Un tranquillo pomeriggio, convinto che la mia morte fosse imminente, mi precipitai in salotto sbracciandomi come un ossesso. "Qualcosa non va!" urlai verso mia madre, tendendomi dinanzi a lei con tutto il corpo e le braccia ben protese in direzione del soffitto. Stava stirando una lunga camicia le cui maniche cadevano pigramente al suolo. "Cosa c'è che non va, figliuolo?" mi domandò, tentando di manifestare un qualche tipo d'interesse. Ma le mani tradivano la sua indifferenza. Procedevano strette al ferro da stiro, immobili tra i getti di vapore. "Non lo so! Qualcosa non va!" dissi io, e non mentivo, ve lo posso assicurare. Sintomi fisici non ne accusavo. Non tremavo, non sudavo, il cuore camminava quietamente, ma sentivo l'ansia stringermi il petto come mai prima d'allora e l'unico pensiero che mi invadeva la testa era quello della morte."Morirò tra poco, morirò!", erano le uniche parole ad ondeggiarmi furiosamente nel cervello, come il ritornello di una qualche canzone che inspiegabilmente si imprime nella memoria fino a dare la nausea. Sentivo il bisogno di staccarmi di netto la testa, pur di rimuovere dal corpo quella spiacevole sensazione d'inspiegabile paura.
Ma avrebbe funzionato? Poteva un male simile derivare da un unico punto ben preciso? Era nato dal nulla, forse era nato insieme a me, presentandosi in quel solo attimo della mia vita, come un estraneo che non si degna neanche di suonare il campanello.
"Ma insomma, cosa c'è che non va?", ripetè mia madre. Ed intanto aveva preso ad inamidare il colletto. Le dita affusolate le si muovevano tranquillamente nell'operazione. Risposi semplicemente: "Sto male! Sento che sto per morire!"
"Che sciocchezze," disse lei facendomi l'occhiolino. Aveva un tono quasi divertito. "Se stai male vai dal medico no? E poi dico, ti sei visto? Sembri forse una persona in procinto di morire? Suvvia, sei sano come un pescepalla!".
Il medico! Giusto! Il medico! Come avevo fatto a non pensarci? Ah, giusto!, pensavo solo alla mia morte. Per fortuna ogni madre sa sempre di cosa abbisogna il figlio e, con quelle poche parole, la mia riuscì ad indicarmi la via da percorrere. Il medico! Il medico è in grado di risolvere i problemi altrui con una spietata diagnosi; non sempre repentina, ma di certo affidabile.
Mi precipitai fuori di casa, ansimando, i piedi velocissimi sugli scalini che mi dividevano dal piano terra. In un attimo fui all'esterno, tra l'incuranza della pioggia e il traffico cittadino che serpeggiava in uno scintillio continuo di colori grigioscuri, noiosi all'inverosimile. Rumore di clacson da spaccare i nervi. Persone avvolte in giganteschi impermeabili, ombrelli accalcati l'un l'altro nello spazio ristretto dei marciapiedi. Divincolandomi con destrezza tra la folla, il cappuccio della felpa ben calcato sulla testa, giunsi con determinazione nello studio medico. Ci entrai con un solo, lungo, passo, squadrando dall'alto al basso gli occupanti della sala d'aspetto.
Quanti erano! Quanti! Mai avrei creduto di vedere tanti ammalati in vita mia. Stavano ammassati nella stanza, occupandola del tutto, appiccicati l'uno all'altro, ammorbando l'aria, saturandola degli odori più disparati. A causa della mancanza di spazio, molti di loro, quelli più vecchi, giacevano a cavalcioni sulle spalle dei più forti.
Da quell'altezza potevano verificare con sicurezza quando un paziente usciva o entrava nell'ambulatorio. Ed ogni qualvolta accadeva, scattavano in gridi di esultanza, mossi da un entusiasmo senza pari, gli occhi fuori dalle orbite, aggiungendo catarrosi colpi di tosse. Era per loro una gioia, una soddisfazione, vedere quella massa calare numericamente, la sfila sfoltirsi sotto i loro occhi.
Arrampicandomi su un paio dei signori più robusti, esclamai: "Chi è l'ultimo per il Dottor Rossi?". In risposta ottenni una risata generale e qualche pernacchia prolungata.
Il mormorio degli occupanti era incessante, le loro voci mi asfissiavano e le poche parole che riuscivo a distinguere erano intrise di preoccupazione, di paura, di stizza dettata dall'attesa.
