Autore Topic: Scienza, coscienza e conoscenza  (Letto 18744 volte)

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #30 il: Dicembre 06, 2012, 10:04:40 »
Simbologia dell’anima

Per gli antichi Greci la parola “psyché” indicava l’anima ma anche la farfalla. Essi credevano che spirando, l’individuo lasciasse uscire l’anima, che volava come una farfalla.

Nell’iconografia mitologica greco-romana le ali di farfalla vengono attribuite a Psiche ma anche Eros ha le ali. 

Eros, denominato Cupido ma anche Amor dai Romani, è il protagonista della favola “Amore e Psiche” nel romanzo “Le metamorfosi”, attribuito allo  scrittore  e filosofo Apuleio, vissuto nel II sec. d.C., dal 125 al 170 circa.


"Psiche contempla Amore" , questo dipinto fu realizzato nel 1898 dal britannico Middleton Alexander Jameson (1851 – 1919)

Un’altra bella icona è questa:


Particolare del gruppo scultoreo “Amore e Psiche stanti”, realizzato nel 1797 da Antonio Canova, ritrae l’attimo in cui la fanciulla  prende la mano di Amore per deporvi una farfalla, simbolo della propria anima.

Nella prossima immagine possiamo vedere l’intero gruppo scultoreo canoviano


L’artista con questa opera vuol rappresentare il concetto platonico  dell’anima simboleggiata dalla farfalla.
Le due figure sono in piedi. Eros è nudo invece Psiche è  parzialmente coperta dal panneggio. Cupido poggia la sua testa sulla spalla sinistra di Psiche e con il suo braccio destro le cinge le spalle.  Lei gli alza la mano sinistra per posarvi  sul palmo una farfalla, che  rappresenta la sua anima offerta ad Amore.

Il gruppo  scultoreo è  su un piedistallo cilindrico decorato con ghirlande di fiori e farfalle. L'opera è conservata nel museo parigino del Louvre.

Ed ora vi faccio vedere un altro bel dipinto realizzato nel 1798 dal francese François Gérard, influenzato dal neoclassicismo del Canova

 
 
(anche questo quadro è custodito a Paris, al Museo del Louvre.

Il gruppo scultoreo del Canova ed il dipinto del Gérard si possono ammirare  fino al 13 gennaio a Milano nella Sala Alessi di Palazzo Marino, sede del Comune, in piazza della Scala. (ingresso gratuito).
« Ultima modifica: Dicembre 06, 2012, 13:01:07 da dottorstranamore »

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #31 il: Dicembre 09, 2012, 15:56:15 »
Anima e stati d’animo

Nei post precedenti ho scritto che nel tempo per il concetto di anima si sono usati diversi sinonimi più o meno appropriati: psiche, spirito, mente, coscienza. 

Dalla coscienza deriva il nostro “stato d’animo”, che è la condizione psicologica dell’individuo in un determinato momento.

Influiscono le emozioni, i sentimenti, le esperienze,  i ricordi, la fisiologia,  perciò lo stato d’animo durante la giornata  può cambiare e variare per durata ed intensità.  Ci sono, per esempio, stati di gioia e di tristezza, di malinconia e di nostalgia. 

Anche i colori ed i profumi influiscono sullo stato d’animo.

I colori influenzano i nostri pensieri.  Secondo la cromoterapia, i colori agiscono sullo stato emotivo, ma le risposte emotive agli stimoli cromatici dipendono dalla soggettività, condizionata dai ricordi, dalle esperienze.
Secondo le teorizzazioni di alcuni ricercatori le associazioni colori - emozioni sono piacevoli o spiacevoli.
I colori cosiddetti caldi (giallo, arancione e rosso) sono stimolanti e positivi, mentre quelli freddi (viola, blu e verde) possono suscitare pensieri negativi o serenità.

Per quanto riguarda l’influenza dei profumi sugli stati d’animo, c’è da dire che il potere suggestivo dipende dall’effetto che l’odore produce sul sistema nervoso e sulla psiche, come è stato dimostrato dalle ricerche sull’aromaterapia.

Alcuni aromi sono considerati archetipi del cosiddetto “linguaggio olfattivo” e condizionano il nostro inconscio.

