Scienza e fede/5
Alla fine del medioevo l’incontro tra religione e “scienza” avvenne in alcune università europee. Numerose quelle che furono create dagli ordini religiosi, con docenti culturalmente rilevanti, fra i quali il canonico ed astronomo polacco Niccolò Copernico (1473 - 1543), famoso per la sua teoria eliocentrica, che considera il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti componenti il sistema solare.
La teoria copernicana, basata su calcoli matematici, evoca quella greca di Aristarco di Samo (310 a. C. circa – 230 a. C. circa) ed è opposta a quella geocentrica dell’astronomo e geografo Claudio Tolomeo, che nel 150 circa d.C. nel suo “Trattato matematico” considerò la Terra al centro del sistema solare. Quel trattato fu per circa 1500 anni alla base delle conoscenze astronomiche nel mondo islamico e in Europa.
Copernico scrisse il “De Revolutionibus orbium coelestium”, pubblicato nel 1543, poco prima della sua morte in quell’anno. Quando il suo studio quando fu pubblicato creò tensione e l’opposizione del clero, il quale sosteneva che Dio mise la Terra al centro dell’universo.
Oltre mezzo secolo dopo la teoria copernicana fu ripresa dal tedesco Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571 – 1630) e dall’italiano Galileo Galilei (1564 – 1642).
Keplero riaffermò l’ipotesi eliocentrica e scoprì empiricamente le leggi che regolano il movimento dei pianeti intorno al Sole. Dimostrò che le orbite dei pianeti non sono necessariamente circolari.
Galileo aggiunse i suoi studi sull’eliocentrismo e perfezionò il “cannocchiale” per scrutare il cielo, ma il suo maggior contributo fu quello di aver dato solide basi al metodo scientifico.
Il “cannocchiale” fu costruito e brevettato nel 1608 dall’ottico di origine tedesca Hans Lippershey, che accoppiò una lente concava ad una lente convessa, riuscendo ad ingrandire di tre volte l’immagine.
Nell’agosto del 1609, Galileo con l’aiuto dei vetrai di Murano e Venezia riuscì a migliorare l’ottica dell’”occhiale a canna” (telescopio), capace di mostrare un oggetto “lontano 50 miglia”, col quale scoprì 4 satelliti del pianeta Giove e i monti sulla luna. Nel mese di marzo del 1610 pubblicò le sue ricerche nel libro “Sidereus nuncius”.
Pochi compresero la positiva novità apportata da Galileo, il quale non presentò la scienza come alternativa alla fede, ma sosteneva che entrambe conducevano a Dio.
Lo scienziato pisano ancora non sapeva che l'entusiasmo con il quale diffondeva e difendeva le proprie scoperte e teorie avrebbe suscitato resistenze e sospetti in ambito ecclesiastico. Evidentemente, la Curia Romana cominciava già a intravedere quali conseguenze avrebbero potuto avere questi singolari sviluppi della scienza sulla concezione generale del mondo e quindi, indirettamente, sui sacri principi della teologia tradizionale.
Galileo era convinto della correttezza della cosmologia copernicana ed era consapevole che questa non si accordava con diverse affermazioni della Bibbia e di Padri della Chiesa, che attestavano invece una concezione geocentrica dell'Universo. E poiché la Chiesa considerava le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la teoria eliocentrica poteva essere accettata soltanto come un modello matematico senza alcuna attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio sotto questa condizione, il libro del Copernico - il De revolutionibus orbium coelestium - non era stato condannato dalle autorità ecclesiastiche.
Nella Chiesa, due erano i maggiori Ordini tutelari della cultura scientifica e teologica: l'Ordine dei Gesuiti che vantava nelle sua fila numerosi matematici e fisici, e quello domenicano, fedele all'insegnamento dottrinario di san Tommaso, pertanto sospettoso di ogni novità che potesse opporsi a quella metafisica. Mentre i gesuiti, in un primo tempo, si mostrarono aperti di fronte alle nuove scoperte astronomiche, furono i domenicani i più decisi oppositori di Galileo, denunciando i pericoli che le teorie galileiane potevano apportare alla tradizionale dottrina della Chiesa.
Nel gennaio del 1630 Galileo Galilei completò il suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, ma ricevette l’autorizzazione alla stampa nel luglio del 1631. Il libro fu pubblicato a Firenze il 21 febbraio 1632 e nel mese di settembre l'Inquisizione romana sollecitava quella fiorentina di notificare a Galileo l'ordine di “comparire a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del Sant'Uffizio”.
Diversi furono i suoi tentativi di evitare di presentarsi a Roma.
Il primo gennaio del 1633 il cardinale Antonio Barberini scriveva all'inquisitore fiorentino Clemente Egidi che il Sant'Uffizio non poteva “tolerare queste fintioni, né dissimular la sua venuta qui”, minacciando di “pigliarlo et condurlo alle carceri di questo supremo Tribunale, legato anche con ferri.” Privo della protezione del Granduca di Toscana, che non voleva mettersi in urto con la Chiesa, il 13 febbraio 1633 Galilei giunse a Roma.
Il processo iniziò a Roma il 12 aprile del 1633 e venne concluso il 22 giugno nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva. Galileo ascoltò la sentenza stando in ginocchio. Gli fu imposta l'abiura e proibito il testo riguardante “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”. inoltre fu condannato al “carcere formale ad arbitrio nostro” e alla “pena salutare” della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni, riservandosi l'Inquisizione di “moderare, mutare o levar in tutto o parte” le pene e le penitenze.
Il rigore fu poi mitigato: la prigionia consistette nel soggiorno coatto per cinque mesi presso la residenza romana del Granduca di Toscana, Francesco Niccolini, a Trinità dei Monti, poi a Siena nella casa dell'arcivescovo Ascanio Piccolomini. Quanto ai salmi penitenziali, Galileo incaricò di recitarli, con il consenso della Chiesa, la figlia Maria Celeste.
Dopo alcune vicissitudini Galileo chiese al Sant’Uffizio di essere confinato nella sua villa di campagna ad Arcetri. Solo i familiari potevano fargli visita, se autorizzati.
Nel 1638 Galileo pubblicò in Olanda ll trattato scientifico “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e i moti locali” che lo confermò “padre” della scienza moderna.