Autore Topic: Teatro e dintorni  (Letto 113 volte)

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Teatro e dintorni
« il: Settembre 04, 2024, 18:06:15 »


Si apra il sipario, comincia lo spettacolo !


Come state messi con l’attività teatrale ?  :happy:

Vi piacerebbe  salire sul palcoscenico e recitare ?  ???
A me piace !  :dsew:

Per un paio d’anni  all’università ho fatto parte della locale compagnia teatrale, anche per rimanere più tempo con una ragazza. 

Debbo dire che come piacevole passatempo l’attività teatrale  è un processo di formazione individuale, permette di fare esperienza  della propria interiorità:  le emozioni, i sentimenti.

Lo spazio teatrale è “un luogo dei possibili”, in cui fantasia e creatività possono esprimersi liberamente. E’ comunicazione e percorso individuale in un lavoro di gruppo. La pluralità di forme espressive impegnano integralmente la persona.

L’educazione alla teatralità dà la possibilità di esprimere la propria specificità mediante la voce e il corpo.

Ora basta col panegirico dedicato al teatro.

Passo alla cronaca per informarvi che a Roma, fino al 3 novembre, nel Museo dell’Ara Pacis c’è l’interessante mostra  dedicata al teatro nell’antichità, agli autori, attori e pubblico di quel tempo. Ma di questo argomenterò nel prossimo post, quando potrò.   :)

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Teatro e dintorni
« Risposta #1 il: Settembre 06, 2024, 07:45:23 »
immaginaria e-mail inviata a mia nipote.

Attore / attrice: è un lavoro e nel contempo arte effimera: esiste “qui e ora” sul palco, ma  dopo la chiusura del sipario svanisce. 

Perché recitare ? Per curiosità, ambizione, per essere ammirati e applauditi ?

E’ importante capire in che modo si deve procedere per trasformare una generica e indistinta motivazione in un’attività da mettere a punto sera dopo sera, nella routine delle repliche, affrontando vari tipi di pubblico.

Per saper recitare è necessaria la tecnica, tramite un rigoroso percorso formativo.

Sono determinanti gli esercizi, le metodologie di apprendimento riguardo alla gestione del corpo e del movimento, del respiro e della voce, mettendo in luce quanto sia necessario avere consapevolezza dei propri continui cambiamenti di stato, emotivo e fisico, analizzandoli, assecondandoli e sfruttandoli, per giungere alla percezione nitida ed efficace del proprio stare in scena, perché in teatro non ci si esibisce, si comunica. L’attore ha come obiettivo di dare l’illusione agli spettatori di una plausibile realtà.

L’attore, regista teatrale  e teorico del teatro  Konstantin Sergeevič Stanislavskij (1863 – 1938), noto per essere l’ideatore del “metodo Stanislavski”, pretendeva dagli attori la loro  l’immedesimazione totale col personaggio rappresentato in scena. 

A teatro noi assistiamo allo svolgersi di esistenze in cui spesso troviamo frammenti che ci appartengono.

L’attività teatrale ha due aspetti: il linguaggio verbale e quello non verbale, aiuta a potenziare l’abilità comunicativa e a relazionarsi con gli altri, tramite l’uso consapevole del corpo, della voce e dello spazio.

Le tecniche teatrali aiutano  a conoscersi e gestire le posture i  gesti, la  voce, l’uso dello spazio scenico, la propria capacità di comunicazione e renderla più efficace.

"Fare teatro" significa imparare ad osservare l’altro e ascoltarlo, al fine di comprenderlo. Solo in questo modo è possibile interpretare il linguaggio non verbale dell’interlocutore e capire quando intervenire sia con il corpo che con la voce.

Per fare l’attore, l’attrice significa: esercizi, prove, simulazioni, studio del copione, creazione del personaggio. Questi esercizi facilitano la comunicazione e la comprensione reciproca, l’espressione dei sentimenti e delle emozioni.

L’attività teatrale aiuta a superare la timidezza,  il timore di parlare, insegna ad aprirsi agli altri senza timore di giudizio e di valutazione.

Fare teatro significa comunicare ed è importante rafforzare questo aspetto in quanto si riflette anche a livello scolastico.

Parlare agli altri in modo fluente e disinvolto può aiutare gli alunni anche nell’esposizione delle varie discipline scolastiche. Il fine è quello di sentirsi sicuri di fronte all’interlocutore ed esprimere al meglio storie, considerazioni, idee o la rappresentazione del proprio personaggio.

L’attività teatrale aiuta l’autostima e la sicurezza di sé.

p.s. (= post scriptum): quando vedi i film in televisione in alcuni momenti trascura le immagini ed ascolta le parole, fai attenzione alle pause, alle diverse tonalità della voce che usano gli attori o i doppiatori cinematografici.
« Ultima modifica: Settembre 06, 2024, 16:49:10 da Doxa »

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Teatro e dintorni
« Risposta #2 il: Settembre 06, 2024, 16:49:37 »
In quest’ora pomeridiana  vi offro una bevanda entro una kylix di produzione attica, risalente al 560 – 550 a. C.. E’ a figure nere. Rappresenta una phallophoria: la processione che accompagnava il simulacro del fallo, simbolo della fecondità.

