Autore Topic: Topolino (epilogo)  (Letto 780 volte)

eziodellagondola

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Topolino (epilogo)
« il: Ottobre 08, 2011, 21:03:36 »
Una sera mi telefonò la mamma di Claudia per avvertirmi che la figlia il giorno seguente sarebbe stata assente, perché andava  a visitare una vecchia zia che viveva fuori città; mi pregava,se non trovavo fosse un disturbo, di passare a casa sua dopo la scuola: “So che per te la deviazione è ormai consuetudine, e Claudia mi ha pregato di restituirti quel quaderno di appunti che le hai prestato.” Trovai strano che Claudia volesse restituirmi gli appunti così presto ma ritenni opportuno non indagare: il giorno dopo avrei certamente trovato una risposta.
Così al ritorno da scuola (una mattina grigia, senza Claudia) mi fermai a casa di lei.
La madre di Claudia era una bella signora, quasi quanto la figlia, e mi accolse con un sorriso che mi era molto familiare. Era una docente universitaria, e i suoi modi, eleganti e gentili, facevano tuttavia trasparire la sua lunga esperienza di comunicazione con i giovani, con un piglio autoritario che intimoriva un poco.
“Devi perdonarmi se per invitarti qui ho fatto ricorso ad una scusa, ma come capirai tra poco avevo le mie buone ragioni. La prima delle quali era non allarmarti con uno strano invito: non volevo farti cenno per telefono del vero argomento della nostra conversazione ma al tempo stesso ho cercato una motivazione plausibile, che non ti mettesse in agitazione. Vieni, accomodiamoci in salotto.”
La seguii molto incuriosito da questo preambolo, ma sapevo, o meglio sentivo che stavo per essere messo al corrente di qualcosa di importante.
“So che frequenti mia figlia anche fuori scuola, Claudia non ha segreti con me, e per questo so anche che sei un giovane molto a modo, corretto con lei come pochi sanno fare alla vostra età. Per questo voglio parlarti con franchezza di una cosa molto seria che credo tu abbia diritto di sapere al più presto, prima che possa succedere qualcosa di difficilmente riparabile. Devi sapere che Claudia è malata in modo molto serio; fisicamente è a posto, gode di una salute di ferro, ma il male sta nella sua testa. E’ accertato clinicamente che si tratta di una patologia praticamente sconosciuta, più unica che rara, e per questo, per ora almeno, non esistono cure; una forte emozione o una grande arrabbiatura possono provocarle una irreversibile amnesia dei fatti temporalmente vicini: tu capisci vero cosa significa questo,quale è il rischio, che se nasce qualcosa tra voi possa irrimediabilmente sparire, inghiottito nell’oblio?…”
Annuii più per compiacenza che per convinzione: solo più tardi avrei assimilato a pieno cosa significava tutto questo per me.
“Sapevo di poter contare sulla tua intelligenza, Claudia non fa altro che descriverti come il migliore, come una persona stupenda. Certo mi fate molta pena, tutti e due…”
Ringraziai la mamma di Claudia, la rassicurai confermandole di aver afferrato il problema e mi accomiatai, tornando velocemente verso casa, con la morte nel cuore. Lentamente mi si faceva sempre più chiara la tremenda, ineluttabile condanna, ancora una trappola, la più odiosa e terribile che il destino mi aveva teso.
Non sapevo più cosa fare, come affrontare questa prova disumana, così mi risolsi a far leva sul carpe diem tentando di esorcizzare questa maledizione cancellandola dalla memoria; magari si fosse trattato di una malattia contagiosa! Avrei cercato di prendere da Claudia l’infezione e trovare giovamento in un reciproco perdersi di memoria e sentimenti.
Che invece si ripresentarono con tutta la loro prepotenza il giorno seguente, finalmente a fianco della mia Dulcinea.
Tornando a casa da scuola le proposi di fare, nel primo pomeriggio, una passeggiata in periferia, dove le case si diradano per perdersi a poco a poco in una rigogliosa, ridente campagna.
Aderì entusiasta a questa proposta e ci accordammo sull’appuntamento alle sedici.
“Preparerò uno spuntino, faremo una vera merenda sull’erba” La sua spensierata allegria mi contagiava; cercai disperatamente di allontanare lo spettro che mi tormentava e le risposi sorridendo “Alle sedici allora; porto io la tovaglia!”
Ma nel tragitto verso casa erano i più neri pensieri a farmi compagnia. Anche la risoluzione di vivere alla giornata non mi bastava più: era una continua angoscia a permeare ogni previsione, ogni aspettativa.
Nemmeno la prospettiva di un pomeriggio all’aria aperta con Claudia riusciva a farmi dimenticare la spada di Damocle che pendeva sulla mia testa. Cosa avrei fatto se…
Dovevo riflettere, dovevo essere preparato, non potevo affidarmi all’estro del momento…
E quel che temevo non tardò ad accadere!
Stesi sulla tovaglia che avevo portato per il pic-nic guardavamo romanticamente le nuvole, tenendoci teneramente per mano.
“Allora, cosa aspetti?” “Aspetto cosa?” “A baciarmi, stupido! Vuoi che diventi vecchia aspettando che tu vinca la tua battaglia con la timidezza?”
Era questo il momento tremendo e temuto: se nicchiavo Claudia si sarebbe seriamente inferocita, e aderendo all’invito, mi immaginavo già che emozione le avrebbe attraversato il corpo, portando la sensazione direttamente dalle labbra alla mente, con il risultato che un cortocircuito mi avrebbe azzerato per sempre. Ma la decisione era già stata preparata, sapendo che comunque la condanna sarebbe stata eseguita, perciò senza indugio la baciai, a lungo, sperando che non finisse mai.
E invece finì, come era previsto, come doveva finire!
Claudia impallidì e tremante bisbigliò: “Sto male, molto male! Portami a casa per favore.”
Così mestamente, in silenzio la riportai a casa; non ebbi il coraggio di chiederle nulla, se non, arrivati sulla soglia di casa sua: “Vuoi che ti accompagni sopra?” cui replicò con un filo di voce: “Non importa, ce la faccio da sola; grazie ancora e ciao”
Cominciò il periodo più buio della mia vita; di tanto in tanto telefonavo alla mamma di Claudia, per avere notizie, ma la risposta era sempre una sola: “Povero figliolo, ti devi rassegnare. Ti avevo avvertito che purtroppo non esiste rimedio” e con voce molto triste e rassegnata mi congedava esortandomi a portar pazienza.
Poco a poco andavo metabolizzando la mia nuova condizione, e per consolarmi mi dicevo che comunque mi era stato concesso di vivere, per quel poco che era durata, una avventura meravigliosa, unica. Pensai persino di farle la corte quando Claudia fosse tornata a scuola. In fin dei conti la conoscevo benissimo, meglio forse di quanto conoscessi me stesso. Ma sarebbe stata in grado, non ricordando nulla di me, di apprezzarmi una seconda volta? Avrebbe mantenuto gusti, idee, inclinazioni, desideri e non sarebbe stata la mia una vigliaccheria approfittare di una creatura indifesa? Peggio che rubare in chiesa tentare di conquistarla sfruttando tutto quello che sapevo di lei. E anche fossi riuscito nell’intento, quale vita avremmo avuto, con l’ansia, la paura di contrariarla, o dovendo peggio ancora far attenzione a non provocarle nemmeno emozioni positive?
Ma la risposta a tutti questi dubbi era una sola: che vita sarebbe stata senza di lei?
Il tempo, medicina eccellente, lavorò per me e qualche anno più tardi Claudia divenne mia moglie. Una compagna deliziosa, che non mi fece mai mancare il suo affetto, la sua tranquilla dedizione, ma era comunque una persona diversa dalla spumeggiante Claudia dei nostri sedici anni!
Abbiamo trascorso insieme trent’anni di un tranquillo, sereno matrimonio, senza scosse né voli pindarici, un quieto menage ricco se non di felicità completa, di serenità, di rilassante convivenza. Niente figli, ovviamente, Claudia non avrebbe retto l’emozione di una maternità.
Solo qualche volta in tutto questo tempo mi ha preso una struggente nostalgia per l’estasi dei nostri primi giorni, il rimpianto per quel che poteva essere e non è stato.
Avevamo organizzato, per festeggiare i nostri tutto sommato bellissimi trent’anni assieme una cenetta romantica, solo per noi due, in uno dei migliori ristoranti della città. Qualche giorno prima della nostra festa Claudia mi chiese candidamente:
“Vorresti farmi un grande regalo? Prima di andare a cena giovedì, potremmo passare un’oretta in quella gelateria in centro e finire finalmente la nostra disputa su amicizia e amore?"
eziodellagondola