I ricordi infantili di profumi, fragranze,  olezzi, odori sono tenaci nel tempo e riattivano la memoria olfattiva, che ci riporta indietro nel tempo, al contesto in cui fu percepito.   

Gli odori sono importanti anche nelle prime fasi di una relazione: possono allontanare o attrarre.
L’olfatto ci fa reagire ai segnali odorosi emanati dal/la probabile partner (es. l'alito, l'odore della pelle) e possono essere  determinanti per le nostre scelte. 

Le dinamiche amorose  umane sono complesse  e non sfuggiamo al potere dell’olfatto per dirigere la nostra disponibilità emotiva ed erotica.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #32 il: Dicembre 10, 2012, 19:32:45 »
L’inconscio e l’anima

Sigmund Freud  (1856 - 1939)nel settimo capitolo del suo libro “L’interpretazione dei sogni” postulò nella psiche tre sistemi, ciascuno dei quali è caratterizzato dal suo rapporto con la coscienza. Li denominò “preconscio”, “conscio” ed “inconsciò”.

Il termine inconscio fu dapprima utilizzato dal filosofo tedesco  Karl Robert Eduard von Hartmann (1842 – 1906) come titolo per il suo libro “Filosofia dell’inconscio”, in cui teorizza l’esistenza nella mente di una zona inconscia. Tale teoria fu poi sviluppata da altri filosofi ma  Freud la usò per indicare i processi mentali inaccessibili in modo permanente o temporaneo alla  coscienza.

In origine il termine “coscienza”  indicava lo stato interiore che l’individuo riesce a descrivere e comunicare ad altri. Invece in psicologia per coscienza s’intende la consapevolezza che un individuo ha della propria identità, del mondo che lo circonda e del rapporto tra sé e l’esterno.

Per Freud l’inconscio  è come un contenitore dei pensieri nascosti, che possono emergere durante le sedute psicoanalitiche o nei sogni.  “L’inconscio non conosce i giudizi di valore, né il bene né il male, e nemmeno la moralità”.

Per indagare le dinamiche inconsce questo medico viennese ipotizzò che alla base di alcuni disturbi mentali ci fosse un conflitto tra richieste psichiche contrarie. Per curare quei disturbi anziché l’ipnosi  propose come metodo  la “psicoanalisi”, che significa “analisi della mente”. Freud creò il neologismo con l’unione di due parole di origine greca:”psiché” (=anima, divenuta nel corso dei secoli sinonimo di spirito vitale ma anche di “mente”)  ed “analisi”, parola composta dalla preposizione greca “ana” (che significa "in parti uguali") e “-lisi” (= "sciogliere"). Dunque psicoanalisi letteralmente significa "indagine delle singole parti costitutive di quel che anima l’individuo.”

Nel 1922 Sigmund Freud   per il “Dizionario di sessuologia” scrisse la sua definizione di "psicoanalisi". La psicoanalisi è :

1) un procedimento per l'indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe pressochè impossibile accedere;

2) un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici;

3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.

Nella definizione non compare la parola “sessualità”, che invece è molto importante nella teoria psicoanalitica. Ma la definizione fu redatta appositamente per un dizionario che trattava problemi sessuali, forse per tale motivo Freud non la indicò.

Con l’inconscio  freudiano l’anima perse importanza, non  fu più collegata  al divino: l’inconscio trascende l’Io e comunica quelle “verità” che si pensava giungessero dall’anima: anello di congiunzione tra l’individuo e Dio.

Analizzando  i sogni  (considerati stati alterati della coscienza) ed i  disturbi del comportamento, la psicoanalisi  delle origini tentava di capire quella che veniva chiamata “la malattia dell’anima”, quel male che prima di Freud veniva “curata” dal prete che confessava l’afflitto. Il sacerdote collegava i problemi psicologici degli individui con la volontà divina o  con le tentazioni suggerite dal “male” (il diavolo…).

Per la religione cristiana  l’anima è dono spirituale di Dio agli individui, non collegata alla fisiologia umana.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #33 il: Dicembre 12, 2012, 10:25:01 »
Il simbolismo dell’anima nelle rappresentazioni artistiche

La produzione artistica figurativa, come la scultura e la pittura,  ha per scopo la rappresentazione, rendere visibile e concreto, attraverso un oggetto od un’immagine, qualcosa che possa essere comunicabile ad altri. 

