Autore Topic: Scienza, coscienza e conoscenza  (Letto 18745 volte)

presenza

  • Visitatore
Scienza, coscienza e conoscenza
« il: Settembre 14, 2012, 19:29:24 »
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".

nuvola

  • Ippo Noob
  • *
  • Post: 22
  • Karma: +0/-0
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #1 il: Settembre 15, 2012, 00:00:20 »
Ma ci fai o ci sei ?

nuvola

  • Ippo Noob
  • *
  • Post: 22
  • Karma: +0/-0
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #2 il: Settembre 15, 2012, 00:02:39 »
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".
Ecco, quando vai dallo psicoanalista devi dire così.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #3 il: Ottobre 12, 2012, 07:27:55 »
Se la scienza si fonda sull'osservazione di fenomeni, la coscienza o vita psichica dell'uomo è di per sé un fenomeno direttamente osservabile, anzi rappresenta il fondamento di ogni osservazione sperimentale poiché se non fossimo coscienti e senzienti non potremmo osservare nessun fenomeno. Da qui la mia ulteriore associazione di idee legata all'assonanza di suoni: scienza come conoscenza e coscienza come "fenomeno".

/1

Scienza, conoscenza e coscienza: tre interessanti concetti.

Come ho già scritto in un altro topic, la parola  scienza deriva dal latino "scientia", significa conoscenza, ottenuta con procedimento metodico e rigoroso tramite  l’attività di ricerca  per giungere ad una descrizione oggettiva della realtà e delle leggi che regolano i fenomeni.

La nascita e l’affermazione in Europa della scienza moderna,  sono comprese nel periodo convenzionale tra la pubblicazione del “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico (1543), i “Principia mathematica philosophiae naturalis” (1687) e gli “Opticks” (1704) di Newton.

La scienza, la tecnologia e l’innovazione ci offrono cambiamenti nel nostro sapere e nel nostro modo tradizionale di vivere.

Il nick Presenza giustamente annota che la scienza è legata alla conoscenza, a quella scientifica in particolare, che viene studiata dalla gnoseologia - dal greco "gnòsis" ("conoscenza") e "lògos" ("discorso") - chiamata anche teoria della conoscenza: è quella branca della filosofia che si occupa dell'analisi dei fondamenti, dei limiti e della validità della conoscenza.

Nell'ambito della cultura anglosassone la teoria della conoscenza è denominata epistemology, invece in Italia con il termine epistemologia (ed anche filosofia della scienza) si designa la branca della gnoseologia che si occupa della conoscenza scientifica.

Nella conoscenza viene coinvolta anche la coscienza dell’individuo, perché tramite i sensi conosce l’oggettività esterna al suo corpo, ne assume la consapevolezza, diventa “cosciente”. Ma non basta, la coscienza accoglie anche le emozioni endogene ed i sentimenti. 

La psicologia cognitiva definisce la coscienza come un fenomeno spiegato in termini di meccanismi neurali, quali:

la capacità di fare distinzioni, categorizzare e reagire agli stimoli ambientali;

la capacità di accedere a stimoli interni;

l’integrazione delle informazioni mediante un sistema cognitivo;

il focus dell’attenzione;

la differenza tra veglia e sonno;

il controllo deliberato del proprio  comportamento.

presenza

  • Visitatore
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #4 il: Ottobre 12, 2012, 17:43:31 »
Dott. è interessante la tua capacità di sviluppare questi temi, e concetti che altrimenti rimarrebbero solo parole. Mi piace inoltre la ripresa di argomenti che spesso risultano ostici o poco conosciuti o addirittura dimenticati.
Un solo appunto, se mi permetti: dietro i nick siamo persone, perciò se citi me o chiunque altro ti consiglio di considerarmi in quanto persona. Non è il nick Presenza ad esporre, come non è il nick Stranamore a sviluppare, semmai Presenza (Giusy) e Stranamore (... non conosco il tuo nome e se vuoi sarà bello condividerlo).

