Osservabili
L’immaginario coniugato di un qualunque
autoket è un autobra riconducibile allo
stesso autovalore e viceversa.
Paul M. C. Dirac
E il vostro immaginario a cosa è coniugato? Qual è il vostro autoket di riferimento? e a quale autovalore si riferisce? Certo, capisco che di questi tempi di grandi rivolgimenti, con una crisi economica che annulla ogni residua sicurezza, di autovalori ne sono rimasti pochini. Se poi li cercate in banca, sul conto corrente o allo sportello mutui, il rischio di una cocente delusione è molto alto. Ma anche autovalori un po’ meno materiali, di quelli che fino a pochi anni fa venivano sparsi a piene mani qui e là, dalla parrocchia alla festa dell’Unità, è diventato piuttosto difficile ritrovarne. Poi parlare di auto-valori è già un segno dei tempi: qui nessuno ti dà niente per niente e anche i valori te li devi dare da solo, perché se aspetti vengano da qualche parte «campa cavallo!».
Io ci starei pure a auto-darmeli, in fondo non è un giorno che bado a me stesso, ma la mia paura, sempre più viva, è che siano solo miei, auto-referenziali insomma, che trovare qualcuno con cui condividerli, non dico per una vita intera, ma anche solo per una piacevole serata, sarebbe impresa ardua. Di valori così auto, allora, che te ne fai? Non sono spendibili, è manifesto; non che io voglia passare per veniale, per uno che voglia il proprio tornaconto, men che meno immediato, ma un minimo di condivisione mi sento di pretenderla: che il tuo autovalore sia anche il mio (e anche D. accennava a un viceversa)!
Vengo da un passato in cui quel che è mio è tuo (anche se ho sofferto un po’ per il viceversa; su questo D. era più ottimista, forse non aveva frequentato quelli che ho frequentato io) e per me la condivisione è fatto naturale. Ritrovarmi in un tempo di autovalori è un po’ spiazzante, ma tant’è.
Non son più un pischello, e la ricerca di un autoket, per il mio autobra (non ho capito bene, però, quale sia maschile e quale femminile) è in cima alle mie priorità. Ognuno cerca la propria metà della mela che, dicono, da qualche parte, sembra esserci. Ed è giocoforza che sia bene essere riconducibile allo stesso autovalore (che, però, in questo caso non rimarrebbe più solo auto). Ma una volta l’avessi trovato, corredato di tutti gli autovalori del caso (che ciascuno ci ha i suoi, ma tutti quanti li cercano dalla terza misura in su, non si sa perché, per poi accontentarsi di quel che capita) cosa scateni l’immaginario ad esso coniugato non saprei, qui su due piedi, dirlo con precisione. Una certa idea, di massima, ce l’ho, come tutti. E, devo dire, che l’immaginario mi scatta anche ben prima aver trovato il giusto autoket; anzi, a dir la verità, è onnipresente, e mi guida nella ricerca.
L’augurio che voglio qui di fare, e in questo mi sento un po’ critico con D., è che ciascuno trovi il proprio autoket/autobra (per non essere maschilista) e non si accontenti di uno qualunque.
Senta professorè, io sto tema l’ho fatto (e mi sembra pure benino) ma, a dirla tutta, cosa volesse dire esattamente D. non è che l’abbia proprio capito. Poi, forse, il mio disappunto ha piuttosto un’altra origine: a lei, lei lei, lei professorè, che le è saltato in mente di darci ‘sta traccia, io non lo so. A volte dovremmo noi mettervi i voti a voi, professorè, e costringervi ad un esame di coscienza; a volte non vi regolate proprio. Non era una traccia? non era un tema? era scienza moderna? era il titolo di una conferenza, di quel tale dell’Università che viene lunedì in aula magna, a cui il prof. di fisica le ha chiesto di accompagnarci? e quali erano le tracce per oggi? “La poetica manzoniana tra trecce morbide e affannosi petti”? Questa sì che è una traccia, professorè, anche se un po’ osè, eh professorè, il Preside cosa dice?, a me quegli affannosi petti danno un solletico … . È proprio quella la questione? come il poeta risveglia, con un semplice aggettivo, affannoso, un immaginario. Quanto e con cosa, poi, sia coniugato, sta a noi valutarlo?