La kylix è una coppa da vino, in ceramica con due anse. Questa  è temporaneamente in mostra a Roma nel Museo dell’Ara Pacis, dopo tornerà nel Museo Archeologico di Firenze.
 


In questa parte della coppa si vede una processione fallica. Uomini nudi trasportano un lungo palo con l'estremità verso l'alto a forma di fallo, inoltre, si vede un occhio inciso.
Poggiando i piedi sul supporto orizzontale e afferrando il fallo con le mani, un satiro (con barba e capelli fulvi, e il pelame del corpo tratteggiato) si piega quasi a cavalcioni del grande phallos , ma nel contempo è cavalcato da un giovane che suona un keras, il bianco corno musicale, e lo sprona con il kentron, il frustino usato per i cavalli da corsa.
Un dionisiaco tralcio d'edera dalle foglie rosse e nere si erge verso l'alto sulla sinistra  della scena.

La kylix veniva usata nei simposi fino al IV a. C., poi  nel tempo  fu sostituita dal kàntharos di ceramica, usato come coppa da vino nei rituali dionisiaci.

Un esempio di kántharos in ceramica per contenere il vino:



Anche all'interno il fondo era spesso decorato con figure o scene: queste, occultate dal vino contenuto,  diventavano gradualmente visibili solo durante le bevute.  I soggetti raffigurati erano spesso ideati in funzione di questo effetto.

Veniva usato nei simposi: pratica conviviale che faceva seguito al banchetto, durante la quale i commensali bevevano il vino dal kantharos,  intonavano canti e si dedicavano a intrattenimenti di vario genere.
« Ultima modifica: Settembre 06, 2024, 17:17:55 da Doxa »

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Teatro e dintorni
« Risposta #3 il: Settembre 07, 2024, 15:28:19 »

“Vaso di Pronomos”: come tipologia è un kratḕres (cratere), alto 73,5 cm, a figure rosse, di produzione ateniese, realizzato nel 400 a. C. circa.

Il dipinto evidenzia l’intento celebrativo al dio Dioniso, considerato patrono del teatro.

La scena, delimitata da due tripodi che simbolicamente segnano lo spazio sacro di un santuario, si articola su due registri.

Faccia A,  così detta, perché considerata la più rilevante, 

registro superiore: al centro ci sono le figure di Dioniso e la sua sposa Arianna distesi su una klìne (= letto conviviale) e abbracciati; sul suo  nudo torace cadono morbidi riccioli; l’himation (il mantello)  che gli copre le gambe è decorato  con motivo a palmette e sfingi; invece Arianna è rappresentata con la chioma raccolta da uno chignon e indossa il chitone.

Vicino ad Arianna siede la musa  Paidia; è voltata verso la coppia e regge nella mano sinistra una bianca maschera teatrale femminile; a lei il giovane alato Himeros, personificazione del desiderio, porge una corona; accanto a loro gli attori principali, ciascuno con la maschera corrispondente al personaggio interpretato: uno ha il ruolo di Eracle, un altro, con costume di lanugine bianca, interpreta  Papposileno; alle spalle di Dioniso un attore nel ruolo di un re orientale, affiancato da coreuti con gonnellino corto di pelle: il primo ha sulla testa una corona d’edera, poggia il braccio sulla spalla dell’altro e volge il capo per guardare la maschera da satiro che solleva con l’altro braccio.

Le caratteristiche dei costumi suggeriscono il possibile soggetto del dramma: l’episodio del salvataggio della principessa Esione, figlia del re di Troia Laomedonte, da parte di Eracle.

Registro inferiore, al centro c’è il personaggio che ha dato il nome al vaso, il flautista Pronomos, auleta tebano seduto su un klismos (sedia con seduta e spalliera ampie), che suona il doppio flauto; alle sue spalle un coreuta esegue un passo di danza (denominata sìkinnis) mentre il poeta Demetrios, l’autore del dramma, ha in mano il rotolo del testo teatrale.
La veduta sembra rappresentare un momento di riposo, gli attori parlano tra loro.

Faccia B


Rappresenta Dioniso e personaggi del suo corteo festante. Potrebbe alludere alla celebrazione di una vittoria teatrale.

Al centro, la fuga gioiosa di Dioniso e Arianna, circondati dai satiri e dalle menadi del thiasos: l’associazione religiosa che nell’antica Grecia celebrava  il culto del dio Dioniso con processioni, canti e danze.

Dioniso si è  liberato del mantello che nell’altra parte gli copriva le gambe e corre tenendo stretta Arianna con un braccio e reggendo nell’altra mano la lira.

Nel registro inferiore si vede  un maculato leopardo (o giaguaro ?).

Il “vaso di Pronomos” fu rinvenuto nel 1835 a Ruvo di Puglia in una tomba apula. Faceva parte di un ricco corredo funebre, insieme ad oggetti preziosi.

Il rinvenimento di questo vaso in Puglia non stupisce, perché la produzione vascolare ateniese fu oggetto di un’intensa esportazione, soprattutto verso le colonie della Magna Grecia e della Sicilia, ma raggiungeva anche l’Etruria.

