Io, nel Salento
I Parte
1. La missione.
Questa volta la missione si doveva svolgere nel Salento leccese.
Il comandante mi aveva affidato il compito di osservare i movimenti di armi e droga, a cura di alcuni componenti della “sacra corona unita”, che operavano nel leccese, tra Gallipoli e Surbo.
Accettai di buon grado l’incarico di “osservatore”, eccitato all’idea che avrei nel contempo visitato un angolo d’Italia, che a parer di molti, è assolutamente unico ed incantevole.
Gallipoli e le sue spiagge, fatte di sabbia dorata finissima bagnate da un mare dal colore azzurro intenso, caldo ed invitante, al quale difficilmente si può resistere.
Gallipoli e le sue cento chiese, erette nell’antico borgo dei pescatori, tutte rivolte verso il mare, quasi ad invocare la Divina Provvidenza perché favorisca il ritorno di quei mariti pescatori.
Surbo, sorge a nord di Lecce, antico paese forgiato dalle mani sapienti di contadini ed abbellito anch’esso, come la totalità della “grecia salentina”, di quel barocco leccese del 600’, apprezzato in tutto il mondo.
Le genti di Gallipoli e Surbo parlano un dialetto che, non parrebbe vero a così poca distanza, è diverso nelle parole e nelle origini, ma con un’unica matrice: il “grico”, antica lingua di provenienza ellenica.
Ovviamente, il B&B che mi ospitò durante la mia breve missione, si chiamava “Calì nitta”.
2. Lei
Per motivi di sicurezza, alloggiavo in B&B di Corigliano d’Otranto, uno splendido borgo medioevale che sorge tra le cittadine di Galatina e Maglie, lungo l’arteria principale che collega Lecce a Santa Maria di Leuca.
Questa volta ero solo. Operavo in totale e assoluto riserbo, al punto che neanche i colleghi leccesi erano stati informati della mia missione.
Decisi di muovermi rapidamente: studiai le mappe, le vie di comunicazione. Ma soprattutto, il porticciolo e la costa che va da Gallipoli a Santa Maria di Leuca, sul versante ionico. Le ultime informative, infatti, avevano indicato quelle zone come punti usati sovente per lo sbarco di armi e droga.
La prima sera della mia permanenza nella terra della “grecìa salentina” avevo pensato di concedermi una pausa, un momento per poter respirare, quasi con voluttà, quell’aria che sapeva di barocco leccese, immaginando insieme le note di una “taranta” ballata al ritmo della “pizzica”, come si usa fare nelle notti d’agosto a Melpignano.
Mi aggiravo intorno al castello medioevale di Corigliano d’O., e mentre osservavo la sua forma a quadrato, con i lati rinforzati dai torrioni per l’uso delle artiglierie, ed un profondo fossato tutt’intorno, con la fantasia andavo alle battaglie che il popolo salentino aveva dovuto sostenere, dopo la caduta della vicina Otranto intorno al 1400 d.c., contro i turchi ottomani.
D’un tratto Lei mi fu vicina, anzi, accanto a me. Splendida donna dai capelli castano scuro e lunghi, alta e sinuosa, dagli occhi grandi e scuri. La pelle olivastra ed un sorriso che non dimenticherò mai.
Non so come, non saprei dire né spiegare, forse empatia o semplice simpatia, tuttavia incoraggiato dalla sua vicinanza e sfoderando un sorriso vero ed amichevole, le chiesi dove potessi bere qualcosa di tipico di quelle parti, spiegando che non era della zona e non avevo molto tempo a mia disposizione. Forse il mio accento del nord la convinse della bontà delle mie parole ed intenzioni, e per tutta risposta mi indicò un locale poco distante, proprio alle mie spalle, dove avrei potuto mangiar qualcosa e bere del buon “Negroamaro” o del “Primitivo di Manduria”, due tra i vini più antichi e particolari che caratterizzano il salento.
Colsi l’occasione al volo e con il moto dell’animo che improvvisamente vede la luce, la invitai al mio tavolo, perché mi facesse compagnia e mi parlasse della sua terra, splendida e battuta “di lu soli e di lu ventu”, come si suole dire da quelle parti.
Emanuela, questo era il suo nome, non si fece pregare ed incuriosita dal mio modo di presentarmi a lei senza apparenti timidezze, mi fece compagnia parlando della sua terra e, quando il vino cominciò a rendere disinibita la conversazione, anche di lei.
Non mi sfuggirono i suoi sguardi e, quando capitò che questi si incrociassero, lei non abbassò lo sguardo. Anzi, sembrava che volesse dare ad intendere che lei voleva sostenerlo. Forse per carpire qualcosa di più di me. Forse, alla simpatia stava per subentrare qualcos’altro. Forse…
Le dissi allora: “Emanuela, io non resterò per molto ancora. Sono un funzionario della Difesa e sono in missione. La natura di questa missione mi costringe ad essere furtivo e, forse, teatrale nel comportamento. Tuttavia, vorrei che tu sapessi che è stato bello incontrarti e vorrei che accadesse di nuovo. Se lo vorrai, potrò tornare e presto.” Lei mi rispose: “Guarda che quello che hai provato tu, questa sera l’ho sentito e desiderato anch’io. Mi sei piaciuto, sin dall’inizio. Per questo ti ho permesso di avvicinarti sempre di più a me. Sappiamo bene entrambi, che potrebbe non esserci un domani, per noi. Quindi, viviamoci questo presente, fatto di noi e dei sentimenti e delle sensazioni che stiamo sentendo, l’uno per l’altra. Voglio restar con te, per questa notte, senza pormi il problema “e se domani…”. Voglio viverti, ora e adesso. Il momento e nulla più.”
Ci amammo con tenerezza, dapprima, e forza poi. La notte, quella notte salentina, mi torna in mente di tanto in tanto e so che, anche se per il breve spazio di una notte, fu Amore. E nulla più.
La mattina successiva, lei andandosene aveva lasciato sul cuscino un biglietto, scritto con grafia chiara e volece: recitava “se mi vorrai incontrare, dovrai darmi appuntamento nella Piazza del Duomo di Lecce…e mi porterai una rosa!” Seguiva un numero di cellulare.