Dalla parola latina pietās deriva nella lingua italiana il sostantivo pietà.
In epoca romana la “pietàs” alludeva alla devozione religiosa, al patriottismo, al rispetto verso la famiglia.
Nell’Eneide di Virgilio l’episodio che inquadra la pietas romana è la fuga di Enea da Troia in fiamme. L’eroe troiano mette al sicuro le statuette dei Penati e rischia la vita per salvare il vecchio genitore Anchise, il piccolo figlio Ascanio e la moglie Creusa.
Enea era detto “il pio” (dal latino pius) non perché fosse buono e misericordioso, ma perché era rispettoso, obbediva al volere degli dei, come l’abbandono della regina Didone di Cartagine… Per lui la pietàs consisteva nel rispetto dei valori tradizionali quali la religione, la patria e la famiglia.
Marco Tullio Cicerone nelle “Partitiones oratoriae” (Divisione delle parti dell'eloquenza) scrisse: “In communione autem quae posita pars est, iustitia dicitur, eaque erga deos religio, erga parentes pietas, vulgo autem bonitas, creditis in rebus fides, in moderatione animadvertendi lenitas, amicitia in benevolentia nominatur”. = Come virtù sociale, la temperanza è chiamata giustizia: la giustizia verso gli dei è la religione; verso i genitori, la pietà; la bontà, nel comune modo di dire; la buona fede, negli impegni; la dolcezza, nella moderazione a punire; l'amicizia, nei rapporti di benevolenza. (Cicerone, Rhetorica, De partitione oratoria, 78).
Per quanto riguarda la religione, gli antichi Romani non amavano le loro divinità (obbligo precipuo nel monoteismo abramitico), non pensavano ad adorare un dio che domina con premi e punizioni, né s’illudevano che gli dei potessero amarli. Credevano nel “do ut des”: dedicarono templi, sacrifici e doni alle divinità per ricevere in cambio la loro protezione o l’esaudimento delle loro richieste, come in effetti ancora fanno molti cosiddetti cristiani.
Nel periodo imperiale il sostantivo “pietàs cominciò ad essere usato con riferimento alla clemenza dell’imperatore; poi, in ambito cristiano, alla misericordia di Dio.
Dante Alighieri nel Canto XXXIII del Paradiso fa dire a San Bernardo nella preghiera alla Vergine:
"Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz' ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza,
in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate. […]
Papa Francesco: “Tante volte nei Vangeli è riportato il grido spontaneo che persone malate, indemoniate, povere o afflitte rivolgevano a Gesù: ‘Abbi pietà’ . A tutti Gesù rispondeva con lo sguardo della misericordia e il conforto della sua presenza”.
Nel nostro tempo usiamo il lemma “pietà” per alludere alla compassione o alla misericordia cristiana. Abbiamo dimenticato il significato originario di pietàs come devozione verso Dio, la patria e la famiglia.
Se con cattiveria o ironia diciamo che una persona “fa pietà”, intendiamo disprezzo.
Eschilo, nell’Orestea, fa dire ad Agamennone: “E’ nella natura dell’uomo calpestare con più violenza chi è caduto”.