1 giugno 1942
I TEDESCHI
Per anni ho odiato i tedeschi, ritenendoli gli assoluti responsabili di tutte le nostre sventure, poi , per esteso , chi avesse atteggiamenti di aggressività.
“Dove essere uomini!”… rimbomba nella mente e tornano le loro corporature , enormi di fronte a me che ero un bruscolo di quasi sei anni.
Ancora prima della mia guerra sulla linea gotica, in città c’era stata la corsa nei ricoveri per le incursioni e i bombardamenti, e le sirene che laceravano l’anima insieme agli orecchi , e le schegge che ferivano i palazzi e dividevano le famiglie nel bel mezzo del giorno o nel cuore del lavoro o del sonno, senza pietà né scampo né permesso. Il loro unico anelito o speranza era quello di ricongiungersi dopo il passato pericolo. Peccato che le parole non siano immagini perché da questa penna potrebbe uscire ciò che i miei occhi hanno imprigionato per sempre.
Era un pomeriggio di giugno molto soleggiato, mio fratello aveva solo otto giorni, un’incursione aerea improvvisa ci costrinse a correre giù per le scale al ricovero, che tutto era fuorché un luogo sicuro. Anticamente era stato deposito di cavallo e carrozza per i signori che abitavano in questo palazzo della paggeria, a pochi passi da palazzo reale che già nel ’42 non era più abitato dal re.
Dunque arrivammo giù spinti da un fragore incredibile e scoppi e colpi a raffica, ma, prima di attraversare la porticina che ci avrebbe dato il passaggio al rifugio, l’occhio raggiunse il palazzo di fronte mentre pioveva a dirotto e pioveva ferro! Schegge grandi come mandorle gigantesche ci mostrarono il palazzo ferito.
Papà era fuori!! Lontano da noi. Come salvarlo,come sapere di lui o dirgli di noi? Desiderai avere gli stivali delle sette leghe mentre il cuore batteva forte. La mamma aveva il mio fratellino fra le braccia e badava a coprirgli la testolina , ma per fortuna le schegge non ci avevano colto!
Entrati nel rifugio lo spazio si rivelò molto più piccolo di quanto avrebbe dovuto essere , buio e con poca aria , in compenso l’umidità era tale da sembrare una cantina in cui si stipavano le cose … ma noi? Quando saremmo potuti uscire di lì?
Si accese una candela, cominciò a suonare un campanello . Lo scampanellio, prima veloce poi cadenzato come quando in chiesa i chierichetti accompagnavano il passaggio di un prelato sotto al baldacchino o veniva mostrato l’ostensorio, riempiva l’aria. Chi poteva mai essere se non Clementina ? una donna giovane già vecchia, grigia come gli abiti che ha sempre indossato per tutta la vita,che accompagnava la voce della sua padrona, la Signorina Carmela, una donna alla quale non si dava un’età, molto distinta , in odore di nobiltà, come io ritenevo che fosse, per via dei soggoli di perline, i merletti che le spuntavano dal polso dell’abito rigorosamente nero da sempre e per sempre, nonché per il fatto che abitasse al piano superiore al nostro, già secondo piano nobile!
Ella aveva adibito la sua enorme casa a scuola. Forse era una mamma? Una nonna mancata?
Niente di tutto ciò, amava i bambini e si era dedicata all’insegnamento. Anche io ero stata invitata da lei già l’anno precedente e vi ero andata per qualche giorno. Non so perché ma avvertivo qualcosa di incompatibile con l’idea che avevo allora della realtà: i banchi erano troppo neri e troppo grandi, la sua attenzione era eccessiva a che la matita non superasse il rigo, esaminava le mani dei bambini a diritto e rovescio e parlava accompagnando le parole col lieve ondeggiare nell’aria di una bacchetta, come di un direttore d’orchestra senza musica. A cosa poteva servirle? I suoi occhi, liquidi e vaganti nel controsole , mi mettevano soggezione , il suo respiro sapeva di latte …. dov’era il mio alfabetiere compreso di figure e lettere?
Il mio pensiero in un attimo era fuggito ed era ritornato. La signorina Carmela ora era lì di certo a proteggerci con i suoi kyrie eleison christe eleison ….
Forse adesso aveva 100 anni!. . ..e continuò ad averli per molti decenni. .. Mi piace ancora ricordarla. Capelli bianchi come la neve, occhi albini e il capo un po’ curvo sul petto, la sua voce forte e chiara mai rotta da nessuna incrinazione emotiva e pregava con l’eco di Clementina che, nell’umiltà del suo porsi, era parecchio asseverativa.
In quel momento di paura, in quale direzione andavano quelle preghiere? Le avrebbe ascoltate qualcuno da qualche parte? E di fuori cosa stava accadendo? e papà ci avrebbe raggiunto ,senza essere colpito da quella pioggia insolita? I miei orecchi tornavano alle litanie che riempivano quell’aria ferma di una
nenia che avrebbe dovuto fermare quello che stava accadendo fuori. Dov’era in quel momento l’angelo? Mi misi a sperare che, quando le preghiere fossero finite, tutto tornasse a posto come prima, quando l’animo era sereno . Non sapevo fosse l’anima o la psiche, come si è detto poi, ma non volevo stare più così male .Tacevo perché non sapevo a chi dirlo, anche gli altri pazienti e silenziosi avevano lo sguardo dello sgomento … non vedevo in carne e ossa il responsabile di tutto quello che sovrastava i grandi, ed io ero piccola!
Era qualcosa di ineluttabile al quale i vicini, i miei genitori , tutti dovevano sottostare.
Sentivo le parole pronunciate in disordine e indistintamente … Inglesi.. Americani.. Tedeschi … ma non avevano ancora significato!
Aspettavo e osservavo …eravamo agli albori.