La signorina Lisetta
Albino aveva promesso alla signorina Lisetta che avrebbe contattato lui un idraulico: la signorina aveva un problema con dei tubi in cucina. Ogni volta che poteva l’aiutava. Tranne l’altro giorno, quando gli aveva sottoposto quella richiesta a suo parere assurda:”Albino, conoscete un maestro di chitarra?” Gli aveva chiesto serafica parlandogli da sotto a quel cappellino fuori moda, blu con un piccolo fiocco sul retro. Non le stava male, i suoi capelli bianchi sembravano la schiuma dell’onda, un orlo punto a giorno sull’arsi del respiro marino.
Albino annoverava tra le sue, molteplici attitudini e competenze; poteva trasformarsi all’occorrenza in maniscalco, imbianchino, elettricista, uomo delle piccole e grandi pulizie, conosceva inoltre carrozzieri, meccanici, idraulici, onesti e di modeste pretese economiche. Insomma: una miniera, un prontuario, un Merlino metropolitano a cui tutti si rivolgevano per tutto, ponendogli quesiti sempre più ordinariamente complessi, attratti forse dal piacere languido, come il primo scrocchio in bocca di un cioccolatino, di essere esauditi. Era sicuramente esaltante, porre il quesito e immancabilmente sentire quella risposta: “Ci penso io, non vi preoccupate.”
Ma quel giorno Albino Merlino non conosceva la risposta, non aveva l’amo giusto per quel pesce, non c’era quel tipo di coniglio nel suo cappello. Era egli stesso sbalordito.
La signorina invece no. “Non importa, grazie, mi rivolgerò ad una scuola di musica.”
Forse l’età le conferiva una particolare prospettiva da cui decidere di applicare parametri come Urgente, Importante, Possibile, Impossibile. Forse, la morte sullo sfondo getta riverberi di luce ed ombre affatto diversi sulla vita di una settantenne.
Albino soffrì un poco per quella sua piccola dèfaillance ma poi se ne fece una ragione.
La signorina è una stramba. Ecco. Non era lui in difetto, il difetto, semmai era nella richiesta. Cioè, gli era stata chiesta una cosa impossibile, inesistente come certi numeri telefonici “ il numero selezionato…”
Dove poteva andarlo a pescare un maestro di chitarra disposto a dare lezioni ad una settantenne. Siamo seri. Va bene chiedere, ma bisogna pur darsi un limite. Forse era il caso di appendere un cartello in portineria
“ Non faccio miracoli”. Lo divertì molto questa trovata. Era una piccola vendetta silenziosa ( mai avrebbe osato farlo) per lenire quel dolorino d’impotenza che pure aveva provato.
La signorina è una stramba, partiamo da qui. Ha settant’anni, vive sola, è zitella.
Cosa c’entra questa chitarra adesso. Certo, da giovane suonava il pianoforte ma insomma, gli anni passano per tutti. A una certa età bisognerebbe morire.
Questo pensiero lo fulminò. Accorgersi di avere una cosa del genere dentro la testa lo atterrì, come se avesse appena scoperto di essere gravemente ammalato.
A una certa età bisognerebbe morire. Dio mio.
Vivere senza quella incredibile vecchietta: che ingrato. E tutte le torte, i maglioni di lana a Natale confezionati con le sue mani
( era una maga con i ferri e la lana), e quella sua casa museo piena di mille inutili meraviglie.
Lisetta non era solo una persona, era proprio un pezzo di mondo inghiottito dal tempo, era un avanzo di quel pasto, miracolosamente intatto, fresco come quell’allora perso per sempre. Come aveva potuto pensare di disfarsene in quattro e quattr’otto: le persone ad una certa età dovrebbero morire.
Quella sera la moglie lo vide trafficare con un elenco telefonico, aveva inforcato addirittura gli occhiali. Elena dissimulò la sua curiosità. Era certa che se quell’impresa eccezionale, che al momento assorbiva tutte le energie del marito, fosse andata a buon fine, lei ne avrebbe ricevuto un dettagliato resoconto: Albino non avrebbe smesso più di vantarsene.
In caso di fallimento, era meglio non esserne testimone. Elena era convinta che a nessuno piace veramente avere spettatori alle proprie disfatte. Aveva ragione: la compassione è un unguento sofisticato, richiede particolare attenzione alle dosi, ai tempi di applicazione, alle mani di chi lo stende.
Andò a dormire tardi Albino quella sera. Sua moglie lo lasciò fare, finse addirittura di aver sonno prima del solito.
