L'ultimo spicchio di sole scomparve dietro alla montagna.
Maledisse il giorno in cui decise di salire lassù. Il suo urlo fece eco contro le pareti innevate e tornò indietro con un suono gutturale. Guardò tutto intorno cercando disperatamente un appiglio. Il cielo e la montagna si erano fusi in un indistinguibile color grigio scuro. Davanti a lui solo neve, rocce e cielo.
Il suo pensiero andò a quegli ultimi mesi. Gli scorrevano davanti agli occhi come una pellicola. Mara, la separazione, la depressione, il licenziamento, la sua vita a rotoli. Poi le settimane tra alcol, tv e sigarette. Il tempo immobile, le giornate sempre uguali. Un anno intero, forse più. Poi, quando ormai sembrava destinato ad una lenta e inesorabile deriva, all'improvviso, una reazione.
Via. Lontano da tutto. Subito.
Una baita in cima alle montagne affittata per pochi spiccioli, uno zaino con qualche libro e la volontà di ricominciare.
Si scrollò la neve dalla giacca e cercò di levarsi quei pensieri di dosso.
Era partito dalla sua baita presto quella mattina. Il tempo sin dal giorno prima era rimasto grigio e il vento freddo. Si era svegliato angosciato e aveva bisogno di uscire all'aria fresca. Pezzi degli incubi della notte gli erano rimasti addosso. Uscì all'aperto e imboccò il sentiero che costeggiava la baita e si inerpicava su per la montagna. Era un sentiero molto ripido nel primo tratto, poi, giunto più in alto, si faceva pianeggiante e la passeggiata diventava piacevole, soprattutto per via del meraviglioso panorama che si apriva sulla valle sottostante. Superato questo tratto panoramico il sentiero si perdeva all'interno di una vasta piana, occupata per gran parte da un fitto bosco di pini. Giunto a quel punto era solito tornare indietro e scendere a valle verso la sua baita. Tuttavia quel giorno il pensiero delle angosce lasciate là ad attenderlo nell'aria stantìa della baita lo convinse a prolungare la sua passeggiata. Si lasciò quindi trasportare dal sentiero fin dentro al bosco, attratto dalla sua pace e dal suo piacevole silenzio. Camminava e si guardava intorno come un bambino alla scoperta di un nuovo mondo.
Fu solo quando sentì il vento farsi gelido che decise di tornare sui suoi passi e fare ritorno alla baita. Camminò per un bel po', ma ben presto cominciò a provare la sensazione di trovarsi fuori strada. Più camminava e più guardava intorno a sé preoccupato. Più volte scorse particolari che da lontano gli sembravano familiari : un albero più alto degli altri, un ramo spezzato, un tronco che giaceva in terra coperto di neve. Camminava per raggiungerli ma una volta raggiunti si ritrovava più disorientato di prima.
Il sole scese dietro alle montagne e con lui sparirono all'improvviso le sue speranze di ritrovare la strada perduta.
Riprese fiato con fatica. Era stanco, aveva camminato tutto il giorno, i piedi dentro agli scarponi erano bagnati e sotto ai vestiti era fradicio di sudore. Una ventata gelida si infilò nel colletto della giacca a vento scorrendogli lungo la schiena umida. Si strinse nel bavero rabbrividendo. Guardò ansioso tutto intorno a sé ma non scorse nessun segno di vita, nessun rifugio, nessuna luce. Il vento fischiava tra le cime dei pini. Stette per un po' così, rassegnato, a guardare l'oscurità calare e ad ascoltare il vento. Il pensiero della fine gli accarezzò il collo. Cominciò a singhiozzare. Si mise la faccia tra i guanti e pianse. Fu un pianto lungo e liberatorio. Provò pena per sé stesso. Poi le lacrime finirono e i singhiozzi cessarono e allora si sentì sollevato. Da lassù, di fronte a quel panorama ostile tutti i suoi problemi gli parvero all'improvviso futili.
Si asciugò gli occhi umidi coi guanti. Guardò in alto dietro di se'. La montagna oltre il bosco faceva una gobba oltre la quale non poteva vedere. Era quella la sua ultima chance. Doveva provare a raggiungere quell'altura, da lì magari avrebbe guadagnato una visuale sull'altro versante della montagna. Mosse la gamba destra e sentì l'acido lattico opporre resistenza. Il dolore lo colpì dritto al cervello. Il sudore si stava congelando sotto ai vestiti e sentì salire la febbre. Capì di non avere ancora molto tempo a disposizione. Si incamminò faticosamente sfidando il vento gelido. A ogni passo le gambe affondavano profonde nella neve. Ogni passo era una conquista. Il cielo si fece nero. La neve divenne scura. Il fiato si fece sempre piu' corto.
Mezzora dopo giunse in cima.
