Falth passeggiava tranquillo quando d'un tratto la terra gli crollò sotto i piedi. Non fece in tempo a reagire, subì la caduta passivamente, come un infarto, e perse i sensi.
Poi si svegliò sdraiato supino in una grande buca. Aveva abiti e capelli pieni di polvere ma, per sua fortuna, sembrava non aver riportato nessuna ferita. Sentiva solo un po' di indolenzimento al collo e un fastidioso prurito agli occhi. Sopra di lui il cielo sembrava l'unica via di fuga e un rumore indefinito, come di macchinari in funzione, comprimeva l'aria ronzando tutt'intorno. Di secondo in secondo cresceva d'intensità. Falth pensò d'essere all'inferno, ma ben presto si dovette ricredere, poiché due operai si affacciarono dall'alto osservandolo incuriositi. Indossavano larghe camicie a quadri e scintillanti elmetti di protezione. Sulle prime non dissero nulla, poi con un tono contrito, come controvoglia, sputacchiarono qualche parola.
"Ci sono dei lavori in corso." disse uno.
"Dovrebbe fare più attenzione." aggiunse l'altro.
"Non erano segnalati." rispose Falth
Nel mentre si era alzato e, a piccoli passi, misurava larghezza e profondità della sua prigione. Le pareti, un misto di terriccio e sporgenze di pietra, erano alte il doppio dell'uomo. Non sarebbe riuscito a uscirne senza aiuto.
Purtroppo i due operai non sembravano minimamente interessati alla presunta gravità della situazione; sostavano da quelle parti, come fossero di passaggio e nulla più. La loro morbosa curiosità ricordava vagamente quella dello spettatore tra le gabbie dello zoo. Si erano accesi una sigaretta e scandivano il tempo con le grosse scarpe antinfortunistiche, ben attenti a non scivolare di sotto.
Falth volle sollecitarli. Prese un po' di terriccio e glielo lanciò verso gli occhi.
"Allora? Cosa fate là impalati? Volete darmi una mano?" chiese con stizza.
"Dovrebbe fare più attenzione." ripeterono i due, poi, lanciati a terra i mozziconi, si voltarono sparendo a passo svelto.
Falth li sentì persino correre. Pensò che fossero andati a cercare aiuto: in fondo da soli non potevano fare granché. Il loro atteggiamento non faceva ben sperare, ma Falth riponeva fiducia un po' in chiunque; quando la situazione lo richiedeva egli era capace di mettersi completamente nelle mani del prossimo. Del resto la sola idea di arrampicarsi lo metteva in soggezione. Aveva provato a sfiorare una delle pareti e la sensazione era stata di sconforto totale, come se anche solo poggiandovi una mano potesse provocare un altro crollo.
Con suo gran sollievo gli operai apparvero nuovamente sul bordo della fossa. Tra le mani callose tenevano due grosse pale di ferro.
"Le vede queste?" chiesero a Falth, e agitarono gli arnesi al vento come fossero soddisfatti di possederli. Falth fece per rispondere ma ancor prima che aprisse bocca i due lo inondarono di terriccio bagnato. Palata dopo palata, veloci e solerti, sembravano più che intenzionati a seppellirlo vivo nella fossa.
Falth di primo impatto si coprì il viso, tentò di chiamare aiuto ma ogni parola gli rimaneva incastrata nella cassa toracica. La terra non gli arrivava ancora al ginocchio quando cominciò a irrigidirsi a causa del panico. Sentiva le cavità nasali otturate, gli occhi ormai prossimi a spegnersi, misurava ogni battito convulso del cuore, e un folle desiderio di morire al più presto gli martellava ferocemente nelle tempie.
La paura era tale che subentrò uno stato simile all'incoscienza. Lo seppellirono senza patemi. Fu come un istante. Dal giorno alla notte in un solo momento.
Con suo grande terrore si risvegliò, aprì gli occhi e ovunque non c'era altro che il vuoto di un'avvilente oscurità. Riusciva a pensare e non gli piaceva proprio per niente: se pensava allora non era morto, se sentiva qualcosa allora non era morto: e se invece fosse stato quello il destino dell'uomo dopo la vita terrena? Condannato ad ascoltare per l'eternità; immobile, eppure in movimento; in pace, eppure senza riposo.
Poi d'un tratto si sentì come sbalzato, lanciato velocemente dentro e fuori quell'impalpabile buio, e lo scenario cambiò ai suoi occhi in un secondo.
Una distesa di sabbia nera si spandeva uniformemente, senza confini, fin dove Falth poteva vedere. Qua e là spuntavano sterpaglie bruciate, tronchi di alberi spogli e numerosi cumuli di grosse pietre bianche. Il cielo era di un pallore cadaverico, come appiccicoso, colmo di nubi sottili. Nell'aria vibrava un ronzio insopportabile.