Sentiva il marito trafficare con quel benedetto elenco telefonico, si addormentò congetturando.
Alle cinque in punto Elena si alzò e si diresse in cucina a preparare il caffè. Avrebbe svegliato Albino appena fosse stato pronto. Non ce la fece a non dare una sbirciatina: quel foglietto di carta appoggiato sull’elenco e tenuto fermo dagli occhiali, era frutto di prodezza e temerarietà, Albino aveva studiato l’elenco telefonico per ore prima di appuntare il probabile frutto delle sue ricerche. Ignorarlo, sarebbe stato crudele, anzi, volgare.
Elena lo guardò, senza toccarlo, lanciò uno sguardo di sbieco mentre con le mani unite si chiudeva la vestaglia. C’era scritto:
Scuola di musica Setticlavio 073\235476.
Una settimana dopo al primo piano interno dodici la pendola batteva le sei. La signorina Lisetta era già sveglia da un po’. Si alzò piano piano. Fece toletta. Si pettinò. La nuvola di capelli bianchi era docile al pettine, ammansita dalla retina notturna e da un velo di lacca.
La signorina Lisetta aveva un appuntamento alle nove e mezzo.
Una settimana prima si era recata al Setticlavio, un’Accademia musicale prestigiosa. Aveva telefonato e preso un appuntamento con il direttore che l’aveva accolta con quel misto di deferenza e compassione che la sua età quasi sempre ispirava.
“Vorrei un insegnante di chitarra a domicilio: è possibile?”
Il Direttore l’aveva guardata con uno sguardo vuoto, come se le sue orecchie non fossero state raggiunte da niente di comprensibile.
La signorina si affrettò a spiegare: “Io suono il pianoforte ma siccome mi hanno regalato una chitarra, avrei piacere di imparare a suonare qualche canzone, niente di troppo impegnativo, per carità. Crede di potermi aiutare?”
Il direttore, a dispetto del suo sguardo vacuo, aveva afferrato già prima di quella precisazione quale fosse la richiesta dell’anziana donna seduta compostamente di fronte a lui. Aveva già un piano. C’era un’insegnante di chitarra molto carina che snobbava sempre le sue timide avances, per niente impressionata dal suo ruolo, anzi, sembrava quasi pronunciare la parola maestro con una particolare intonazione farsesca. Una sovversiva a dirla tutta. Proprio qualche giorno prima gli aveva comunicato:- Scusi Maestro, la volevo informare che sono disponibile per lezioni di chitarra a domicilio nel caso le chiedessero. -Che sfrontata. Trattare quella prestigiosa Accademia come un ufficio di collocamento e lui come segretario. Inaudito. Ma con chi si credeva di avere a che fare.
Adesso, ecco nei panni di questa simpatica vecchina tutta boccoli e perle, la possibilità di vendicarsi. Eccoti l’allieva privata mia cara: tutta artrosi e cervello lento.
“Ci sarebbe una signorina che credo faccia proprio al caso suo. Gliene parlerò al più presto e poi le farò sapere. Di nulla s’immagini. Grazie a lei.”
Il giorno prima, la signorina Lisetta aveva ricevuto una telefonata da quella importante istituzione: “Qui è il Setticlavio, ha chiesto lei un’insegnante a domicilio? Bene, si è resa disponibile un’insegnante, si, domani mattina alle nove e mezzo, va bene per lei? D’accordo. Di nulla. Buongiorno. “
L’insegnante di chitarra
Ogni volta che ritorno qui, davanti a questo platano, mi ricordo di lei.
La prima volta che la vidi era settembre. Mi ricordo l’aria, quell’aria fresca che ti arruffa i peli sulle braccia come fossero chiome di alberi. Mi aveva spedito lì il Direttore del Setticlavio, la scuola di musica approdo e primo lavoro dopo il diploma.
“E’ venuta una signorina di settant’anni, suona il pianoforte ma le hanno regalato una chitarra e vuole imparare a suonarla. Vai a casa sua, questo è l’indirizzo, via porto 106, mi avevi detto che eri disponibile per lezioni a domicilio: no?”
La sfida nei suoi occhi. La sfida nei miei: ”Certo Maestro, ci andrò sicuramente. “
Hai capito il Generalissimo! Un’allieva di settant’anni, magari con l’artrosi deformante alle mani. Bello scherzo: clap, clap,. Lei è veramente generoso M-A-E-S-T-R-O.
Un filo di perle, le sopracciglia disegnate, una nuvola di capelli chiusa da piccoli boccoli sul collo: eccola, sull’uscio di casa.