Alcuni nostri antichi antenati espressero la loro creatività artistica imitando le forme esistenti nell’ambiente in cui vivevano: individui, animali, piante.

Tra la realtà e la rappresentazione c’è l’artista che è influenzato dalla cultura della società in cui vive, dal periodo storico, dalla percezione.

Nelle culture antiche l’anima veniva simbolicamente rappresentata in forme antropomorfe o di animali alati. 

In Egitto veniva immaginata come uno sparviero; in Grecia  l’anima era connessa al significato del suo nome: psiche = farfalla, oppure immaginata nella forma di piccolo idolo alato in procinto di librarsi dai guerrieri morenti in battaglia. Tra gli Etruschi le anime dei morti avevano sembianze umane. Nella cultura romana l’anima aveva la forma del genio alato.

Il cristianesimo delle origini non aveva un proprio sistema di simboli, perché influenzato dalla tradizione religiosa ebraica che vieta di idolatrare le immagini, perciò  per l’iconografia cristiana utilizzarono due tipi di rappresentazioni: quella simbolica-astratta e quella figurata, di solito assunte dalla simbologia pagana, attribuendole però nuovi significati biblici.

Nell’arte funeraria paleocristiana ci sono due figure antropomorfe con diversi significati  che evocano l’anima ma in modo indiretto: la pagana Pietas: figura femminile con le braccia alzate e le palme delle mani volte verso il cielo, poi utilizzata  dai cristiani come immagine dell’ orante; ed il “moscophoros” ,  di solito  conosciuto come il “Buon pastore”,,  rappresentazione cristica della salvezza. Per il mondo classico-pagano il moscophoros rappresentava un aldilà come regno di serenità e di pace, ed era simbolo della philantropia, l’amore disinteressato. Il cristianesimo trasformò il moscophoros nel Buon pastore che sulle spalle porta un agnello anziché un vitello. L’agnello viene considerato  anche come simbolo dell’anima  recuperata e salvata da Cristo.

Fra gli animali  ne furono scelti  alcuni con le ali, elemento dominante nell’abbinamento all’anima, che vola verso il trascendentale:

la fenice,  questo misterioso uccello simboleggia la resurrezione. Secondo la leggenda questo animale rinasce dalle proprie ceneri;

il pavone: anche questo animale simboleggia la resurrezione e la vita eterna dell’anima.  I pagani consideravano questo volatile sacro alla dea Hera. Nella tradizione persiana, passata a Bisanzio ed all’Islam, due pavoni affiancano l’Albero della vita in quanto simbolo dell’anima vigile ed incorruttibile; nella simbolica cristiana  due pavoni si abbeverano ad una piccola fonte raffigurata come un bacile che evoca il calice eucaristico;

la colomba. rappresenta l'anima ma ha anche altri significati.

Nel Vecchio Testamento si narra che dopo il diluvio universale una colomba tornò nell’arca di Noé con un piccolo ramoscello d’ulivo trattenuto nel becco., come segno di pacificazione di Dio con l'umanità.

I dodici apostoli  furono simbolizzati con altrettante colombe; ma anche lo Spirito Santo è simboleggiato da una bianca colomba che vola.   

Nella tradizione più antica  l’anima del giusto è una colomba, simbolo di purezza che sale al cielo.
 
Nell’arte cristiana dei primi secoli sono frequenti le raffigurazioni di colombe mentre bevono in una coppa, come si può vedere, ad esempio, in un particolare del mosaico nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna o in quello di Santa Costanza a Roma. La colomba simboleggia l’anima che si disseta alla sorgente della memoria. Questo tema è connesso ad alcuni aspetti della tradizione mitologica greca della fontana della Dimenticanza e di quella di Mnemosine.

Papa Gregorio Magno nella “Vita di san Benedetto”  scrisse: “Stando Benedetto in cella e levati gli occhi all’aere, vide l’anima della sua sorella, Scolastica, uscire dal corpo in specie di colomba, e andare in cielo.”

Pur non contendendo il primato alla colomba, la rondine ebbe un ruolo non secondario nella rappresentazione dell’anima, perché ha più significati simbolici. Infatti per la forza delle sue ali la rondine è stata accomunata all’àncora,  come segno di salvezza. San Paolo indica l’àncora come strumento di speranza “sicura e solida per l’anima”. (Eb. 6, 19).