Il cratere era usato per mescolare vino e acqua nel simposio greco. Veniva collocato su un tavolo al centro della stanza e riempito in parte con il vino e l’aggiunta di acqua per diluirlo e abbassare il contenuto alcolico.

Il kratḕres di Pronomos è temporaneamente esposto a Roma nella citata mostra, ma è custodito nel Museo Archeologico di Napoli.
« Ultima modifica: Settembre 08, 2024, 09:24:34 da Doxa »

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Teatro e dintorni
« Risposta #4 il: Settembre 10, 2024, 08:39:35 »


“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti” (dalla commedia di William Shakespeare: “Come vi piace”. La frase è detta da Jaques, innamorato di Aldrina, atto II, scena VII).

Le relazioni sociali spesso costringono l’individuo ad “apparire” più che essere, a mostrarsi per ciò che non si è o si vorrebbe essere, per farsi accettare, amare. L’apparire può indurre a mentire, ad indossare una virtuale maschera che copre il vero volto.



Nelle culture antiche la maschera aveva un significato simbolico e rituale, collegato a credenze religiose, perciò le maschere venivano utilizzate durante riti, cerimonie sacre e altre celebrazioni importanti.  Negli scavi archeologici  sono numerosi i rinvenimenti di maschere in terracotta o di piccole statuine teatrali anche nei corredi funerari.

Nell’antica Grecia la nascita del teatro coincise con l’ideazione e l’utilizzo delle prime maschere per caratterizzare il personaggio con l’espressione facciale.  Di solito venivano realizzate con tela di lino, legno, sughero, cuoio, cartapesta.

La maschera fungeva  anche da cassa di risonanza: la parte della bocca era fatta in modo tale da amplificare la voce ed essere ascoltata anche dagli spettatori più distanti dal palcoscenico,  in fondo alla platea.

Prosopon” (= volto) era la parola usata in ambito teatrale per alludere sia al viso sia alla maschera usata dagli attori. Da prosopon deriva nella lingua italiana la parola “prosopopea”.

Nella lingua latina la maschera teatrale era denominata “persona”, parola di probabile origine etrusca, da “Phersu”.  A Tarquinia (prov. di Viterbo) in alcune tombe etrusche ci sono fregi che rappresentano “Phersu”, personaggio mascherato.

Con la filosofia stoica la parola “persona”  venne ampliata di significato e cominciò ad indicare  l'essere umano. Poi Tertulliano  (155-230) usò  tale sostantivo per  descrivere la trinità: "una sostanza (una substantia), tre persone (tres personae).

Per i Greci il sostantivo “persona” indicava sia il volto, sia la maschera, sia il personaggio.

Dall’epoca del commediografo greco  Aristofane (450 a. C. circa – 385 a. C. circa) a quella del commediografo greco Menandro (342 a. C circa  - 291 a. C. circa) la maschera dell’attore comico (e forse anche di quello tragico) subì cambiamenti rispetto alle maschere realistiche con le fattezze  di personaggi della vita pubblica ateniese. Con la nuova commedia la tipizzazione dei ruoli comportò anche la fissità delle tipologie: ogni personaggio  indossava la propria.  All’entrata in scena dell’attore il pubblico capiva subito chi era: erano sufficienti la maschera e l’abbigliamento indossati.

Invece il teatro latino di epoca romana , erede della fase evolutiva nel processo di tipizzazione delle maschere,  mirò ad evidenziare ancora di più la corrispondenza  tra maschera e caratteristiche del ruolo interpretato.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2713
  • Karma: +38/-15
    • Mostra profilo
Re:Teatro e dintorni
« Risposta #5 il: Settembre 10, 2024, 18:14:01 »
Nessuna maschera antica indossata dagli attori è giunta fino a noi, causa la deperibilità dei materiali usati per realizzarle, ma abbiamo numerose riproduzioni in terracotta o gesso, possiamo vederle  anche negli antichi affreschi,  nei mosaici, nei vasi dipinti.


 
Nel teatro latino le maschere erano simili a quelle usate nel teatro greco.


Affresco con attori, Casa di Casca Longus o dei Quadretti teatrali,  Pompei.
L’attore sulla sinistra indossa una tunica corta: la indossavano gli schiavi, legata alla vita da una cintura.

Il complesso edilizio  dove sono questi affreschi parietali è formato dall'unione di due case adiacenti del II sec. a.C.. Di ottimo livello sono le pitture nell’atrio: sostituirono in età augustea le precedenti decorazioni con scene teatrali ispirate dalle commedie di Menandro.

Su un lato dell’impluvio c’è il tavolo sorretto da tre sostegni marmorei a zampa leonina che recano inciso il nome dell’originario proprietario, Publius Servilius Casca Long(us), uno dei congiurati che a Roma uccisero Giulio Cesare nel 44 a.C..




 
I costumi di scena. Gli attori romani indossavano, con minime variazioni, sempre gli stessi abiti, con colori distintivi della categoria (sociale, anagrafica) cui appartenevano i loro personaggi. Gli eventuali cambi d’abito nei camerini dietro la “scenae frons” avvenivano in modo rapido.