Cronaca di un amore - Parte IV: Epilogo
L'aveva messa proprio a posto, quella ragazza tanto strana: glie ne aveva cantate quattro, o almeno aveva provato a farlo.
D'altronde non riusciva proprio a concepire come potesse essere tanto sicura di far bene, di essere nel giusto dando ai suoi figli quell'impostazione, quell'iperprotettività autarchica e slegata da ogni concetto di sfida, di spartano allenamento ai problemi e alle difficoltà della vita.
Ogni fibra del suo essere si ribellava ad un tale concetto: per lui la vita era tenzone, desiderio, ambizione che giornalmente dovevano confrontarsi con le contrarietà dell'esistenza.
Lei aveva esposto con fin troppa chiarezza le sue convinzioni: nel momento in cui un essere umano sceglie di mettere al mondo un figlio (ma poi la sua era stata davvero una scelta consapevole?), ogni aspetto della sua esistenza deve venire sovvertito, e ogni singola sfumatura deve cominciare a ruotare intorno a quella creaturina.
L'esempio più lampante l'aveva chiarito parlando dei viaggi: l'intera famiglia avrebbe scelto solo mete compatibili con la limitata capacità di sopportazione che il bimbo avesse tollerato, allargando il raggio delle possibili mete solo quando questo "reuccio" avesse manifestato maggiore assuefazione agli spostamenti.
"E quindi montagna, mare, posti esotici, villaggi-vacanze all'estero, tutto questo andrebbe abolito?" aveva domandato lui, esterrefatto.
"Certamente" aveva risposto lei, recisa e fiera del suo integralismo di lupa.
"Ma così facendo distruggeresti anche il più solido dei matrimoni: nessun genitore potrebbe mai accettare una serie tanto stringente di limitazioni! Infinite generazioni di pupi sono stati scarrozzati a destra e a manca, e se concordo con te che certamente non è sano né saggio sballottare un bebè al ristorante, o sulla spiaggia sotto il sole cocente del mezzodì, o in discoteca fino a notte fonda, tutt'altra cosa è fargli compiere un comodo viaggio, per quanto lungo e noioso possa essere".
"C'è il mondo degli adulti e quello dei bambini" aveva ribattuto la ragazza, "i piccoli hanno una minore capacità di adattamento e non vanno mai obbligati a far qualcosa che non sentano adeguato a loro, quindi saranno gli adulti a piegarsi alle loro esigenze".
"E poi tu non sei padre, e tanto meno dei MIEI figli" aveva chiosato lei.
A quel punto ogni residuo di romantiche speranze si era bruscamente annichilito in lui, che vedeva la ragazza con occhi sgranati e stupefatti: era quella la persona per cui avrebbe buttato all'aria la sua vita? Era quell'erinni inferocita e possessiva cui voleva affidare la propria esistenza?
Ben altro ci sarebbe voluto che un viso d'angelo, un corpo flessuoso, una mente sveglia e colta, un eloquio forbito e carezzevole per farlo recedere dalla decisione presa. Fuggire via, non voltarsi indietro, lasciare quell'antro di Circe, tornare al sole di un mondo normale dove c'è un unico pianeta e non due, dove i cuccioli d'uomo vengono portati con mano ferma dove è meglio per loro, lontano da questo pazzo universo fatto di gerarchie e regole sovvertite.
"Attenta", la aveva ammonita, "ho il timore che perseguendo questa via creerai due persone profondamente infelici, che di certo non ringrazieranno il cielo di averti avuto per madre".
Quello che era stato posto come avvertimento, era invece la più atroce delle offese che potessero venirle rivolte, e tutto il corpo della ragazza si era fatto come di pietra, dai capelli ai piedi tutto era freddo e duro, e bruscamente ogni comunione tra loro era crollata in terra, e come un cristallo si era infranta in mille pezzi. Erano volate parole grosse, e aspre, che si erano concluse con un "buona notte" a dir poco glaciale.
Il ragazzo continuava a rimuginarci sopra mentre, l'animo ancora sovraeccitato per quell'acceso scambio verbale, si rigirava sul divano (di certo non desiderava dormire accanto a una persona tanto differente da lui), tentando con difficoltà di prendere sonno.
Un soffio d'aria gli aveva sfiorato il viso: "Strano", aveva pensato, "le finestre sono ben chiuse, ci ho fatto attenzione".
I suoi occhi si erano aperti in tempo per vedere quel viso, una volta amato, animato da un'espressione raggelante, quella bocca a lungo baciata, contorta in una muta risata sarcastica, quelle mani così spesso carezzevoli, contratte intorno ad un manico di legno.
Il luccichio di una lama affilata -che ironia, un coltello da pane-, e poi il buio.