La deferenza nel porgere il caffè, il pianoforte maestoso nel salone, i centrini ricamati a mano, i biscotti fatti in casa. Ero stordita: dove mi trovavo? In pieno ‘800.
L’ho amata subito. Ho amato il suo sguardo arguto, così diverso dal suo corpo composto, le mani raccolte in grembo, l’abitudine all’obbedienza in ogni gesto. Ma in quegli occhi la sovversione, brillanti come quelli dei bambini quando hanno in mente qualcosa: pericolosi e lucenti. Lei aveva in mente qualcosa.
Voleva imparare a suonare le canzoni napoletane, mi disse.
Ci vedevamo il mercoledì pomeriggio alle 18.00. Vestita di tutto punto, il tè sul fuoco: “Buonasera signorina.” Non mi sarei meravigliata se mi avesse fatto anche un inchino.
Puntigliosa e solenne, eseguiva i suoi esercizi come se stesse pronunciando un’arringa in sua difesa: “Signori della corte e signori giurati, ho lavorato sodo e voglio che voi lo sappiate.”
Mi faceva sorridere. Se ne accorgeva e allora mi sorrideva con quel lampo negli occhi. Non ci capivo più niente: colomba o falco? Stratega o soldato?
Cominciai a fare domande. “Mio padre era un generale dell’esercito, trattava anche me come un soldatino, alle sei in punto dovevo alzarmi e rifarmi il letto” sorrideva, senza rancore: “Non mi sono mai sposata, ho assistito i miei nonni prima e i miei genitori poi, fino alla fine “. Era sola. Niente parenti, solo amici condominiali.
Ma perché aveva quella sovversione felice nello sguardo? Cominciai a congetturare.
Forse era a capo di un’organizzazione clandestina, forse di una bisca: giochi di carte, slot machine. Me la immaginavo con un grosso sigaro tra le labbra mentre dava ordini a due sgherri xxxl con un rigonfiamento sospetto sotto la giacca, altezza ascelle.
Poi lei tornava con il suo vassoio lucente, le tazze a motivi floreali, i biscotti al profumo di arancia. Ed io ritornavo lì, di nuovo sedotta da tanto candore e soavità. Ma bastava una battuta, una risata, qualunque cosa riuscisse ad illuminarle gli occhi da dentro ed ecco, di nuovo quel guizzo, quella scintilla: la pagliuzza d’oro nella pelle dell’orso che in realtà era un principe. Forse era una maga. Si, in realtà quella casa era l’anticamera di un castello, come avevo potuto non notare il fasto dei tendaggi per esempio. Erano abiti da sposa più che tende: sottane lisce ricoperte da drappi ricamati, splendide architetture di balze, perfette armonie di arpeggi simmetrici. E la profusione di ninnoli? Ogni genere di statuine, acquasantiere, animaletti di ceramica, gesso, vetro. Erano sicuramente doni di famiglie nobiliari in visita, simboli del prestigio di antiche casate.
Era diventata una mania congetturare su quella donna, sulla sua vita che come un vascello fantasma sarebbe colata a picco con tutti i suoi tesori, per sempre.
Fine novembre, mercoledì ore 18.00. Per me, un mercoledì qualunque.
“Non c’è, ha lasciato questo per lei” m’informò brevemente il portiere. Una lettera.
“ Cara signorina,
quando riceverà questa lettera, io sarò seduta dietro ai finestrini di un treno in viaggio verso Madrid. L’aereo ci avrebbe messo meno tempo, lo so, ma è per persone moderne, io vivo ancora in un mondo che va piano piano. Mi sento come un ergastolano in libera uscita: - Vai pure Jo che qui dobbiamo dare la cera, e non farti vedere prima di domani. Libera? Mi capisce?
Vado da mio cugino Carlos. L’ho conosciuto per una faccenda di eredità, non sapevo neanche che esistesse prima di due anni or sono. Dopo tante lettere e telefonate, mi ha invitata. Ci ho messo un anno per decidere di andare. Il tempo di pensare e preparare un regalo per lui. Lui, dice che ci sposeremo. Chissà.
Se accadrà, ho pronto il mio regalo di nozze, tutte le canzoni che lei mi ha insegnato. In un matrimonio immagino ci voglia anche un po’ di allegria.
Non le ho detto nulla per non rovinarle la sorpresa e poi, non mi avrebbe mai creduta.
Abbia cura di sé, e mi saluti il Direttore della scuola, che cara persona.
Le farò avere mie notizie, intanto le auguro ogni bene.
Lisetta