Superato il primo momento di perplessità e inquietudine, Falth tentò di muoversi per cercare risposte, per sfuggire a quell'abberrazione. Ma fare anche un solo passo gli risultò impossibile. Guardando verso il basso si accorse di non avere più i piedi; e non solo: in lui non c'era nulla di umano. Era diventato di pietra. Era diventato un muro di pietra. Poteva solo osservare, passivo e imperturbabile. Avrebbe voluto sradicarsi dal suolo, ma un inaspettato istinto di conservazione gli suggerì che quella mossa avrebbe solo peggiorato le cose. Sentiva che quella strana sabbia gli forniva un qualche tipo di nutrimento, una fonte di vita a cui attingere.
Un bambino tozzo, dai capelli castani, gli apparve di fronte come un sontuoso miraggio. Due lunghi incisivi gli spuntavano dalle labbra rendendolo in tutto e per tutto un castoro. Con un gesto rapido si abbassò i pantaloni urinando sopra quello che un tempo era stato un uomo.
Falth non sentì né il minimo ribrezzo, né il minimo calore: sentimenti, reazioni umane, sensazioni, erano svaniti lasciando spazio ad un estasiante bisogno inconfessabile di subire, subire e ancora subire. Pian piano apparvero altri bambini e il muro divenne loro compagno di giochi. Alcuni ci disegnavano sopra, altri lo prendevano a calci; c'era chi semplicemente mostrava il posteriore o si sprecava in insulti.
"Ancora! Ancora", pensava il muro, "Resisto! Resisto! Non potete farmi niente! Non potete farmi niente! Sono indistruttibile!"
Avrebbe riso se ai muri fosse concesso di ridere. Ben presto Falth capì che più angherie sopportava, più cresceva rafforzandosi e allungandosi a piacimento. Era quello l'obiettivo della sua nuova natura: dimostrare. Mentiva a sé stesso, fingeva una soddisfazione propria degli uomini, mentre superava in altezza altri muri che di minuto in minuto sbucavano lentamente da quel suolo malato. Di centimetro in centimetro, approdando su nuovi piani, Falth affrontava passivamente nuove difficoltà; era ormai in ascesa, oltre il cielo, e udiva chiaramente voci sconosciute, di incoraggiamento, tese ad elogiare la sua foggia, il suo valore di resistenza. Gigantesche mani apparivano e applaudivano tutt'intorno a lui, in cerchio, come una giostra di immagini veloci e sfocate; lo incitavano, lo incitavano a continuare.
"Resisto! Cresco, cresco e resisto! Nulla mi può scalfire! Nulla!"
Poi d'improvviso tutto svanì, Falth si sentì scrollare da parte a parte, scosso all'interno, strappato dalla sua nuova vita. Era sul bordo di una grande buca, profonda almeno una dozzina di metri, e due operai lo scuotevano al pari di un vecchio straccio. "Cosa dici? Cosa ti deve scalfire?" lo apostrofò uno dei due schiaffeggiandolo.
Falth lo ignorò, intontito, come un perfetto ebete. Non rispose nulla né azzardò una qualche reazione. I due operai continuavano a parlargli, a cercare di capire in che condizioni versasse, lo esortavano a dire il suo nome.
Falth non poteva sentirli. Una cacofonia devastante gli assediava il cervello.
Nella zona la manovalanza effettuava scavi a casaccio, senza utilità alcuna, trivellando il terreno con veri e propri eserciti di martelli pneumatici. Non si contavano le bocche spalancate in grida silenziose, i pugni tesi minacciosamente ad aumentare il ritmo lavorativo; alte impalcature d'acciaio, intrecciate tra loro in un labirinto senza fine, serpeggiavano brulicando di migliaia di operai. Il clangore metallico degli attrezzi da lavoro risuonava cupo, simile a un eco infernale. Al centro del cantiere, conficcate a X, svettavano sopra ogni cosa due monolitiche colonne di un viscido metallo nero. Talvolta dalla struttura scaturivano spessi strati di pulviscolo e lunghi getti di vapore. In cima, tenuta in sospeso da due lunghe catene, vi era collegata una gigantesca gabbia di ferro. Al suo interno Falth notò un uomo in età avanzata, magro e sottile, con il volto scarno e il corpo nudo coperto a malapena da lunghi e luridi stracci.
Falth prese a osservarlo, in un ipnosi a metà tra estasi e delirio. "Chi sei? Chi sei?" balbettava.
Il vecchio parve quasi sentirlo, poiché si aggrappò alle sbarre e contorse il volto in un urlo disumano.
Vedendolo in quello stato, Falth tremò in tutto il corpo, si staccò a passo svelto dagli operai e, gridato qualcosa di incomprensibile, si gettò nuovamente tra le braccia della fossa.
Fu come un istante. Dal giorno alla notte in un solo momento.