Grazie

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #5 il: Ottobre 13, 2012, 07:07:16 »
/2

La parola scienza è attestata nella lingua italiana dal XIV secolo. Come già detto, questo lemma deriva dal latino “scientia” (= scindere), da “sciens”, participio presente del verbo “scire” (= “sapere”), che in origine, significava tagliare, col tempo venne usato dai parlanti col significato di  “decidere”  e poi “sapere”.

L’equivalente termine di scienza ma in lingua greca è “episteme”, che indica ciò che s’impara razionalmente. Episteme deriva dal verbo “epistamai” (=porre sopra, imporre).  In tal senso l'episteme è ciò che si impone con l'evidenza.

Della differenza tra episteme (conoscenza di tipo scientifico) e doxa (opinione soggettiva) erano consapevoli gli antichi filosofi greci, perciò distinsero forme diverse di conoscenza:

quella che si limita alla constatazione dei fatti o all’osservazione di un fenomeno;

quella che va oltre e cerca le cause di un fenomeno (conoscenza per cause), cioè la   scienza.

Essi consideravano ingannevole ed instabile l'opinione soggettiva basata sui sensi, perciò la contrapponevano alla conoscenza basata sul logos, e ne discutevano il valore di verità.

Parmenide per primo svalutò la conoscenza sensoriale, affermando l'importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione.
 
Aristotele formalizzò in maniera più precisa e sistematica il processo conoscitivo,  e da allora rimase invariato fino al XIX secolo. Questo filosofo rivalutò l'esperienza sensibile e  mantenne il presupposto secondo cui l'intelletto  umano non si limita a recepire passivamente le impressioni sensoriali, ma svolge un ruolo attivo che gli consente di andare oltre le particolarità transitorie degli oggetti e di coglierne l'essenza. Egli distinse così vari gradi del conoscere: al livello più basso c'è la sensazione, in quello più alto c'è l'intuizione intellettuale, capace di "astrarre" l'universale dalle realtà empiriche. Conoscere significa quindi astrarre (dal latino ab + trahere, "trarre da") tramite la mente. I processi mentali venivano spiegati utilizzando termini come ‘anima’, ‘spirito’, ‘soffio vitale’, oggi desueti sia  dal punto di vista filosofico che scientifico; più in auge è la parola coscienza.

Cartesio (1596-1650) nei “Principi della Filosofia”   e con l’ espressione “cogito, ergo sum” (penso, quindi sono, dice che  “Con il nome di pensiero intendo tutte quelle cose che avvengono in noi con coscienza, in quanto ne abbiamo coscienza. Così non solo
intendere, volere, immaginare, ma anche sentire è qui lo stesso che pensare.”
Per questo filosofo francese coscienza significa avere consapevolezza soggettiva di sé,  indubitabile, mentre i contenuti mentali di cui siamo coscienti sono soltanto idee.

Questa concezione cartesiana fu poi  fatta propria dell’empirismo inglese sino a David Hume.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #6 il: Ottobre 14, 2012, 09:18:16 »
/3

Ogni uomo per natura desidera conoscere.” Con questa frase  il filosofo Aristotele inizia il primo dei trattati raccolti nell’opera “Filosofia prima”, poi  da altri denominata: “Metafisica”.

L’incipit della Metafisica aristotelica: “Omnes homines naturaliter scire desiderant” influenzò nel medioevo un altro tema legato alla conoscenza, quello della felicità.

Aristotele aveva infatti spiegato che la felicità si può raggiungere tramite l’intelletto e la conoscenza. Ovviamente tale opinione contrasta con la dottrina cristiana, perché diversa dalla beatitudine eterna, concessa solo dopo la morte ed in virtù della grazia divina all’uomo e alla donna che si fossero distinti per la fede e l'agire bene. Nella prospettiva del credente, quindi, non è la conoscenza la più alta espressione dell’umanità,  ma il pio desiderio di sottomettersi alla legge divina.

La filosofia occidentale si è costantemente interrogata sulla felicità e sul significato del male.

Nel medioevo i concetti di felicità, bene e male erano concetti collegati alla realtà, in cui l’agire dell’individuo  assurge per la sua capacità di pensare il Bene con la ragione, di volerlo mediante la libertà e di valutarlo con la coscienza, parola che deriva dal latino "con-scientia”, quindi linguisticamente collegata con i lemmi conoscenza e scienza. 

Nell’uso comune la coscienza indica la consapevolezza del proprio essere, la conoscenza che ciascuno ha del bene e del male, ma in filosofia  il termine "coscienza" ha  diversi significati.

Nelle filosofie greche il concetto di coscienza è di solito riferito all’anima.

Per Platone  è  "il dialogo che l’anima per sé instaura con se stessa su ciò che sta esaminando" (Teeteto). 

Aristotele riduce la coscienza alla consapevolezza del contenuto delle sensazioni.

A Roma, Marco Tullio Cicerone scrive il “De Officis”, nel quale fra l’altro dice che la coscienza è quanto di più divino è stato concesso all’uomo.

Nella filosofia moderna cruciale è l’elaborazione cartesiana: il colloquio dell’anima con se stessa acquista nuovamente un valore gnoseologico.

Il filosofo empirista Locke concepisce la coscienza come certezza del proprio esistere, del proprio pensare.

Nella “Critica della ragion pratica” Kant considera la coscienza l’elemento che garantisce il valore della legge morale. Per questo filosofo la coscienza contiene il senso etico e quello gnoseologico, fa distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso.

Secondo  Hegel la coscienza è l’attività conoscitiva dell’individuo. 

Per Sartre la coscienza è percezione della propria esistenza, invece per Bergson la coscienza è la capacità di introspezione che l’evoluzione creatrice ha raggiunto nell’individuo.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #7 il: Ottobre 17, 2012, 09:46:46 »
/4

Nel nostro tempo usiamo la parola coscienza in alcune accezioni:

coscienza intesa come capacità umana di conoscere;

coscienza morale, collegata ad aspetti etici. Permette all’individuo di distinguere e valutare il bene dal male, il giusto, dall’ingiusto;

coscienza considerata come consapevolezza che il soggetto ha di sé, del mondo esterno con cui è in rapporto,  coscienza della propria identità e dei propri stati d’animo.

Alla coscienza come dimensione unitaria della molteplicità dei vissuti psichici si aggiunge la nozione di autocoscienza, che permette al soggetto di volgere l’attenzione verso se stesso attraverso l’introspezione e la riflessione In tal senso la nozione di coscienza si collega con quella di interiorità dell’individuo ed evoca la metafisica dell’esistenza personale.

Alcuni autori fanno dipendere dalla coscienza la coscienza morale ed una parte dell'anima, che nell'antico passato si pensavano racchiuse nel cuore, considerato anche l’organo dell’intelligenza e dell’amore.

Nell’Antico Testamento la parola “cuore” viene  intesa come centro dei sentimenti e delle principali inclinazioni morali.

Nel Nuovo Testamento, invece, è  frequente la parola coscienza collegata all’individuo moralmente consapevole e responsabile delle proprie azioni e intenzioni.

La costituzione pastorale  “Gaudium et Spes” (del Concilio Vaticano II)  e l’enciclica “Veritatis Splendor” (del pontefice Giovanni Paolo II)  contribuiscono ad indagare sulla coscienza. 

L'enciclica  esprime la posizione della Chiesa cattolica sulla condizione dell'uomo davanti al bene e al male, e sul ruolo della Chiesa nell'insegnamento morale, filosoficamente fondato anche sul neoplatonismo.

Plotino nel IV libro delle “Enneadi” si sofferma  sulla relazione dell’anima col corpo e dice che l'anima sussiste eternamente ed è padrona dei corpi.

Ma prima di Plotino e di altri autori cristiani c’è l’apostolo Paolo che nell’epistola ai Romani dice: “… quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi;essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda”. (Romani 2,14-15).

La coscienza fu tema di riflessione pure per Agostino d’Ippona (354-430), secondo il quale la verità si svela nell’interiorità dell’uomo (De v. religione, 39, 72), perciò  l’uomo deve compiere un cammino che lo porti a spostare l’attenzione dall’universo esteriore a quello interiore.

L’espressione agostiniana "in interiore homine habitat veritas" implica che nella sua ricerca l’uomo deve trascendere le cose del mondo esterno e la sua stessa natura psicologicamente mutevole per cogliere in fondo all’anima la sua radice,  che Agostino identifica con il verbo divino, che è luce di verità,  principio e fondamento di ogni giudizio.

In Tommaso d’Aquino (1224-1274) la coscienza è considerata anche come coscienza morale. Per l’aquinate “coscienza vuol dire «scienza con altro»” (Summ. Theol., I, q.79, a 13), scienza morale applicata al comportamento umano al fine di valutarlo. (De Ver., q. 17, a.1).

Il tema agostiniano dell’appello all’interiorità come garanzia si ripresenta  nel cartesiano “cogito ergo sum”. Il “cogito” coincide con la coscienza concepita come il complesso dell’attività interiore dell’uomo.

Il pensiero cartesiano fu ripreso nel XX secolo dalla fenomenologia di Husserl.

Oggi la coscienza viene studiata con nuovi metodi d’indagine dalla psicologia, dalle scienze cognitive e le neuroscienze, dopo essere stata per secoli uno dei temi della riflessione filosofica.   

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #8 il: Ottobre 18, 2012, 08:39:34 »
/5

Nelle antiche filosofie elleniche il termine coscienza ha un significato gnoseologico e si riferisce alla  conoscenza di sé , alla consapevolezza di esistere; tale consapevolezza  si crea con le informazioni che riceviamo nell’interazione con le persone e  dalle esperienze personali.

In quelle diverse filosofie vengono distinti tre  livelli di  conoscenza di sé:

l’autoconsapevolezza soggettiva, ,quando l'individuo comprende di essere l'artefice delle proprie azioni;

l’autoconsapevolezza oggettiva,  quando l'individuo capisce di essere un'entità che esiste accanto ad altre;

l’autoconsapevolezza individuale, quando l'individuo si rende conto che le proprie azioni formano un'entità unica.

Per il neoplatonismo plotiniano la coscienza  dialoga con la voce interiore. E tale modo di pensare ancora vige nel nostro tempo quando usiamo l’espressione “voce della coscienza” , che suggerirebbe come comportarsi in base ai propri valori guida all’agire. Perciò il catechismo cristiano prescrive l’”esame di coscienza”  come metodo per rintracciare i propri errori morali. 

Nel pensiero religioso cristiano  la coscienza è concepita come sorgente di quei principi  che sono alla base di ogni retto volere.

Nella costituzione pastorale “Gaudium et spes” (del Concilio Vaticano II) La Chiesa cattolica afferma che “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore.” […]

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #9 il: Ottobre 19, 2012, 17:29:48 »
/6
Nel pensiero religioso cristiano  la coscienza è concepita come sorgente di quei principi  che sono alla base di ogni retto volere.

Nella costituzione pastorale “Gaudium et spes” (del Concilio Vaticano II) La Chiesa cattolica afferma che “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore.” […]

Nel Catechismo della Chiesa cattolica la parte terza, sezione prima, il  primo capitolo è dedicato alla dignità dell’individuo e ci sono tre articoli ( 4, 5 e 6) che descrivono la moralità e la coscienza morale. 
L’articolo 4 riguarda la moralità degli atti umani; l’articolo 5  la moralità delle passioni e l’articolo 6 la coscienza morale. Ed è questo l’articolo sul quale mi soffermo perché inerente al tema che sto sviluppando.

paragrafo n.  1777: “Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. […]

n. 1778: La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E' attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina.
La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. […]

n. 1779: L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione. […]

n. 1780: La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità [“sinderesi”], la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio.

n. 1781: La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui il testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio. […]
n.  1782: L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto “ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso”

La sezione seguente richiama la necessità di educare e formare la coscienza. I criteri di questa formazione vengono dalla Parola di Dio, che il credente cerca di assimilare nella fede e nella preghiera, per arrivare a metterla in pratica (nn. 1783-1785).

Un'altra sezione affronta la possibilità che la coscienza indichi un comportamento erroneo, e presenta alcuni criteri fondamentali che possono aiutare a discernere la retta voce della coscienza.



Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #10 il: Ottobre 20, 2012, 07:48:41 »
/7
Riassumendo…,

il termine coscienza deriva dal latino “conscientia” (verbo “conscire”) ed è una parola composta da “con” (corrispondente al latino “cum”) e “scire”, che significa “sapere”. Il lemma si usa genericamente col significato di consapevolezza, essere consapevole, ma anche per definire l'autocoscienza nel momento in cui esaminiamo le nostre personali sensazioni e conoscenze.

L'autocoscienza è il ragionamento autoriflessivo, con il quale l'io diventa cosciente di sé. L’introspezione e l’attenzione verso i propri sentimenti, pensieri, emozioni e motivazioni servono per  l’autoconoscenza, per percepirci nella nostra unicità, distinta dagli altri individui.

Il concetto di coscienza  è sviluppato dalla filosofia, dalle religioni, dalla psicologia e dalla neurofisiologia.

Un tentativo di giungere ad una definizione unitaria di coscienza è stata proposta dal neuroscienziato Stanley Cobb (1887–1968), su ispirazione dello psicologo e filosofo statunitense  William James (1842-1910).
Per Cobb la coscienza e la"Consapevolezza di sé stessi e dell'ambiente che ci circonda "; a questa enunciazione il neurologo Fred Plum ( 1994) aggiunse il concetto di tempo "consapevolezza temporalmente ordinata del sé e dell'ambiente  interno ed esterno.”
Robert Ornstein, nel suo libro “La Psicologia della Coscienza” dice che la coscienza individuale viene costruita fin dall’infanzia e continuamente rimodellata da situazioni successive.

A seconda dell'ambito nel quale viene osservata, la  coscienza viene intesa nei seguenti modi:

in ambito filosofico, coscienza significa consapevolezza: è  l’attività con la quale il soggetto entra in possesso di un sapere. La filosofia contemporanea considera la coscienza una funzione della capacità umana di conoscere, di sapere,  ma anche  un “raccoglitore” di dati sensoriali, emozioni, sentimenti, valori.

La religione cristiana  considera la coscienza come coscienza morale, la sorgente  etica dei principi e dei valori che fanno distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. L’etica presuppone  nel soggetto  la formazione e l’esistenza di valori, la capacità di valutazioni. Al tempo stesso tale concetto presuppone una legge morale, alla quale la coscienza attinge il proprio giudizio.

Coscienza di classe, in ambito politico-sociale significa che l’individuo ha la consapevolezza di far parte di una determinata classe sociale o strato socioeconomico tramite l’analisi dello status acquisito.  L’ideologia marxista per coscienza di classe  intende l’avere coscienza da parte del proletariato della propria condizione di classe sociale.

In ambito neurologico la coscienza è inseparabile dalle funzioni neurali del cervello, perciò con coscienza s’intende  lo stato di vigilanza della mente contrapposto al coma. I concetti di vigilanza e coma si usano anche per definire le alterazioni dello stato di coscienza: il coma  corrisponde ad un paziente non sveglio privo di ogni consapevolezza; invece nello “stato vegetativo” il paziente è sveglio con alternanza di occhi chiusi ed aperti ma non ha consapevolezza. 
In ambito psichiatrico viene considerata coscienza la funzione psichica capace di intendere, definire e separare  l'io dal mondo esterno.

Per la psicologia la coscienza è lo stato conscio, contrapposto all'inconscio.

Il tedesco Wilhelm Maximilian Wundt, considerato il fondatore della psicologia,  definì la psicologia  "scienza dei fatti e degli stati di coscienza".

Per Sigmund Freud la coscienza  è una qualità della mente che di solito include altre qualità, come  la soggettività,  l’autoconsapevolezza, la conoscenza e la capacità di individuare le relazioni tra sé e l’ambiente circostante.  Egli definì e suddivise  i vari stati di coscienza in: conscio, subconscio ed inconscio.

La coscienza è come la punta di un iceberg, la parte di cui noi siamo consci ci permette di esercitare un controllo volontario dei nostri stati mentali.

