’Immacolata concezione, comincerà il giubileo straordinario, detto giubileo della misericordia, voluto da papa Francesco per rendere più evidente ai credenti la missione  misericordiosa della Chiesa e la misericordia di Dio.
 
Questo giubileo o “anno santo” si  aprirà nel cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II e durerà fino alla festa di Cristo Re, il 20 novembre 2016.

Il sostantivo "giubileo" deriva dal latino ecclesiale “jubilaeum” che a sua volta discende dall’ebraico yōbēl: significa montone o ariete; per traslato indica il suono del corno di montone, che veniva suonato per annunciare al popolo d’Israele l’l’inizio dell’anno giubilare, che si svolgeva ogni 50 anni.

Nel biblico libro del Levitico c’è scritto: “... nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarate santo il cinquantesimo anno e proclamate la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia”.(Levitico 25, 8-10). Ed ancora nel Levitico: “Il cinquantesimo anno sarà per voi un Giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il Giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi”.(Levitico 25,11-12).

Oltre l’astensione dal lavoro agricolo, avveniva l'affrancamento degli schiavi, la remissione dei debiti e la restituzione agli Israeliti della terra dei loro padri, eventualmente venduta o persa cadendo in schiavitù. Il Giubileo perciò rappresentava un vero e proprio momento di giubilo. Il suo annuncio veniva dato il primo giorno del primo mese dell'anno civile da parte dei sacerdoti, mediante il caratteristico suono prodotto soffiando nel corno vuoto del montone.

Nella Chiesa cattolica il giubileo è comunemente detto "anno santo", perché c’è la remissione dei peccati, la riconciliazione, la conversione e la penitenza sacramentale.

Un evento che precorse il giubileo cattolico fu la “Perdonanza”, istituita dal papa Celestino V il  29 settembre 1294 con la “Bolla del Perdono” che concedeva l’indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti.
 
Pochi anni dopo il successore di Celestino, il pontefice  Bonifacio VIII, istituì nel 1300  il primo Giubileo, con annessa indulgenza plenaria per i peccati commessi ed obbligo della visita  alle basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. Inoltre, stabilì la ripetizione del giubileo ogni cento anni. Ma nel 1350  Clemente VI per parificare l’intervallo giubilare cattolico a quello del giubileo ebraico, decise di ridurre la cadenza a 50 anni;  Urbano VI nel 1389, a ricordo degli anni di vita di Gesù, stabilì che il Giubileo si celebrasse ogni 33 anni; ulteriormente ridotti a 25 anni dal pontefice Paolo II nel 1470. 

Il giubileo può essere ordinario, se legato a scadenze prestabilite, straordinario, se viene indetto per qualche avvenimento di particolare importanza. Quello che  comincia il prossimo 8 dicembre è un giubileo straordinario dedicato alla misericordia divina.

La consuetudine di indire giubilei straordinari risale al XVI secolo. Nel XX secolo furono indetti giubilei straordinari  nel 1933, indetto da Pio XI,  e nel 1983, indetto da Giovanni Paolo II.

La durata delle celebrazioni per il giubileo è annuale (Anno Santo) e per fruire delle indulgenze giubilari è prescritta la visita, in spirito di penitenza e conversione, alle tombe degli Apostoli nelle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori le mura,  poi alle basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.

L'Anno Santo ordinario inizia il giorno della vigilia di Natale con l'apertura da parte del Pontefice della Porta Santa della basilica di S. Pietro. Essa simboleggia la via della salvezza e varcarla significa (o dovrebbe significare) la conversione spirituale.

In passato la porta veniva smurata parzialmente prima della celebrazione, lasciando un diaframma muraro che il papa rompeva con un martelletto; quindi gli operai completavano la demolizione. Invece per il Giubileo del 2000 papa Giovanni Paolo II  volle un rito più semplice: il muro venne rimosso in anticipo lasciando solo la porta chiusa, che il papa aprì spingendo i battenti.

Si deve al pontefice Alessandro VI, il noto papa Borgia, la definizione delle cerimonie di inaugurazione e di chiusura degli anni santi, che fino ad allora non avevano seguito riti specifici. Alessandro VI stabilì un cerimoniale solenne e da allora rimasto sostanzialmente inalterato. Egli volle che l’inizio dell’anno giubilare fosse segnato da un evento simbolico e lo individuò nell’apertura della "porta santa", esplicito richiamo alle parole del Vangelo di Giovanni: “Io sono la porta. Chi per me passerà sarà salvo”.

Nella basilica di San Pietro l’apertura della “porta santa” spetta al pontefice, invece le porte sante che sono nelle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e di Santa Maria Maggiore vengono aperte dai legati pontifici, di solito cardinali. 
Le porte sante rimangono aperte (a parte la normale chiusura notturna) fino al termine dell’Anno santo, quindi vengono murate di nuovo.

Del giubileo oltre l’aspetto religioso c’è quello economico, lucroso per la Chiesa cattolica con le offerte e le donazioni dei cosiddetti "pellegrini",  e gaudioso per albergatori, ristoratori, tassisti e guide turistiche.

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elettricità
« Risposta #74 il: Ottobre 10, 2015, 12:09:11 »
la storia è lunga, il nome elettricità deriva dall'usa delle prime monete. Era usata la pietra chiamata elettro che è un miscuglio di oro e argento. Le pepitine che vennero usate come prime monete si trovavano in un fiume della Grecia e la leggenda dice che lì stavano perchè vi si era lavato le mani il mitico Re Mida, che lì si era lavato le mani ed aveva passato la sua maledizione al fiume. Come moneta venivano usate anche pezzetti di ambra che come si sa, se strusciata si elettrizza, da ciò il nome di elettricità!