Autore Topic: Invidia e gratitudine  (Letto 81 volte)

Doxa

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Invidia e gratitudine
« il: Gennaio 12, 2025, 19:28:38 »
“Un uomo era invidioso del suo vicino. Un giorno gli apparve una fata: ‘Puoi realizzare ogni tuo desiderio solo a questa condizione: il tuo vicino riceverà il doppio’. Quell’uomo pensò un po’ e disse: ’Allora, cavami un occhio’.”

Questa parabola è tratta dal saggio “Invidia e gratitudine”, pubblicato nel 1957 e scritto dalla psicoanalista inglese di origine austriaca Melaine Klein, famosa per le sue teorie sul libero gioco dei bambini.

L’invidia è uno dei sette vizi capitali ed è la categoria con la quale si interpretano e si condannano le varie forme di antagonismo sociale e politico.

L’invidia è sofferenza per il bene degli altri; l'invidioso è colui che guarda di traverso (invidet) un altro individuo perché non sopporta che costui goda di un qualche bene che lui non possiede.

Di solito si prova compassione, solidarietà se un amico o un collega di lavoro soffre o ha problemi economici. Ma se l’amico o il collega si rivela più intelligente, più simpatico e più fortunato, comincia la diffusa pratica della critica verso di lui, e persino la calunnia.

L'invidia è il peccato sociale che rompe i legami tra le persone, impedisce la convivenza e la pace, suscita l’ira  e la violenza.

L’invidia dilaga ed emargina la gratitudine, che è un antidoto all’invidia. Infatti la gratitudine genera affetto verso chi ci ha fatto del bene, è un sentimento che fa ricordare il beneficio ricevuto e la riconoscenza.

Ricerche socio-psicologiche evidenziano che le persone riconoscenti hanno livelli più elevati di benessere soggettivo e  sono più soddisfatte delle loro relazioni sociali. :mumble::eek:

Doxa

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Re:Invidia e gratitudine
« Risposta #1 il: Gennaio 13, 2025, 08:41:54 »
Il sostantivo “invidia” deriva dal latino “in – videre”: unione del prefisso “in” (= sopra) + “videre” (= guardare); letteralmente, = guardare sopra; più liberamente, guardare con astio, con ostilità.

L’invidia è il sentimento avversivo che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé.

L’invidia è un sentimento bipolare: 

positivo, se  suscita  ammirazione ed emulazione, se dà ambizione e sprona a darsi da fare onestamente per arrivare allo stesso livello di chi è ricco, ha successo, ha un elevato status sociale, ha un oggetto che ci piace molto, ecc.;

negativo se invece provoca afflizione, astio per la fortuna, i beni o le qualità fisiche che ha un altro e li vorrebbe avere. L’invidia può condurre all’omicidio. Infatti, secondo il racconto biblico, fu  per invidia che avvenne l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino.

L’invidia sociale: questo sentimento così intimo e inconfessabile, si sedimenta nella relazione che intercorre tra l’invidioso e l’invidiato. L’invidioso avverte con strazio il proprio scarso valore rispetto a colui che, invece, ha successo. 

L’invidia sociale motiva l’individuo a pretendere l’uguaglianza sociale: nessuno deve emergere
. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato. Siamo tutti uguali.

Giovanni Boccaccio nell’introduzione alla IV giornata del “Decameron” scrisse:  “… posso comprendere, quello esser vero che sogliono i savi dire, che sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti…”.

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nel suo libro dedicato all’etica riflette  sui comportamenti umani. Secondo lui le passioni sono caratterizzate da gioia o tristezza. Tra le passioni tristi c’è l’invidia: “Per l’invidioso nulla è più gradito dell’infelicità altrui, nulla è più molesto dell’altrui felicità”.

L’invidia non concede tregua. Il “corteo” che l’accompagna è descritto da Paolo di Tarso nella  seconda Lettera ai Corinzi: “litigi, invidie, orgoglio  dissenso, maldicenze, pettegolezzi, fanatismi, immoralità” (2Corinzi 12, 20).