Ma nessuno di loro soffriva più di me; di questo ero certo.
Io stavo per morire! Me lo sentivo! Non potevo aspettare! Quindi spiccai un salto dalla mia posizione, planando delicatamente su quella moltitudine di teste. Vi avanzai sopra, strisciando, respingendo braccia su braccia agguerrite, ignorando insulti d'ogni genere, fino ad atterrare nell'ambulatorio con un capitombolo d'estrema eleganza per il quale persino il medico mi applaudì dalla sua posizione.
Stava stravaccato dietro la sua scrivania, stempiato all'inverosimile, con gli occhi chiari infossati tra la vecchia carne tremula del panciuto viso. Tutta la sua persona era rotonda, compressa nel grande e bianco camice da lavoro. Più che un medico sembrava un macellaio d'esperienza pluriennale.
Continuando ad applaudirmi, si gettò al volo verso l'ingresso ed urlò: "Mi dia una mano disgraziato! Dobbiamo bloccare subito l'ingresso! Usi tutto ciò che di pesante vede nella stanza!". Egli era il medico! Egli era l'autorità! Come comandò feci, sbarrando al volo l'ingresso con la sua stessa scrivania ed un mastodontico mobile dai cassetti colmi di scatoline multicolore dai nomi impronunciabili. Farmaci suppongo, in quantità industriale, che nello spostamento vennero fuori inondandomi i piedi e buona parte del pavimento.
"Ma si rende conto di cosa ha fatto?" mi disse il medico continuando ad applaudire in mia direzione. Doveva trattarsi di un tic nervoso, non c'era altra spiegazione. Qualche dubbio in proposito rimaneva poiché sbatteva le mani con una tale foga che per un attimo pensai fosse un gesto d'indignazione nei miei confronti. "E' entrato sorpassando la fila! E mentre sto servendo un altro paziente!", continuò in tono accusatorio.
"Mi scusi, ma dove sarebbe la fila? Quello è l'inferno! Se permette non c'è modo di capire chi debba entrare per primo!", gli risposi io scandendo lentamente ogni parola e tentando di darmi un certo qual contegno. Volevo congelarlo con lo sguardo.
"Bah! Non ha tutti i torti. In ogni caso l'hanno vista entrare mentre l'ambulatorio era occupato, adesso si infurieranno e tenteranno d'entrare con la forza. Disgrazia su di lei, disgraziato, disgrazia su di lei!", disse, poi, dopo una bestemmia impronunciabile, aggiunse: "Quindi, per cosa è venuto? Di cosa abbisogna giovanotto?". "Scusi, ma non aveva un altro paziente prima di me?" chiesi malcelando il mio stupore ( non tanto per le sue domande, quanto per il fatto che, contro ogni mia previsione, non ero ancora morto ) .
"Si, lo avevo prima che entrasse lei! Eccolo lì il vecchio paziente!", e così dicendo indicò una sagoma indistinta che rantolava soffocata tra le centinaia di medicinali cascati a causa della mia precedente operazione. Il poveretto stava sdraiato sul dorso, incapace di rialzarsi come la più stupida delle tartarughe.
Doveva essere più che anziano, perché i piedi e le gambe, che spuntavano dalla matassa di scatoline bianche, ben eretti, gli tremavano con inaudita velocità. Fattomi il segno della croce, mi sedetti di fronte al medico e lo incalzai con il mio problema: "Ho la sensazione d'esser sul punto di morire." gli dissi fissandolo attentamente negli occhi, quasi che così riuscissi a rendere l'idea del mio disagio interiore.
"Una sensazione? Ma sta scherzando?", urlò lui con sdegno. Nel mentre era tornato a sedere sulla poltroncina che prima teneva occultata dall'enorme scrivania. Applaudiva ancora, se pur con un certo sforzo ben visibile; entrambe le palme rosso fuoco per i colpi ricevuti. "Non può venire qui con una sensazione! Deve elencarmi i sintomi! Forza! Cosa si sente? Ha dolore da qualche parte?" .
Mossi il capo negativamente.
"Sicuro? Per esempio, non so, le fa male un piede?".
Mossi il capo negativamente.
"E' proprio sicuro, sicuro?"
Mossi il capo negativamente.
"Vede?" mi disse lui con una certa vanagloria di sé, "Un dolore lo sente!"
E stranamente, a queste sue parole, cominciai ad avvertire uno strano formicolio al piede che, di lì a qualche secondo, si trasformò in una fitta atroce.