Nei secoli successivi i pittori ebbero più libertà espressiva nell’iconografia dell’anima ed abbandonarono gli stereotipi del passato.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #34 il: Dicembre 19, 2012, 07:15:35 »
“Vendita” dell’anima

La cosiddetta “vendita dell’anima” è uno dei topoi ricorrenti nella letteratura agiografica strutturata  su due elementi dominanti: "il patto con il diavolo"  e il personaggio Faust. L’acquirente dell’anima è in genere indicato in Mefistofele, un diavolo citato solo dalla fine del XVI secolo.
 
Faust Bojan, detto anche Faustus, è il protagonista di un antico racconto popolare tedesco, usato come base per numerose opere letterarie, teatrali, musicali e cinematografiche.

Il racconto ispirò anche Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832), che scrisse il "Faust" e lavorò a quest’opera letteraria  in più volte e per circa 60 anni, dal 1772 al 1831.

Il Faust di Goethe è uno scienziato, insoddisfatto dei limiti del sapere umano. Viene tentato dal demonio Mefistofele, al quale “vende” la propria anima in cambio della giovinezza, la sapienza ed il potere di disporre delle sorti altrui: porta alla follia e alla morte una ragazza, Margherita; poi utilizza la sua diabolica influenza presso le corti principesche.

Goethe non considera Faust il peccatore che merita la punizione divina, come lo voleva la tradizione religioso-popolare. Per questo scrittore la volontà di Faust di sapere, di andare oltre è positiva, perciò alla fine Dio gli salva l'anima.

Un altro celebre scrittore che elaborò la leggenda di  Faust fu l’irlandese Oscar Wilde (1854 – 1900), che nel 1891  fece stampare in volume un suo romanzo: “Il ritratto di Dorian Gray”, ambientato  nella Londra vittoriana del XIX secolo.

Narra di un giovane, Dorian Gray,che fa della sua bellezza fisica una tragica esperienza estetica.. Egli inizia a rendersi conto del privilegio del suo fascino quando Basil Hallward, pittore suo amico, gli fa il ritratto, il quale suscita in Gray il desiderio  di rimanere per sempre giovane e bello.  A tal fine stipula un “patto col demonio” che esaudisce il suo “voto”, mentre il quadro che lo rappresenta in età giovanile col trascorrere degli anni mostra i segni della decadenza fisica del suo corpo, ma non solo, diventa anche lo “specchio” della sua anima moralmente corrotta. 

Dorian ogni tanto si reca  nella soffitta per controllare e schernire il suo ritratto che invecchia, ma gli crea anche rimorsi e timori. Decide di distruggerlo. Lacera il quadro con un coltello, ma in tal modo uccide se stesso. Il coltello che usa è quello con cui aveva ucciso il suo amico pittore Basil Hallward. 

I  servi trovano Dorian Gray morto, invecchiato, irriconoscibile, invece il dipinto che lo ritrae lo mostra nuovamente giovane, ma con un coltello conficcato nel cuore.

Pure il noto letterato tedesco Thomas Mann (1875 – 1955) volle dare la sua versione del Faust. Titolò il suo romanzo “Doctor Faustus”, in cui narra la tragica storia del compositore musicale  Adrian Leverkuhn, il quale, come Faust, dà la sua anima al diavolo per avere anni di successi e fama. Ma ad un patto. Adrian non potrà amare nessuno. E la vita senza amore non è vita.

Pubblicato nel 1947, il romanzo esprime l'atmosfera della catastrofe nazista negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
 
Nel nostro tempo anche una ragazza moscovita ha “venduto” la sua anima. Lekaterina, questo è il nome della donna di 26 anni,  ha utilizzato un  noto sito di aste on line (“Molotoch ru”) per pubblicare il suo singolare annuncio:"Vendo anima in ottime condizioni, un po' logorata ma ben tenuta e senza buchi, sembra assolutamente nuova. Prezzo iniziale 500 mila rubli (pari a 12mila euro)".

Lekaterina è divorziata ed abita con la madre. Per ristrutturare la casa aveva venduto anche il vestito usato per le nozze, ma le serviva altro denaro.  Ed arrivò la telefonata risolutiva. "Un'anima buona mi ha dato i soldi che mi servivano", racconta Iekaterina che aveva offerto un certificato di vendita nel quale si dichiarava che l'acquirente poteva usare la sua anima senza alcun limite.

