Francia 1940. La pattuglia procedeva lentamente lungo la via deserta. Il coprifuoco era iniziato da un paio d'ore e Parigi appariva deserta. A un tratto una figura attraversò la strada proprio dinanzi al mezzo dei militari. - Alt...stop! - L'Hauptmann Carl Wolfe estrasse la Luger d'ordinanza e sparò un colpo d'avvertimento. La persona si mise a correre più velocemente. Carl aveva vinto diverse gare di tiro prima della guerra. Senza fretta prese la mira e sparò di nuovo. La figura s'arrestò di colpo, per un istante sembrò che non fosse accaduto nulla, poi di colpo, s'afflosciò a terra. Carl scese dalla vettura e fece segno ai soldati di restare sul mezzo, quindi, da solo, s'avvicinò alla sagoma distesa a terra, la luger spianata davanti a se. Quando fu a circa tre metri sobbalzò spaventato. Un pianto disperato, il vagito tipico dei neonati gli perforò i timpani. Con cautela si chinò accanto a quello che sembrava un cumulo di stracci. Il foro della pallottola era ben visibile nella nuca. Quando girò il corpo per poco non gli prese un colpo. Il bel viso di una giovane donna lo fissava con gli occhi spalancati nella morte. Al petto, legata con alcune fasce, una creatura di qualche giorno appena stava urlando a squarciagola. Esitò solo un istante. Rinfoderò la luger e tagliò le fasce con il coltello che portava alla cintura. Il corpicino era talmente leggero e fragile che temette di provocargli qualche frattura. Si rimise in piedi e tornò verso l'automobile, i soldati lo fissarono senza emettere suono. - Helmut...- disse rivolgendosi al suo aiutante. - Helmut...andate a recuperare il corpo e caricatelo dietro...svelti! - Il giovane caporale lo guardò in modo strano. Era infatti alquanto inusuale una procedura del genere, di solito avrebbero chiamato squadre apposite,via radio, create appunto a quello scopo. - Ma herr hauptmann... - fece per ribattere. - Helmut...obbedisci e basta! - Ruggì Carl mentre si sistemava sul sedile del passeggero. Il piccolo intanto si era addormentato. Era la fine di ottobre, l'aria a Parigi era pregna d'umidità. Prese una coperta dal retro della vettura e, con delicatezza, vi avvolse il corpicino. Berlino 1965. Abbracciato ai genitori, Joachim Amadeus Wolfe sorrise al fotografo. La toga e il cappello tipico da laurea sembravano calzare a pennello sul fisico alto e asciutto del giovane. La madre, una rotonda e rosea signora di mezz'età, si asciugava le lacrime con l'aiuto di un fazzoletto, mentre il padre, l'ex Hauptmann della Wehrmacht Carl Wolfe sorrise soddisfatto guardando il figlio. - Mentre il fotografo rivolgeva la propria attenzione verso altri neo laureati, Joachim gli si rivolse speranzoso. - Papà, è sempre valida la tua promessa di farmi scegliere il premio per la laurea? - Carl, che si aspettava quella domanda, sorrise annuendo. Di famiglia ricca, al ritorno dalla guerra aveva trovato praticamente intatte tutte le sue proprietà. Nonostante la Germania non stesse attraversando un buon periodo poteva considerarsi molto più che benestante. - Certamente Joachim, sai che mantengo sempre le promesse e dimmi, cosa ti piacerebbe? - Sapeva che il suo unico figlio amava in modo sviscerato le auto, ne possedeva un paio, ma da qualche tempo aveva messo gli occhi sull'ultimo gioiello di una casa italiana, la Ferrari. - Vorrei andare un mese a Parigi papà, non ci sono mai stato ma... ne ho sentito parlare molto e mi sono documentato...mi attira...è come se mi chiamasse... - Carl impallidì di colpo mentre il sorriso si spense del tutto dal suo viso.... Continua