L’antidoto per non soffrire d’invidia è l’umiltà, unita alla generosità e alla sincerità.

ninag

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Re:Invidia e gratitudine
« Risposta #2 il: Gennaio 13, 2025, 18:23:46 »
Ci vuole tanto antidoto  :)

Doxa

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Re:Invidia e gratitudine
« Risposta #3 il: Gennaio 19, 2025, 21:24:36 »
Di solito l’invidioso è una persona con bassa autostima e scarsa capacità introspettiva, perciò  tenta di sminuire gli altri screditandoli.

L’invidia cela differenti sentimenti: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, odio e rabbia per il successo dell’altro/a. Non tollera chi emerge al di sopra della mediocrità, vuole l’uguaglianza sociale. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato.  E' un sentimento intimo e inammissibile, rabbioso, come quello covato dal ragionier Ugo Fantozzi.  In una intervista Paolo Villaggio disse: “L’invidia è considerata un peccato di cui vergognarsi, invece è un sentimento nobile, in una cultura dominata dall’idea del successo. Un tempo mi facevo vedere ovunque per ostentare il mio successo. Invecchiando sono diventato più buono, non invidio più nessuno e non cerco di suscitare invidie…. Io difendo gli invidiosi, perché tutti coloro che sono felici invidiano chi è più felice di loro….L’italiano medio si lamenta dicendo ‘Sono tutti ladri!’, ma il suo non è vero disprezzo è semplicemente invidia. In realtà vorrebbe rubare anche lui, solo che non ne ha l’abilità, né il coraggio. Il sogno di molti italiani è di fare una rapina in banca”.

La scrittrice e filosofa statunitense di origine russa  Ayn Rand O'Connor (1905 – 1982),  fu sostenitrice dell'individualismo e dell'egoismo razionale, da lei inteso come la più naturale e importante delle virtù, in quanto consiste nel cercare il proprio bene senza arrecare danno agli altri. E con riferimento al collettivismo comunista nell’ex Unione Sovietica, scrisse:  “Non vogliono possedere la tua fortuna, vogliono che tu la perda; non vogliono riuscire, vogliono che tu fallisca”. Questo “augurio”  malevolo è una “gufata”.

Perché si dice “gufare” ? In molte culture il gufo è considerato portatore di sventure, perciò  l'affermazione: “smetti di gufare” ad una persona  quando sta dicendo qualcosa che può “portare sfortuna”, ad esempio prevedendo un evento negativo.

Spesso la gufata viene usata in ambito sportivo, oppure al bar negli “sfottò” tra amici, quando parlano del prossimo incontro di calcio della squadra che amano. 

Il verbo gufare deriva dal verso del gufo, rapace notturno  e solitario


Gufo reale

Le abitudini notturne e il  suo verso cupo, detto “bubolare”,  hanno indotto la credenza popolare a considerare il gufo come un animale portatore di sfortune.
Ma nel Medioevo era considerato un simbolo di sapienza e saggezza, e così viene presentato ai giorni nostri  nel film “La spada nella roccia”.

L’antidoto  alle gufate e nei confronti dei gufatori è l’ironia.

Il gufatore è un  “haters”, parola inglese che  deriva da “hate” (= odio).Gli haters sono persone che esprimono con cattiveria o maleducazione il proprio dissenso verso un individuo, oppure un post, un articolo, un video. A Roma li chiamiamo “"rosiconi”, deriva da roditori.

Gli haters sono diffusi nei social. Nella lingua tedesca il gufatore è definito "schadenfreude”: parola  composta da  “schaden” (= danno) + “freude” (= contentezza, gioia), allude al piacere che si prova alla sfortuna di un’altra persona. 

Il filosofo Nietzsche usava la frase: “vendetta dell’impotente” per spiegare il significato di “schadenfreude”.
« Ultima modifica: Gennaio 19, 2025, 21:29:00 da Doxa »