Il rituale per la “vendita” dell’anima prevede il baratto: si dà la propria anima ad un demone in cambio del suoi aiuto per ottenere ciò che si desidera.

Ma l’anima non può essere venduta secondo i ricercatori dell’università statunitense di Emory, vicino ad Atlanta. Hanno eseguito dei test con dei volontari ed hanno analizzato l'attività del loro  cervello con la risonanza magnetica. Hanno  constatato che i valori che riteniamo importanti attivano un circuito neuronale che serve a valutare ciò che è giusto e sbagliato, le cose che si possono fare e quelle vietate. E l'anima è invendibile. Ma si può vendere un oggetto che non esiste ?  :mah:

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« Risposta #35 il: Gennaio 04, 2013, 08:36:51 »
l’anima ed i fantasmi

Per la scienza non esistono i fantasmi, detti anche spettri o spiriti. Vengono creati dall’immaginazione: li considera incorporei, spesso avvolti nel  bianco lenzuolo, capaci di attraversare i muri o di fluttuare nell’aria; di solito appaiono di notte, spesso in luoghi lugubri ed isolati.

L’avvistamento o l’ascolto di uno spettro è causato dall’allucinazione.

L'allucinazione collettiva spesso dipende dalla suggestione da parte di uno o più componenti del gruppo o della folla. Con parole o grida persuadono gli altri dell'apparizione del ghost (= fantasma).

La convinzione che dopo la morte lo spirito di un defunto possa ritornare tra i vivi come spettro è affermata sia nelle culture “primitive” che in quelle civilizzate ed industriali, nelle tradizioni popolari e nella letteratura.

Nella cultura occidentale il fantasma rappresenta il collegamento con l’aldilà, simboleggia l’esistenza ultraterrena dell’anima, che può anche essere “persa”, “dannata” od in “pena”

Le anime perse sono quelle delle persone che in vita hanno rifiutato Dio.

Le anime dannate sono quelle degli individui che hanno commesso gravi peccati.

Le anime in pena sono spiriti senza fissa dimora, costretti a vagare tra i vivi fino a quando si ristabilisce l’equilibrio infranto dalla morte corporea con violenza. Emblematica è la ricerca di vendetta da parte del fantasma di un individuo assassinato: per esempio un marito ucciso vaga per punire la moglie ed il suo amante.

Si narra che alcune case dove sono avvenuti delitti siano infestate da poltergeist (parola tedesca che significa “spirito rumoroso”), dalle anime di coloro che  vi sono morti in modo violento e che si palesano con porte che sbattono, rumori,  grida disumane.

Il rapporto dei viventi con lo spettro rivela la volontà di non dimenticare il defunto, perciò ci sono anche le ricorrenze religiose per ricordare i propri cari che sono morti. L’origine della commemorazione dei defunti, fissata al 2 novembre, risale al X secolo, ed ebbe inizio nel monastero benedettino di Cluny.

Secondo la Chiesa Cattolica la destinazione dell'anima di un defunto può essere di felicità eterna (Paradiso) o di pena eterna (Inferno). Se l'anima non è libera da ogni peccato veniale è costretta a purificarsi per un tempo più o meno lungo nel Purgatorio.

Sedute spiritiche e medium illudono di poter parlare con le persone defunte,  come nel bel film “Ghost” , interpretato da Whoopi Goldberg, Demi Moore, Patrick Swayze ed altri.

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« Risposta #36 il: Gennaio 05, 2013, 05:21:17 »
A Napoli molte persone credono  che  tre luoghi sacri siano frequentati dalle “anime del Purgatorio”, da “anime abbandonate”  e dalle “anime in pena”,  sofferenti e bisognose di attenzioni da parte dei vivi. I tre siti sono: il cimitero delle Fontanelle (nel rione Sanità), che conserva  anche i resti delle vittime delle epidemie; la chiesa  barocca con ipogeo di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco (in via dei Tribunali), la basilica di San Pietro ad Aram, in cui ci sono le catacombe.