Gli individui esprimono i loro stati di coscienza tramite il linguaggio,

Nel linguaggio comune il termine coscienza viene usato sia per intendere la coscienza morale sia  la consapevolezza da parte dell’individuo della percezione  degli stimoli esterni che gli provengono dall’ambiente circostante e degli stimoli interni: gli eventi mentali endogeni,  nella mente e nel corpo.

L’espressione 'livelli di coscienza' indica che la coscienza può variare a seconda dei diversi stati mentali, per esempio mentre s’immagina o si fantastica.

Lo stato cosciente manca durante il sonno, il sogno, durante l’ipnosi e nel momento in cui si fa uso di sostanze psicotrope. Simili circostanze, costituiscono gli stati alterati della coscienza.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #11 il: Ottobre 22, 2012, 11:26:23 »
/8

In alcune  filosofie e religioni il concetto di coscienza è collegato a quello dell’anima, forma femminile del lemma latino “Animus” che significa “spirito”, connesso con due termini  d’origine greca:  “ànemos” (= “soffio”, vento”) e  “pneuma” (= aria). Ma nell’antica Grecia a volte si faceva  riferimento all'anima  anche con il termine psyche, da collegare con psychein : “respirare”, “soffiare”. 


(Psiche: personificazione dell'anima nella mitologia greco-romana. E’ una bella fanciulla con le ali di farfalla.  Ama Eros (= Amore o Cupido) ed il Sole, immagine di Dio.

L’anima è considerata il principio vitale di natura immateriale, la parte spirituale ed eterna di una persona. E' indipendente dal corpo.
 
Chi ci crede pensa che l'anima continui a vivere dopo la morte.

Alcune religioni, come il cristianesimo,  postulano che sia Dio a generare l‘anima negli individui.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #12 il: Ottobre 25, 2012, 11:21:12 »
/9
I  filosofi pitagorici credevano  nell’anima di origine divina ed immortale, che si reincarnava nei corpi, anche degli animali.(metempsicosi).Infine da un corpo riusciva a liberarsi purificata (catarsi) per ricongiungersi all'anima del mondo, alla divinità.

Anche Platone  (428 o 427 a. C.- 348 o 347 a. C) considerava l’individuo composto di due parti, dal corpo mortale e dall’anima immortale.  Per questo filosofo l’anima individuale (psyché) costituisce l'unità della persona: principio vitale, coscienza morale e spirituale dell'individuo. E’ distinta dal corpo, dal quale si separa al momento della morte.
Ciò che Platone dice sull'anima va sempre considerato nel contesto della discussione su un particolare argomento, perché questo filosofo non scrisse un testo specifico riguardante l’anima. Egli elaborò dialoghi e non trattati.

Nel “De anima”  e nella raccolta titolata “Parva naturalia”, Aristotele (384 o 383 a.C. – 322 a. C) dice che gli esseri animati si differenziano da quelli inanimati perché posseggono un principio che dà loro la vita, e questo principio è l'anima, capace di regolare le funzioni vitali (vegetative, sensitive ed intellettive).
Questo filosofo distingue tra:

Anima vegetativa”: regola le attività biologiche (nascita crescita, riproduzione e  morte).

Anima sensitiva”: regola le sensazioni e le emozioni.

Anima razionale” od “intellettiva”: agisce  per capire l’essenza delle cose. E’ posseduta dall’umanità insieme all’anima vegetativa ed a quella sensitiva.  Invece gli animali, secondo lo stagirita, hanno solo le prime due, e le piante solo l’anima vegetativa.

L’anima  intellettiva è suddivisa in “intelletto passivo” ed “intelletto attivo

L’intelletto passivo è l’intelletto dell’individuo, che ha capacità e potenza di conoscere le forme intellegibili che sono nelle cose. 

L’intelletto attivo è immortale, è  la luce che permette di vedere la forma nelle cose e le rende comprensibili.

Secondo Aristotele anima e corpo sono due aspetti inscindibili degli esseri viventi. E l’anima non è prigioniera del corpo come per gli orfici, i pitagorici e Platone.


La filosofia greca dopo Aristotele produce due grandi visioni  filosofiche del mondo: epicureismo e stoicismo.


