Autore Topic: Da un ricordo fermato su carta - Bucarest 1995  (Letto 562 volte)

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Da un ricordo fermato su carta - Bucarest 1995
« il: Luglio 21, 2012, 23:19:21 »
Un paesaggio brullo, alberi spogli e secchi, cascine isolate e desolate, terra arida, polverosa e qua e là coperta di neve, un cielo triste e gelido, così avvolta nel mio cappotto osservo questa natura per la prima volta.
Come un' automa mi muovo con gli occhi tra la gente e le macchine. Lunghi viali di alberi vivi, privi di vita, costeggiano il mio passaggio, dalla periferia pian piano mi inoltro nel centro della città mentre dalla radio semplici suoni tzigani mi ricordano che sono giunta a Bucarest.
Attraverso gli umidi vetri dell’automobile che mi trasporta, invado con occhi bramosi la vita del popolo romeno, cercando di carpire il loro segreto, di svelare la loro riservatezza e la loro sofferenza.
Come in un film mi passano dinanzi donne e uomini e bambini avvolti nei loro scuri cappotti di grezze fattezze, le donne con i loro variopinti fazzoletti sulla testa a riparo dal freddo o in segno forse di riservatezza e sottomissione; gli uomini alti e austeri con i loro caratteristici “caciula”, e i bambini innocenti, semplici e felici. E ancora le strade piene di buche e di acqua, gli autobus vecchi e sgangherati, le macchine impolverate e modeste. E le luci, le botteghe, i negozi e i palazzi? Monotoni, semplici, grigi, e tuttavia pieni di un brulicare di vita, di odori, usi e costumi e quindi, un mondo si affaccia a me, fatto di sogno e poesia, in cui si respira la magia della vita e del passato e così in silenzio anche per me la fiaba romena apre “con chiavi d’oro e con parole incantate la Porta del tempio dove avviene lo scorrere dei secoli” .

Ho vissuto a Bucarest non da turista, ma da romena; ho abitato nelle loro case calde, accoglienti nelle quali non mancava nulla tranne il superfluo. Mi sono servita dei mezzi pubblici sconquassati ma puntuali. Ho constatato l’efficienza, la precisione, l’ordine degli uffici, delle biblioteche e delle università. Ho capito il senso della “fila” e il rispetto che ad essa si deve, legato a tanti anni di costrizione e sofferenza che rendeva e ancora rende tutti uguali e nessuno diverso dall’altro.
Ho comprato senza toccare, senza desiderare l’indesiderabile.
Senza fatica mi sono mossa tra le persone e così naturalmente ho vissuto.
Ho sbarrato gli occhi e le orecchie di fronte alla fiducia che dimostrava la gente, di fronte alla disponibilità e al rispetto di cose e persone, all’educazione e alla cavalleria che oggi sembra odorar d’altri tempi.
Ho goduto e gioito della semplicità rappresentata anche solo dai fiori venduti ai bordi delle strade o nei mercati. Ho scoperto che l’ingegno di questo popolo ha trovato espressione nell’attività artistica, nella lavorazione del legno, nella rappresentazione delle icone dipinte sul vetro, nei ricami dei bellissimi vestiti nazionali, ricchi di fantasia e colore. E di questo ho goduto scoprendo il particolare modo di “sentire e pensare” del popolo romeno, la sua visione del mondo, intriso di un profondo senso morale, dove inevitabile sembra il confronto tra il bene e il male che costringe l’uomo alla scelta.
E il trionfo della giustizia e del bene sembra infine caratterizzare questo popolo anche in virtù delle difficili condizioni storiche in cui si è evoluto il suo destino, generando la reale associazione del bene al bello e del male al brutto che perpetua così un cammino di semplicità e purezza. Un cammino fatto di scelte e di quella vita temprata
dalla sofferenza, dalla quale i rumeni  hanno tratto l’essenza, forse più vicina al vero.

Svegliandomi dal sonno della notte, riscaldata dai mattutini raggi del sole, come ogni giorno per l’ultimo giorno ero uscita di casa. Una natura diversa di quella che mi aveva accolta, adesso mi regalava come testimonianza della sua duplice esistenza, una esplosione di colori e di profumi attraverso i fiori dei parchi e delle aiuole, attraverso il rigoglio dei germogli sugli alberi e sugli arbusti, attraverso il cinguettio degli uccelli che, festosi annunciavano la bella stagione. La città, in costante movimento pareva salutarmi, immodificata nel suo tran tran di vita e di movimento. Come avida di mantenere immortale dentro di me quell’accogliente Paese, camminavo fissando con gli occhi anche i più piccoli particolari così da non poterli dimenticare. Tutto sembrava sorridere, rinnovarsi e risplendere e soltanto il rullare delle ali dell’aereo da un lato riportava alla memoria la Sicilia che mi attendeva, e dall’altro il decollo che allontanava dalla buona terra che mi aveva ospitata, faceva già emergere la nostalgia nel mio animo. E un pensiero accompagnava la partenza: ero stata come a casa mia.