La credulità popolare pensa che i teschi (le “capuzzelle”) nell’ossario  del cimitero delle Fontanelle svelino il futuro, offrano consigli, numeri al lotto e  grazie.

Nel 1969 l’allora arcivescovo di Napoli, il cardinale Corrado Ursi fece chiudere l’ossario (nella cava di epoca greca) per eccessiva credulità popolare. In quel luogo sotterraneo ogni cosiddetto "fedele" poteva scegliere il teschio da adottare, lo puliva, gli poneva attorno i lumini e gli rivolgeva preghiere.

Se l’anima del defunto scelto rispondeva (attraverso il sogno), l’adottante pregava di più per abbreviarle il tempo di permanenza nel purgatorio in attesa del paradiso. Oltre a recitare più orazioni costruiva un piccolo altare sul quale collocava il teschio, che veniva contornato con le cosiddette sacre immaginette e le candele. Di solito l’offerente chiedeva raccomandazioni e favori.  Fra i messaggi rinvenuti nei crani c’è questo: ”Anima bella venitemi in sogno e fatemi sapere come vi chiamate.
Fatemi la grazia di farmi uscire la mia serie della cartella nazionale. Anima bella fatemi questa grazia, a buon rendere...
”.

Se la richiesta di grazia veniva “esaudita” la “capuzzella”  veniva messa in un loculo o in una teca di vetro, altrimenti la si rimuoveva dall’altarino per riporla di nuovo insieme a tutte le altre teste.

All'interno del cimitero erano frequenti le processioni religiose e per le anime in pena venivano recitate  giaculatorie e  litanie, tipo questa: 

“Anime sante, anime purganti,
io son sola e vuie siete tante.
Andate avanti al mio Signore
e raccontateci tutti i miei dolori.
Prima che s'oscura questa santa giornata
da Dio voglio essere consolata.
Pietoso mio Dio col sangue Tuo redento
a tutte le anime del Purgatorio salutammelle a tutti i momenti,
Eterno Riposo”


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« Risposta #37 il: Gennaio 15, 2013, 09:17:03 »
L’anima e la psicostasia.

Un diffuso tema iconografico sull’aldilà riguarda la cosiddetta “pesatura dell’anima”, la psicostasìa (o psicostasi),  termine di origine greca. Il defunto prima di accedere nell’oltretomba doveva essere sottoposto al giudizio divino tramite la pesatura della sua anima, che veniva posta su una bilancia a due piatti.

Da  alcune  religioni del passato, come quella degli antichi Egizi, la morte dell’individuo non era considerata la sua fine totale, perché  del defunto sopravviveva la sua anima, che prima di accedere nell’aldilà veniva sottoposta al giudizio divino. Il collegio giudicante era presieduto da Osiride,  il dio della morte e dell’oltretomba, il quale   esercitava il suo potere con la collaborazione di 42 “giudici dei morti”  che esaminavano meriti e colpe dell’estinto. .
Nella “stanza delle due verità” c’era la bilancia a due piatti custodita dal dio Anubi, la divinità che proteggeva le necropoli ed il mondo dei morti. Su uno dei  piatti veniva collocata una piuma, simbolo di Maat, dea della Verità e dell’ordine cosmico, mentre sull’altro piatto veniva posato il cuore del defunto. La pesatura era presieduta dal dio  della saggezza Thot che aveva il compito di registrare il verdetto. Se il cuore era immondo da peccati e leggero come la piuma di Maat, posta sull'altro piatto, poteva accedere nell’oltretomba, altrimenti il cuore era dato in pasto al coccodrillo Ammit.



Nella mitologia greca la psicostasia è  invece collegata alla pesatura dei destini di due avversari in lotta, indipendentemente da ogni valutazione morale. Il  filosofo e drammaturgo ellenico Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.) descrive Thetis ed Eros mentre pesano sulla bilancia il “soffio di vita” di Achille e di Memnon.

Nell’ebraismo ci sono espressioni che alludono alla psicostasia ma di personaggi viventi. Invece nella letteratura apocalittica cristiana la pesatura dell’anima  appare con valore escatologico, quando ci sarà la fine del mondo.    L’arcangelo Michele è l’addetto alla psicostasi, mentre Satana spesso cerca di togliere peso al piatto dei meriti del defunto.