Il filosofo greco Epicuro (341 a.C. – 271 a.C.) definì l’anima un insieme di atomi leggeri, sottili e veloci che si muovono entro il corpo, composto da atomi più grossi e pesanti. Gli atomi più leggeri, urtando quelli più pesanti, li mettono in moto dando loro vita, sensibilità e pensiero. Quando poi il corpo si distrugge l’anima si disperde.   

Nell’epistola ad Erodoto (63-66) Epicuro afferma che “bisogna credere che l’anima è un corpo sottile, sparso per tutto l’organismo, assai simile all’elemento ventoso, e avente una certa mescolanza di calore, e in qualche modo somigliante all’uno, in qualche modo all’altro. C’è poi una parte che per la sottigliezza si differenzia nettamente anche da questi, e per ciò piú adatta a subire modificazioni insieme al rimanente dell’organismo."

Secondo Epicuro non bisogna avere paura della morte proprio perché l'anima è mortale e dopo la morte non siamo più in grado di provare dolore.
« Ultima modifica: Ottobre 25, 2012, 16:33:09 da dottorstranamore »

polixena

  • Ippo Noob
  • *
  • Post: 47
  • Karma: +1/-0
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #13 il: Ottobre 25, 2012, 15:43:47 »
/8

Ma nell’antica Grecia a volte si faceva  riferimento all'anima  anche con il termine psyche, da collegare con psychein : “respirare”, “soffiare”. 


(Psiche: personificazione dell'anima nella mitologia greco-romana. E’ una bella fanciulla con le ali di farfalla. 

Infatti i greci utilizzavano lo stesso vocabolo (psyché) per vita, anima e farfalla. E anche nell'iconografia cristiana dei primi secoli la farfalla è stata usata con questo significato nonchè quello della resurrezione.

Complimenti per queste sintesi filosofiche, da raccogliere a mo' di dispense.
Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.
(Epitteto)
La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva.
(Hume)
Fate attenzione alla tristezza.
E' un vizio.
(Gustave Flaubert)

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2734
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #14 il: Ottobre 26, 2012, 11:33:13 »
/10

Grazie Polixena per la tua paziente lettura dei miei post.

Il mito ellenico e l’omerica “Iliade” narrano che  l’eroe Achille amò Polixena (Polyxene nella lingua greca e Polyxena nella lingua latina), considerata figlia del re Priamo e di Ecuba.

Rimango nell’ambito greco per parlare della filosofia stoica (fondata ad Atene nel 300 a.C. circa da Zenone di Cizio), che reputa l'anima (psyché) una tabula rasa, nella quale confluiscono le informazioni provenienti dagli organi sensoriali. 
Le sensazioni confluiscono nell’anima e vi si imprimono, generando nella mente la “rappresentazione” (phantasia), che implica l’approvazione  da parte della ragione (logos), la parte razionale dell’anima.

All’anima razionale (psyché logiké) gli stoici assegnano le funzioni conoscitive e morali, ma anche la coordinazione dei movimenti del corpo.

La teoria stoica della conflagrazione presume il ciclico assorbimento dell’anima nel mondo (in latino Anima Mundi): termine filosofico  usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità.
Platone nel "Timeo" (dialogo cosmologico) fu tra i primi a parlare di “Anima del mondo”, ereditando questo concetto dalla filosofia orfica e da quella pitagorica.  Secondo lui il mondo è come un organismo vivente, la cui vitalità  gli è data dall’anima mundi, infusagli  dal “demiurgo”, che è artefice e padre dell’universo.

Le dottrine del ciclo cosmico o dell'eterno ritorno e di Dio come anima del mondo hanno costituito e ancora costituiscono un costante punto di riferimento delle concezioni cosmologiche e teologiche.

La filosofia stoica ebbe  nell’antica Roma numerosi seguaci, fra i quali Marco Tullio Cicerone, Seneca,  il filosofo Epitteto e  l’imperatore Marco Aurelio  Antonino.

