Scendendo le scale della Stazione Termini si entra in un mondo colorato, quello commerciale del Forum. Fuori può piovere, splendere il sole, o essere notte; qui sotto lo shopping va avanti 24 ore su 24 sotto una luce artificiale perenne che sospende il tempo.
Incastrata tra una libreria affollata da una comitiva di adolescenti armati di zaini e sacchi a pelo intenta a sfogliare guide turistiche per assaporare sulla carta un antipasto del loro prossimo viaggio e una cafeteria che profuma di toast e caffè, c’è una buffa scatolona. Un parallelepipedo che ha per facce tante foto colorate che compongono un album di volti anonimi, all’interno uno specchio, uno sgabello girevole e una tendina per garantire un po' d’intimità. Le gambe che si intravedono suggersicono di aspettare di vedere tutto il resto. Sono affusolate, caviglia delicata, una mano compare a raddrizzare la cucitura posteriore delle calze, l’altra apre il sipario e compare una ragazza bruna, volto intrigante, non bello, anzi decisamente angoloso ma proprio per questo non anonimo, impreziosito da un taglio a caschetto all’altezza della mascella e sfumato gradatamente sul collo. Occhi grandi, distanti, trucco scarso.
Dopo il “cheese” ritira le sue 4 foto in 4 minuti che osserva compiaciuta e mentre le infila nel portafoglio ne cade una che teneva all’interno, tra la patente e la Master Card.
La raccoglie e con le dita affusolate dalle unghie smaltate toglie via la polvere che aveva invecchiato precocemente un ragazzo bruno, con la barba ed un sorriso cordiale.
Gli ricambia il sorriso anche se lui non lo sa, esce e prende un taxi.
L’auto bianca la porta all’Istituto. Lei entra, cerca di orientarsi, si sofferma su una bacheca in cui figurano orari, avvisi e messaggi.
“La dottoressa la riceverà tra 5 minuti, se intanto si vuole accomodare in questa sala.”
La voce è cordiale, accogliente, come la persona che la introduce nel salottino d’attesa.
La ragazza si rilassa, lasciandosi andare, come fa dal parrucchiere quando si abbandona alle sue sapienti mani per lo shampoo. Nell’aria c’è un’atmosfera di familiarità. Già “familiarità” o qualcosa di indecifrabile, come di già vissuto, di deja vu. Per distrarsi sfoglia di malavoglia una rivista. Uno stato di ansia la invade e sa che non è per via del colloquio. Si trasforma in panico. Istintivamente si dirige verso una porta che richiude dietro di sé, per isolarsi, come aveva fatto poco prima nel Forum, tirando una tendina. Stavolta il suo microcosmo ha l’aspetto di una toilette.
Fuori bussano, voci concitate :
“Signorina, signorina sta bene ?”
Lei si guarda intorno,sempre più smarrita. Come un disco rotto un interrogativo non fa che aumentare la sua angoscia : “Come facevi a sapere che dietro quella porta c’era un bagno?” Lei si guarda allo specchio, opaco, ambiguo, ingannevole che riflette qualcosa che non ti appartiene e che non vuoi vedere. Mentre i grandi occhi si riempiono di lacrime e qualcuno sta già forzando la serratura lei ricorda quello che aveva visto in passato riflesso in quello stesso specchio; qualcuno o qualcosa di diverso da sè che le fece paura, inaccettabile, da rimuovere, da nascondere, da dimenticare.
Come quel posto dall’atmosfera magica in cui era inconsapevolmente tornata per ricominciare, dopo l’intervento che le aveva permesso di accettare la sua vera natura.
Uscì dal bagno rassicurando tutti e mentre si avviava a sostenere il colloquio riconobbe tra le foto ingiallite dei corsisti degli anni precedenti appese al muro il ragazzo bruno con la barba. Gli sorrise e, forse per un riflesso del vetro, ebbe la sensazione che lui ricambiasse. Si chiese allora se un ricordo è qualcosa che hai o qualcosa che hai perduto. Per la prima volta, dopo tanto tempo, si sentì placata.