Nell’iconografia del “memento mori” ci sono raffigurazioni (in particolare in area iberica) che mostrano i due piatti della bilancia: su uno c’è una piccola figura simile ad un diavolo, sull’altro un angelo. Nel piatto dove c’è il diavolo si pesano i peccati commessi, mentre in quello con  l’angelo ci sono le buone azioni.

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« Risposta #38 il: Gennaio 18, 2013, 09:09:57 »
L’anima tra animismo e  spiritismo

L’antropologo britannico Edward Burnett Tylor (1832 – 1917) usò l'espressione “animismo” per definire una forma primitiva di religiosità, basata sull'attribuzione di un principio incorporeo e vitale (anima) a fenomeni naturali, esseri viventi e oggetti inanimati. Questo culto irrazionale dell'anima, sarebbe  alla base, secondo Tylor, dell’evoluzione del pensiero religioso in forme strutturate  con pratiche sociali ben definite, fino a svilupparsi attorno alla figura di un essere creatore, che noi chiamiamo Dio.

In alcune culture si credeva ed ancora si continua a credere che l’anima del defunto continui a vivere con la trasmigrazione in altri esseri viventi tramite la “reincarnazione”. Questa parola è considerata sinonimo di metempsicosi, termine che deriva dall’antico lemma greco “metempsicosis e significa  “passaggio  o trasmigrazione dell’anima o dello spirito vitale” dopo la morte di un individuo in un altro corpo di essere umano, oppure animale o vegetale.

Per indicare la reincarnazione viene usata anche la parola metemsomatosi, che significa passaggio da un corpo all'altro, però non si riferisce all'anima umana, ma alla trasmigrazione dello spirito in un animale.

La teoria delle vite successive o della reincarnazione è definita “palingenesia” (rinascita) e venne elaborata dall’orfismo. Fece parte della filosfia pitagorica. Inizialmente indicava la trasmigrazione delle anime da un corpo ad un altro dopo la morte, per assumere poi un significato spirituale per segnalare la rinascita o l rinnovamento di chi fa m orire in sé la parte vecchia e la rinascere come nuova. Si tratta di un percorso iniziatico delle dottrine misteriche.

La teoria della reincarnazione è presente negli antichi testi dei Brahmanesimo: i Veda, Upanishad e Bhagavad gità. Dall’India fu poi diffusa verso Occidente. Alcuni studiosi attribuiscono a Pitagora l’introduzione in Grecia della teoria della reincarnazione. Anche Platone sostenne il principio pitagorico nel Fedone. Nella scuola neo-platonica si insegnava la reincarnazione. Plotino (24-270) si sofferma su questo argomento nelle sue “Enneadi”, specificando che se l’anima  si macchia con il peccato è destinata ad espiarlo subendo la giusta punizione negli inferi, poi passa in un nuovo corpo per ricominciare.

Molte persone  oltre alla reincarnazione credono che sia  anche possibile comunicare con le anime o gli spiriti dei defunti, che si manifesterebbero  ai viventi  in modo spontaneo oppure quando vengono evocati dal medium, che ha doti particolari per mediare durante la cosiddetta seduta spiritica,  formata dal medium e da più persone. Di solito è importante che ci sia armonia tra i partecipanti, concentrazione ed assenza di tensioni. La seduta si svolge al buio o con limitate condizioni luminose.
 
Sullo spiritismo ci sono numerosi studi, iniziati dal francese Allan Kardec (pseudonimo del pedagogista francese Hippolyte Léon Denizard Rivail), il quale  su questo tema nel 1857 .pubblicò  “Il libro degli spiriti”. Egli ipotizza che i fenomeni paranormali siano attribuibili ad intelligenze incorporee, cioè alle anime, che si possono “contattare” tramite la telepatia (durante il sogno od in uno stato di coscienza alterata), la “possessione” (il presunto spirito “entra” nel medium), la presenza (voci, suoni, rumori, ecc.) e l’apparizione come fantasma.   

I fenomeni spiritici sono citati anche nel Vecchio Testamento (Deuteronomio 18, 11; 1 Samuele 28,3 e 28, 7; Isaia 2, 6  ed 8, 19-22; 2 Cronache 33, 6; Levitico 19, 31).