Un brivido gli attraversò la schiena alla vista di quel panorama. Una enorme e interminabile oscurità si apriva ora davanti a lui. Guardò tutto intorno per scoprire un qualsiasi segno di vita, ma vide solo una valle di buio. Si appoggiò con le mani alle ginocchia, sfinito, cercando di riprendere fiato. Il panico lo assalì di nuovo. Si morse il labbro inferiore e ne uscì un rivolo di sangue. Il battito cardiaco accelerò incontrollato. Il fiato gli venne a mancare. Si strinse entrambe le mani intorno al collo, la bocca si spalancò emettendo un suono strozzato. Il suo corpo cadde morbidamente sulla neve privo di sensi.
Un odore di verdure bollite gli invase le narici. Lo stomaco brontolò. Aprì gli occhi. Era disteso su un divano, avvolto in una coperta di lana. Non conosceva quel posto. Un tetto spiovente con travi a vista sopra di sui. Alla sua destra, di fronte al divano, un camino acceso. Dentro al camino una pentola appesa a un gancio cuoceva sulle fiamme.
“Hai dormito bene?” - una voce rauca provenne da dietro il divano.
Cercò di alzarsi ma sentì un dolore giungere dal suo corpo. Si arrese e rimase sdraiato. Si accorse di vestire un pigiama di flanella, abiti asciutti. Si sporse oltre il divano e vide un vecchio, alto e curvo, che stava cautamente trasportando un vassoio su cui erano posati un piatto e un bicchiere di vino.
“E' meglio se rimani disteso ragazzo, hai bisogno di riposo” - disse. Il suo volto era pallido e scavato.
“Grazie, lei mi ha salvato la vita” - disse il ragazzo.
Il vecchio posò il vassoio sul bordo del camino. Si chinò verso il fuoco inarcando ulteriormente la schiena. I suoi movimenti erano lenti e posati. Scoperchiò la pentola nel fuoco con un gancio in ferro, poi con un mestolo servì la minestra nel piatto.
“Questa ti metterà a posto, vedrai” - Un forte odore di verdure cotte invase la stanza. Il vecchio ricoprì la pentola, sollevò il vassoio e lo porse all'ospite. Il ragazzo si mise a sedere sul divano, avvolto nella coperta di lana. Prese il vassoio sulle gambe e iniziò subito a mangiare la minestra.
“E' buonissima” - disse - “io non so veramente come ringraziarla”.
Il vecchio continuò a ignorarlo e si sedette a un tavolo di legno dietro al divano. Aprì un gionale e si mise a leggerlo. Il ragazzo tornò col cucchiaio al suo piatto di minestra.
“Tra poco verranno a prenderti” - disse il vecchio da dietro il giornale - “ma hai tempo per riposarti ancora un po'.”
“Chi verra' a prendermi?” - chiese il ragazzo.
Il vecchio abbassò il giornale e guardò il ragazzo negli occhi.
“Non vorrai rimanere qua per sempre spero!” - disse aggrottando le sopracciglia pelose.
Il ragazzo cominciò a guardarsi intorno. Si domandò quanto lontano si trovasse dalla sua baita. Si domandò che ore fossero. E come avesse fatto quel signore anziano a trasportarlo fin lì, e come avesse chiamato i soccorsi..
Cominciò a sentirsi a disagio.
“Non ti fare troppe domande ragazzo e riposati, il viaggio sarà lungo” - disse il vecchio.
“Ma...”.
“Niente ma. E niente domande.” - disse - “Tutti così voi giovani“ - inizio a borbottare a mezza voce - “Arrivate qui e volete sapere tutto. Dovevate pensarci prima. Incoscienti...” - poi il suo borbottio si mescolò alla raucedine e si fece incompresibile.
Il ragazzo rinunciò a proseguire quella impossibile conversazione e si lasciò andare con la testa sul bracciolo del divano.
Fissava il fuoco nel camino e pensò a quella strana situazione, a quel vecchio scorbutico che gli aveva appena salvato la vita.
Fissava il fuoco nel camino e pensò un'ultima volta a Mara.
Poi si riaddormentò.
“Ragazzo, sveglia! E' ora di andare!” - il vecchio era sopra di lui e gli scuoteva una spalla con la mano ossuta.
Il ragazzo si mise a sedere sul divano ancora mezzo addormentato. Fissò il vecchio.
“Pensavo non ti svegliassi più ragazzo mio” - disse - “Ora va', fuori ti aspettano”.
Il ragazzo si guardo', aveva ancora indosso quei vestiti di flanella, avvolto nella coperta.
“Ma cosi?I miei vestiti...”.
“E' tutto pronto la' sul tavolo, non ti preoccupare puoi tenerli quelli. Ti cambierai durante il viaggio. Ora vai.”
Il ragazzo si alzò, perplesso e ancora addormentato. Raggiunse il tavolo e raccolse le sue cose. Guardò la porta e si fermò. Sul suo volto uno sguardo tradì paura. Si giro' verso il vecchio e lo guardò come per chiedere qualcosa. Ci fu un attimo di silenzio. Poi il vecchio gli posò la sua mano ossuta sulla spalla e accennò a stringere.
“Non ti preoccupare” - gli disse.
Sotto le sopracciglia pelose e la barba incolta accennò un sorriso sghembo.
Il ragazzo si voltò aprì la porta e uscì.
FINE