In età repubblicana lo stoico Panezio influenzò filosoficamente Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.). Questo oratore  nel brano titolato “Sogno di Scipione” (contenuto nel trattato “De re pubblica”, l'ultima parte del sesto libro) espone la sua visione del cosmo, afferma l’immortalità dell’anima, è convinto  dell’esistenza di un al di là  e di un premio ultraterreno destinato ai grandi uomini politici benefattori della patria e a chi compie le buone azioni.

Il poeta e filosofo Tito Lucrezio Caro (94 a.C. – 50 a.C) fu un seguace dell’epicureismo  e come tale considerava la religione la causa dei mali dell’individuo e della sua ignoranza.

Scrisse il poema  “De rerum natura” in cui argomenta anche sull’antinomia fra ratio e religio (tra ragione e religione). La ratio, secondo Lucrezio, è una qualità della  razionalità, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e superstizione (“superstitio”).
   
Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche.

Circa il concetto di animus in rapporto a quello di anima nel “De rerum natura” scrisse:

“Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima - quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo.” (De rerum natura, III, vv. 130-146)

Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con l’ultimo respiro". L’"animus" invece è identificabile col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell’unità mentale. L’indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell’emozione e del sentimento.
Quindi “animus” come conoscenza ed “anima” come soffio vitale nell’individuo.

Nel I libro del “De rerum natura” (112 – 116) scrisse: “S’ignora quale sia la natura dell’ anima, se sia nata o al contrario s’insinui nei nascenti, se perisca con noi disgregata dalla morte, o  vada a vedere le tenebre dell’Orco (Ade) e gli immani abissi o per volere divino s’insinui in animali d’altra specie.”

In epoca imperiale la stoà  (termine dell’ antica architettura greca, usato anche per indicare la filosofia stoica) vive la sua ultima stagione con  Seneca, Epitteto e l’imperatore Marco Aurelio.

Lucio Anneo Seneca (4 a. C. – 65 d. C.) giunse ad istanze spiritualistiche ispirate dalla religiosità: Dio è l’immanente, è Provvidenza, è l’intrinseca Ragione che plasma la materia, è la Natura, il Fato.

Seneca sottolinea il dualismo tra anima e corpo. Il corpo è peso, è carcere dell’anima. Per lui la “conscientia” è forza spirituale e morale, fondamentale nell’individuo. La coscienza fa distinguere il bene dal male.

Nel filosofo Epitteto  (50 d. C. – 120 d. C.) c’è  il sentimento dell'interiorità e quello religioso impressi da Seneca allo stoicismo.
Per Epitteto Dio è  padre dell’umanità. Egli è dentro di noi. La vita è un dono di Dio ed è un dovere ubbidire al precetto divino. Dio è provvidenza, che si cura non solo delle cose in generale, ma di ciascuno di noi in particolare. La libertà coincide col sottomettersi al “volere di Dio”.
Epitteto ritiene che l'anima  sia un frammento divino, di conseguenza l'uomo è portatore, custode di un Dio. In questo modo ci rende fraterni gli uni agli altri.

Ammiratore di Epitteto fu l’“imperatore-filosofo stoico  Marco Aurelio Antonino (121 – 180 d.C.), autore  dei “Colloqui con se stesso”, opera letteraria in XII libri con ricordi e riflessioni. Una delle caratteristiche del suo pensiero è l’insistenza sulla caducità delle cose.
Come in Seneca, per Marco Aurelio l'anima è distinta e separata dal corpo ma essa è composta dall'anima intesa come spirito (pneuma, soffio vitale) e dall' anima razionale, l’intelletto.
Per questo imperatore sono tre i principi costitutivi dell’individuo: il corpo, che è carne; l’anima, che è soffio o pneuma; l’intelletto o mente (nous) che è superiore all’anima.
Anche in Marco Aurelio  la religiosità va molto più in là di quello della vecchia Stoà. Per lui era importante rendere grazie agli dei ed avere sempre nella mente Dio.

Dopo Marco Aurelio, lo stoicismo iniziò il suo declino, e nel III secolo scomparve come corrente filosofica autonoma.
« Ultima modifica: Novembre 16, 2012, 16:17:53 da dottorstranamore »