La religione cristiana avversa lo spiritismo e la cosiddetta “comunicazione” con gli spiriti, perché li considera demoniaci.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #39 il: Gennaio 21, 2013, 10:53:07 »
L’anima ed il linguaggio

L’anima, soggetto metafisico di quelle funzioni psichiche che psicologi e filosofi analisti chiamano “mente”. Come tale  ha rilevanza dal punto di vista epistemologico, ontologico, teologico, ma anche nel linguaggio. Infatti nella comunicazione quotidiana usiamo  espressioni che coinvolgono l’anima. Gli esempi sono numerosi. Elenco alcune frasi: Anima dannata (persona perfida od infida),  dannarsi l’anima (sacrificarsi per raggiungere un fine), anima in pena (persona ansiosa, irrequieta),  anima gemella (persona amata dalla quale si è riamati), darsi anima e corpo (impegnarsi in un’impresa per raggiungere un obiettivo),  mettersi l’anima in pace (rassegnarsi ad una perdita o ad un evento negativo), non c’è anima viva (con riferimento ad un luogo disabitato o deserto),  raccomandarsi l’anima a Dio (prepararsi a morire da cristiani),  rendere l’anima a Dio; l’esclamazione “all’anima !”  per esprimere sorpresa ma anche compiacimento.

A Roma fa parte del gergo la frase “l’anima de li mortacci tua” ed anche “l’anima de li mejo mortacci tua”, per riferirsi non a qualsiasi anima fra i defunti dell’interlocutore,  ma a quelle considerate le più meritevoli di essere ricordate con disprezzo. 

Le cosiddette parolacce hanno una storia millenaria, perché permettono di esprimere emozioni, stati d’animo: ira, frustrazione, sorpresa, paura; consentono di  sfogare la propria aggressività verbale e di ottenere effetti che con altre parole non si possono conseguire. E l’espressione tipica romanesca  “mortacci tua” o “li mortacci tua” oppure 'tacci tua”, viene utilizzata per indicare  gli spregevoli defunti dell'interlocutore. La frase è di uso comune a Roma, ma ormai diffusa dai mass media anche in altre regioni italiane con varianti del dialetto locale.  Questa parolaccia ha lo scopo di offendere l’insultato,  accusandolo di discendere da parenti riprovevoli nel loro comportamento o di deriderlo, anche solo scherzosamente. La frase ha contrastanti significati, che dipendono dal tono della voce, dall’espressione del viso, dalla gestualità  di chi la dice: può  significare, se accompagnata dal  viso che manifesta meraviglia, sentimenti positivi di ammirazione, sorpresa e compiacimento per un evento fortunato o straordinario (li mortacci tua, ma quanto hai vinto?); o con un viso ilare, può esprimere gioia ed affetto per un incontro inaspettato e gradito (Li mortacci tua, ma 'ndo se' stato finora?); oppure comunicare sentimenti sia negativi  con il viso dall'aspetto contrariato o sconsolato, col tono della voce alterato  può rivelare rabbia o desolazione (li mortacci tua, ma c'hai fatto?). Il contenuto  infamante  della frase sparisce, diviene "metafisico", di fronte agli stati d'animo con cui viene pronunciata, e solo questi sono veramente reali. In tutti questi casi la parolaccia diviene ininfluente, non è offensiva ma è come un rafforzativo, l'equivalente di un punto esclamativo, alle parole che seguono all'invettiva: tant'è vero che può essere rivolta anche a sé stessi (Li mortacci mia, quant'ho magnato!).

Quando invece si vuole limitare l'insulto nel tempo passato, ma non fino ad arrivare a lontani antenati, si usa(va) la forma "'tacci tua e de tu' nonno". Il "…e de tu nonno" veniva aggiunto anche per evitare che il destinatario del "li mortacci tua" fosse lui a rispondere: "…e de tu nonno", rimbalzando così l'ingiuria su chi l'aveva detta.
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L'espressione annovera(va) una versione ancora più lunga: "li mortacci tua e de tu nonno in cariola", non  la carriola del muratore, ma la barella ospedaliera usata per condurre alla camera mortuaria la salma del nonno.

"Mortacci tua" è una forma abbreviata della parolaccia "li mortacci tua", ed anche "tacci tua", "'cci tua", mentre "alimortè" è una semplice esclamazione derivata dalla parolaccia principale: come se si dicesse "caspita", "accidenti".