Non avevo scelta quella mattina, era inutile stare a sbattere il viso contro la fredda trasparenza della finestra. L'armonico parco dell'ospedale, contrastava con la nuda infermità del mio corpo. "Ce la faremo" sussurrò Chiara, "e quel giorno ti porterò via con me". Accarezzai quel braccio, che in vita mia si era spesso esposto a consolatori abbracci. "Quando accadrà Chiara?" inveii con le lacrime agli occhi, "sei sempre così fiduciosa, lo ero anch'io, ma ora...". Baciai la morbida spalla, cercando in essa il tepore di Dio. "Avere paura è umano, ma siamo sempre state assieme, è la nostra forza, ricordi?". Massaggiai la cute districando i lunghi capelli bianchi. "Ho sempre saputo che cosa sarebbe stato un giorno di noi, ma ora, scorgere quel momento mi distrugge". "Mi ami?" intervenne lei dolcemente. "Lo sai, ed è proprio questo che mi fa rodere ulteriormente".
Ce ne andammo assieme, in una splendida giornata autunnale. I caldi colori della natura si specchiavano vanitosi nella finestra. Una foglia particolarmente curiosa, con l'aiuto del vento, si schiantò sul vetro. Mentre cercava di riprendersi osservò l'interno.
La nostra bianca stanza,
il nostro letto singolo,
il nostro unico corpo spento.