13 anni - Inverno 1949
Nel 1949 avevo cominciato a frequentare la terza media. Sfortunatamente mi ammalai. Avevo una febbricola che non passava assolutamente. Non era molto alta, pochi decimi di grado, ma era insistente e durava già da quasi un mese. Mio padre mi portò da mio nonno e da mia zia, per farmi cambiare aria, aria di montagna. Passai l'inverno con loro.
Quell'inverno nevicò. Osservavo, per la prima volta da dietro i vetri delle finestre, la neve che cadeva. Assaggiai anche la granita fatta mischiando la neve fresca con il vino cotto (ricavato facendo bollire il mosto non ancora fermentato). Ma nella mia mente sono impresse anche delle immagini che non potranno mai essere cancellate. Mio nonno era una persona molto buona e caritatevole. L'ho detto, c'era stata la guerra e c'era tanta fame. Ogni venerdì, dietro il portone d'ingresso c'era una fila di poveri, anche otto o dieci persone che chiedevano l'elemosina. Mio nonno scendeva accompagnato dalla persona di servizio e per ciascuno di loro c'era “mezza vastella di pane” (circa un chilo) e un pezzo di formaggio. Il primo venerdì del mese veniva distribuito un piatto di minestra caldo. Ricordo ancora quelle persone con vestiti malandati e mantelli rattoppati, alcune addirittura con i piedi nudi nella neve coperti da una pelle di pecora tenuta da fil di ferro …
Io ho avuto la fortuna di non patire la fame, ma la fame l'ho vista, e so cosa significa. Ho cercato di spiegarlo ai miei figli, ma le parole rendono sempre un'idea approssimativa delle cose. Io l'idea l'ho sempre avuta chiara.