presenza

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Re: Topolino (epilogo)
« Risposta #1 il: Ottobre 08, 2011, 22:47:47 »
Leggendo il racconto, al momento in cui solo un bacio ha scatenato la malattia, ho pensato: troppo immediato e repentino il movente. Poi l'epilogo, mi sono chiesta se in tutti questi anni, a parte la maternità, non ci siano stati episodi emozionanti, magari il matrimonio in sé, la cerimonia, possibile che solo un bacio possa aver scatenato la malattia, e il fare l'amore con il proprio uomo, non ha comportato niente? Non so, se tutto questo è un racconto, per quanto gradevole mi lascia perplessa per lo svolgimento in sé, ma se un racconto non è, se è vita vissuta, allora m'inchino a te, e a Claudia in profondo rispetto e silenzio.

eziodellagondola

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Re: Topolino (epilogo)
« Risposta #2 il: Ottobre 09, 2011, 00:31:42 »
grazie Presenza per la tua attenzione; chi scrive mette sempre un poco di autobiografia nei suoi racconti, ma io ne faccio un uso parsimonioso, non mi piace mettere in piazza troppo di me; perciò non inchinarti, non è il caso
E
eziodellagondola

victor

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Re: Topolino (epilogo)
« Risposta #3 il: Ottobre 11, 2011, 21:13:41 »

Ezio, complimenti. Dici che il racconto non è autobiografico ma la sensibilità del protagonista non la si può improvvisare del tutto. Per descriverla bisogna averla dentro.

Ancora complementi.

Ciao.
Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor