Il Controllore mise una mano nel taschino della divisa, e ne estrasse un lucidissimo fischietto nero. Lo utilizzò a lungo, diffondendo nell'aria qualcosa di simile al richiamo di un corno da guerra. Subito sull'autobus affluirono altri uomini con la sua stessa divisa e il suo stesso aspetto, come una mandria di bufali inferociti. Erano talmente tanti, affluivano in numero così crescente, che l'ossigeno cominciava a scarseggiare. I passeggeri volevano scappare ma le miriadi di Aiutanti li tenevano inchiodati ai loro posti con le famose bacchette di ferro. A turno cominciarono a sbatterle ovunque, su tutte le superfici, creando una cacofonia inarrestabile.
"Ecco, ecco cos'ha portato qui. Le sto mostrando la conseguenza delle sue azioni. Osservi, osservi," diceva il Controllore, estasiato in tutto lo spirito dalle gesta dei suoi amici di merende. Un paio tra gli Aiutanti si avvicinarono ai seggiolini riservati agli invalidi, li sradicarono di netto e poi li lanciarono fuori dai finestrini. A bastonate distrussero la macchinetta dei biglietti, gli anelli per appendersi durante il tragitto, scioglievano i poggiamani con grandi fiamme ossidriche scaturite direttamente dalle loro stesse bocche. I passeggeri sussultavano in tutto il corpo, immobili eppure contorcendosi ugualmente nelle viscere, con occhi allentati dalla pressione del terrore. Volevano dormire, volevano solo dormire, dormire senza risveglio. Il terribile clangore metallico continuava a diffondersi nell'aria come l'immutevole rumore della catena di montaggio.
"E' lei, è lei il colpevole! La causa di tutto questo!" urlava il Controllore dritto in faccia a William Charpanvam, "Vi sarà tolto tutto, vi sarà tolto tutto! E adesso vediamo di rimettere in funzione questa vecchia carcassa di un'autobus, venga con me, venga con me."
Prese William in consegna e nuovamente lo trascinò fino alla cabina del Conducente. "Vattene fuori dai piedi", urlò a quest'ultimo e se ne liberò con un calcio.
Uno dei due principali Aiutanti si avvicinò al suo maestro, tentando di calmarlo con un abbraccio affettuoso. Sul viso gli si leggeva una profonda preoccupazione. "Lei è un Controllore, e sta perdendo il controllo, stia attento, sta perdendo il controllo e lei è un Controllore, stia.." Ma quell'altro lo allontanò con uno schiaffio ben mirato, gridando come un ossesso.
"Finiscila, Il Signor William Charpanvam ha bisogno di una lezione, ha bisogno di una fottuta lezione."
"Ma.. ma.. ma lo ha già arrestato, non le basta? Portiamolo via, comincio ad avere.."
Il Controllore neppure lo ascoltò, prese William per la collottola e di peso lo mise al posto del Conducente. Gli tolse le manette strattonandolo senza riguardo. Charpanvam era tornato a tremare, a tacere, non tanto per sé, quanto per gli altri; sentiva i passeggeri urlare di disperazione dietro le sue spalle, ed ognuna di quelle voci si infiltrava nel suo corpo come una colla umidiccia e pesante.
"E' colpa.. e' colpa dell'umidità..."
"Ora metti in moto, sbrigati, voglio vedere come sai guidare." disse il Controllore a William, e messa mano ad un altra tasca della divisa ne estrasse una pistola d'ordinanza. Con il braccio fermo la puntò alla testa di William. "Metti in moto, metti subito in moto, hai voluto la libertà di lamentarti, ebbene, adesso la sconterai, la sconterai fino all'ultima goccia."
Alla vista della pistola William si pisciò letteralmente nei pantaloni. Tornò a balbettare. "M-m-ma.. io.. ecco.. ecco.. non credo di poterlo fare.. non so.. non ho neppure la patente B... La prego.. la prr-r-rego Signor Controll.."
"Ma sentitelo questo cretinotto," ridacchiò il Controllore ormai fuori controllo. I suoi stessi Aiutanti lo guardavano allibito. Nessuno di loro si promuoveva più in azioni di terrorismo gratuito. Con la bocca spalancata dallo stupore, passeggeri e Aiutanti seguivano la scena in trepida attesa di una conclusione. La tensione sfrecciava nell'aria come un fitto stormo d'uccelli chiassosi.
"Vedi di mettere in moto, o ti sparo, qui, adesso, in questo preciso istante. Neppure io ero un Controllore un tempo, lo sono dovuto diventare, ho dovuto imparare, adeguarmi al mio ruolo, non mi piace quello che faccio ma lo faccio al meglio, ed è proprio per questo che siamo qui, per assimilare, divorare il nostro ruolo e professionalizzarci. Per tanto accetta il tuo nuovo ruolo, sii Conducente, e metti in moto."
William non se lo fece ripetere due volte e diede sfogo all'autobus mettendo piede all'acceleratore. Il mezzo da prima avanzò piano piano, sicuro, poi, sotto il controllo inefficace del suo Conducente, cominciò a sbandare di lato in lato, minacciando di sfracellarsi di qua e poi di là. Finì per andare contromano evitando solo per miracolo il contatto con altre vetture. William non riusciva a dominare il bestione di metallo, girava il volante a sinistra e si ritrovava ad andare a destra, la frizione semplicemente pareva non esistere, il freno rispondeva solo a tratti. Tutto gli era sconosciuto e misterioso come la prima volta sotto le coperte bagnate di sudore.
Il Controllore notava la sua difficoltà e rideva di gioia. Morire non gli importava. Avrebbe portato tutti all'inferno piuttosto che togliere quell'incompetente dal posto di guida.
"Allora?" ripeteva inebriato di piacere, "Ti piace? Ti piace la tua libertà? E' facile guidare? Ora non fai lo spaccone vero? Ora non ti lamenti? Eppure ti schifava la mia guida, ne sono certo, potevo sentire il tuo odio e il tuo disprezzo a chilometri di distanza per il mio atteggiamento al volante. Ma nonostante quello che vedi con gli occhi, ebbene, senza conoscere la difficoltà, non puoi mettere bocca sul lavoro altrui. Non hai idea dello stress, della diffamazione e dell'umiliazione continua, ed è solo colpa tua, solo colpa tua se adesso io sono Un Controllore!"
William lo ascoltava senza parole, sudando in ogni centimetro della pelle, braccato da quella verità incontestabile. Allora non si era sbagliato! Il Controllore era stato un Conducente! E forse come lui, prima d'essere un Conducente era stato anche un passeggero!
"N-n-on volevo... n-n-non volevo.." disse balbettando. L'autobus era ormai fuori controllo, i passeggeri lanciavano grida disumane lasciandosi trasportare dal moto del mezzo, sbattuti come biglie da ogni parte.
"La prego.. riprenda il controllo.. riprenda il controllo del mezzo.. siamo tutti uguali, tutti uguali di fronte alla morte.. nessun Conducente, nessun controll.."
"Ti sbagli, ti sbagli di grosso ragazzo." gli urlò il Controllore tenendo il dito tremante sul grilletto, pronto a sparare più che mai.
"Non parlare di uguaglianza, non parlare di giustizia, non parlare, non parlare e basta, guida, guida, guida!"
William aveva perso la speranza, non sarebbe riuscito a convincerlo. Era il disastro ad aspettarlo, ad aspettare tutti quanti. E la colpa era solo sua. La colpa era stata la sua. Lui che voleva cambiare le cose, per gretto egoismo voleva cambiarle, vedere tutto di un colore invece che di un altro. Impuntarsi su delle sciocchezze gli era costato caro; la colpa era stata esclusivamente sua. Un alone di depressione gli permeava il corpo come un pesante sudario. Anche se si fosse sacrificato lasciandosi uccidere, nessuno gli avrebbe potuto raccontare il finale, nessuno gli avrebbe potuto assicurare che gli altri si sarebbero salvati. Poi sentì qualcosa arrampicarglisi dai piedi fino alla gamba, ed una voce sussurrargli:
"Non arrenderti, non arrenderti."
William si distrasse solo un attimo dalla strada e abbassando lo sguardo incrociò quello di una piccola pera verde, dal gambetto vivace. La piccoletta stava sulla sua gamba e lo guardava con occhi pieni di fiducia, infusi di una fede impossibile da non abbracciare.
