Siamo negli anni ’60. Una società industriale, ca-
pitalista e di massa, espressione di consumismo,
persuasione occulta e omologazione del gusto col-
lettivo, vomita automi e mercanteggia valori.
Nasce allora la contestazione, come protesta alla
bruttura, come ripulsa alla società, come volontà
di individui ostentatamente ribelli, asociali, anti-
conformisti. In Inghilterra si fanno chiamare “angry
young men”, gli arrabbiati, per loro John Osborne
traduce in feroce satira, miti e luoghi comuni del perbenismo inglese, per loro, assetati di rab-
bia. In America si fanno chiamare “beat generation”,
generazione bruciata, oscillante tra esistenziali-
smo e zenismo, gioventù che si anima soltanto per
sfuggire all’alienazione dell’uomo contempora-
neo, promuovendo la dilatazione dell’io attraverso
l’assaggio di droga, vita hippie, forza dell’eros
e misticismo orientale. Contestatori in fuga
dunque, illusi d’essersi trovati un rifugio attra-
verso mille esperienze, e perciò innocui per il
potere e il sistema contro cui combattere, ma infi-
ne da questi schiacciati per averli subìti. Mi viene in mente
Kerouac, scrittore “beat”, con quel suo linguaggio asso-
lutamente libero, ignaro perfino di qualsiasi leg-
ge formale o equilibrio strutturale, quale espressione di una ripulsa ormai stori-
ca.
Rimane immortale quell'epoca, come tante che diventano storia
e nel pensiero fermano un tempo
per definirlo passato.