La gelosia non è più di moda
“Un gruppo che canta una canzone meravigliosa come La gelosia non è più di moda nel 1940 è senza dubbio controcorrente, che la cosa fosse consapevole o meno”
Gianni Borgna
Scopro solo adesso, grazie alla fiction RAI, tratta da un libro di Gabriele Eskenazi, del fatto che le tre ragazze olandesi/italiane che costituirono il Trio Lescano fossero ebree. In seguito alle leggi razziali del ’38, che vietavano, tra l’altro, agli appartenenti alla “razza ebraica” si esibirsi in pubblici spettacoli ed editare proprie opere, ebbero qualche difficoltà, fino all’oblio.
Viceversa il controverso arresto, con un non sufficientemente documentato soggiorno in carcere (una settimana? un mese?), da parte dei tedeschi ha suscitato un vespaio storiografico. Ha molto coinvolto gli studiosi l’accertamento della verità sulla vicenda dell’arresto, sminuito (se mai ci fu) dalla conclusione con un nulla di fatto in conseguenza di una dichiarazione delle tre sorelle che rivendicava una precedente conversione al cristianesimo e, forse, all’intercessione di alti gerarchi fascisti o, addirittura, dello stesso re.
Il fatto indubitabile che artiste molto popolari, all’apice della carriera, molto amate dal pubblico dovessero rinunciare ad esprimersi per il fatto di essere ebree, e forse rischiare la deportazione come alcuni meno famosi colleghi, è cosa che non suscita il necessario sdegno. A me fa accapponare la pelle anche la semplice scena della fiction Le ragazze dello swing in cui i due amanti, entrambi ebrei, sentono interrompere le trasmissioni radiofoniche e leggere un lungo comunicato in cui si elencavano tutte le attività che, da lì in avanti, gli sarebbero state precluse. Ma evidentemente io sono ipersensibile, o gli altri hanno altra sensibilità.
Mi sembra palese che la loro popolarità le ha salvate, che hanno ricevuto aiuti e protezioni, conversione o non conversione (marrana o meno); e questo è un bene, una fortuna immensa.
È sempre per me scioccante scoprire che la deportazione, la morte inducono immediata riprovazione mentre l’esclusione dalla scuola, la perdita del lavoro, delle proprietà o anche il semplice divieto di avere “ariani” al proprio servizio, sono considerati fatti marginali.
Solo la morte, e la morte orribile, suscita pietà. Le altre, preliminari, ingiustizie subite, per l’unica colpa di essere diversi dai più, possono essere derubricate in fastidi, sgradevoli ma tollerabili. Se non sono state arrestate, recluse, deportate in fondo non è successo gran che. Poi sono dovute fuggire, ma il fatto di essere scampate ne sminuisce il portato. Questo secondo gli studiosi.
Ogni volta che mi trovo di fronte a queste premesse di ordine culturale, registro la mia distanza. Ma un Rashdi o un Saviano, costretti ad una vita blindata perché ricercati da feroci detrattori, fortunamente non martiri del diritto di opinione, non avrebbero diritto ad una ben diversa solidarietà e compassione (nel senso etimologico del termine)?
Ma è così difficile praticare il messaggio biblico, eredità comune di ebrei, cristiani, mussulmani (in ordine di apparizione), che quel che è fatto ad altri è come sia fatto a me? Accettereste di dover subire, voi, proprio voi, sulla vostra pelle, quello che hanno dovuto subire i vostri concittadini ebrei nel ’38? Questa domanda qualcuno se la fa quando sente parlare di queste cose?
Credo che la risposta sia no: si discute di storia non di fatti concreti, di persone concrete, di veri drammi e tragedie. La storia annebbia, rende le figure indistinte, le fisionomie irriconoscibili, annulla le individualità e anestetizza le sofferenze. Io non mi riconosco in questa storia, in questa storiografia, in questi storici. Lasciatemi in pace a soffrire sulla mia pelle l’ingiustizia criminale subita da tre giovani sorelle.