"Io credo che tu possa farcela," gli disse con voce soave la pera, "tu puoi fare di tutto, accetta il rischio, vai oltre il dubbio, sei in un territorio nuovo, lo so, ma puoi riuscire, puoi riuscire. Liberati dalla paura. E' la paura. E' la paura," continuava la pera, "E' la paura che ti incatena, che ti serpeggia nel corpo, che ti stupra da dentro divorandoti l'anima. Tu sei immobile nella pancia della paura. Nulla è una sciocchezza, prendi posizione quando necessario! Combatti, e non combatti da solo, perché siamo in tanti, siamo in tanti," e a queste ultime parole salì sul volante fissando dritta negli occhi William. Poi alzò la voce a tal punto da sentirla rimbombare ovunque come un monito, il timbro era baritonale; scandiva le seguenti parole a ripetizione, come un incitamento alla resistenza:
"Mostrate Chi siamo
Mostrate Quanti siamo
Che assaggino il fuoco dell'incoscienza,"
Da subito il motto si propagò tra le bocche degli altri passeggeri. William fu il primo a ripeterlo, ad urlarlo fino allo sfinimento, e ora, sì, ora qualcosa stava cambiando. lo urlava e sorrideva, lo urlava e sorrideva. L'autobus cominciava ad assestarsi sulla strada, ma non era ancora abbastanza. La guida di William non era ancora perfetta, ancora non aveva tutti i pezzi del puzzle. Da dietro tutti i passeggeri prendevano di mano le bacchette agli Aiutanti, e adesso erano loro a sbatterle con forza ovunque. Se pur feriti, se pur impauriti, o striscianti al suolo, prendevano coraggio intonando quel coro di rivolta, di speranza. Era come il battito di un cuore feroce, destinato a non spegnersi mai nell'eternità. Avanzava galoppando a ritmo scatenato, travolgendo le orecchie del Controllore e degli Aiutanti tutti, lasciandoli instupiditi come tanti piccoli manichini di legno.
"Mostrate Chi siamo
Mostrate Quanti siamo
Che assaggino il fuoco dell'incoscienza,"
"Mostrate Chi siamo
Mostrate Quanti siamo
Che assaggino il fuoco dell'incoscienza,"
William Charpanvam scattò in una risata interminabile, senza senso, rumorosa abbastanza da soffocare tutto il resto. Ora, ridendo, teneva le mani salde sul volante e guidava sapendo sempre quello che faceva. Inseriva le marce con rapidità, e tutto gli era così abituale, così facile e comprensibile. Ben presto tutta la confusione cessò, fu silenzio; il mezzo andava cauto nel traffico cittadino. William era divenuto un Conducente. Ma tra i passeggeri non ci furono scrosci d'applausi, o regali destinati a lui: ben presto in due o tre cominciarono a reclamare sul sistema di ventilazione. William era costretto a sorbirsi tutte le loro problematiche. Il Controllore era perplesso, affascinato da una simile trasformazione. Già da un pezzo aveva abbassato la pistola. Era sconfitto. Annichilito. La vita si era spenta nei suoi occhi di marmo, presagio di quel che stava per avvenire.
Un Aiutante, Elbert, quello più anziano, gli si avvicinò e lo abbattè con un colpo di pistola alla tempia.
"Lei è dismesso dal suo incarico."Schizzi di sangue volarono su William e sulla pera. Quest'ultima disse: "C'è sempre qualche conseguenza."
William osservava tristemente la scena. L'Aiutante che ora era divenuto Controllore gli tese la mano e disse con voce sibillina: "Ora lei è il nuovo Conducente. Mi congratulo. E' arrivato puntualmente a lavoro, come ci aspettevamo da tempo. Sono sicuro che andremo d'accordo. Posso invitarla a cena questa sera? La mia famigl.."
Ma William lo bloccò subito scuotendo la mano. No, quella sera non avrebbe potuto, e forse neppure quelle successive. Aveva un autobus da guidare.
E non solo quella sera, a lungo guidò l'autobus, a lungo si destreggiò tra le strade di quella vorticosa città dall'aria malata, come un baluardo incontrastato della sicurezza dei passeggeri. I primi tempi la pera lo seguì nelle sue vicissitudini, sempre, costantemente, gli dava apporto e sostegno. Poi un giorno la cara amica prese a vedersi sempre più di rado sull'autobus, scomparve quasi; i due si incontravano solo ed esclusivamente al di fuori del turno lavorativo, per passare una serata in allegra compagnia e nulla più. William si sfogava con lei, parlandole di tutti i problemi relativi a quel mezzo complesso che è l'autobus. La pera ascoltatava attentamente, buttando in corpo due o tre bicchierini di prosecco.
Di tanto in tanto, qualche passeggero, che conosceva a memoria la leggenda della pera, si accostava alla cabina del Conducente e gli chiedeva:
"Che tipo è? Che tipo è questa pera?"
William tendeva a non rispondere, o tutt al più formulava cose scontate e banali. Ma nella sua testa, all'immagine dell'amica dalla fede incrollabile, associava sempre un unico, dolce pensiero:
"Attraverso i suoi occhi il mondo è venuto a stanarmi
e adesso si aspetta che io mi inchini alla vita,"