Autore Topic: Cenacolo vinciano  (Letto 956 volte)

Doxa

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Cenacolo vinciano
« il: Aprile 02, 2023, 18:47:26 »
Comincia la “Settimana Santa” e Venerdì ci sarà la “Celebratio passionis Domini”.

L’evento fa volare il mio pensiero a Milano e al “Cenacolo vinciano”.


Milano, Basilica di Santa Maria delle Grazie, prospetta sull’omonima piazza; sulla destra si vede un tratto di Corso Magenta.

Questa chiesa, dell’Ordine dei frati predicatori Domenicani, è adiacente al convento  con l’ex refettorio (diventato proprietà del Comune di Milano), nel quale si può ammirare il dipinto leonardesco dedicato all’Ultima Cena (o Cenacolo).

Nel 1460  il conte Gaspare Vimercati (uno dei più influenti personaggi dell’entourage di Francesco Sforza, come consigliere di guerra, comandante delle milizie e gestore “di fatto” delle finanze sforzesche) concesse a frati Domenicani l’area in cui c’era un edificio a corte precedentemente usato dal Vimercati per l’alloggiamento dei suoi reparti militari. Su quel terreno c’era anche una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie.

Il Vimercati elargì ai Domenicani  anche il denaro necessario per la costruzione del convento e la chiesa, che, come la cappella, fu dedicata  a Santa Maria delle Grazie.

Il progetto fu redatto dall’architetto Guiniforte Solari, già ingegnere capo della fabbrica del  duomo di Milano, dell’Ospedale Maggiore (poi trasformato  nella sede dell’Università Statale) e della Certosa di Pavia.

Il 10 settembre 1463 venne collocata la “prima pietra” del complesso conventuale. La costruzione cominciò nell’area dove c’è oggi il  cosiddetto “Chiostro dei Morti”, adiacente alla primitiva cappella della Vergine delle Grazie,  che oggi corrisponde all'ultima cappella della navata sinistra della chiesa.

Con l’aiuto finanziario del Vimercati il convento dei domenicani fu completato nel 1469.

Il convento solariano si articolava attorno a tre chiostri. Il chiostro originario dell'alloggiamento delle truppe del Vimercati venne inglobato nella costruzione; il Chiostro Grande, su cui affacciavano le celle dei frati, e il Chiostro dei Morti attiguo alla chiesa. Di quest'ultimo oggi è possibile vedere la ricostruzione post-bellica, in quanto interamente distrutto dai bombardamenti del 1943.

Contemporaneamente alla costruzione del convento cominciò l’edificazione della chiesa, che come di consueto ebbe inizio dalla zona absidale. Fu completata nel 1482.

Nel progettare la basilica l’architetto Solari si attenne alla consolidata tradizione gotico-lombarda  della basilica a tre navate, con volte a ogiva e facciata a capanna.   

Anche i materiali sono quelli della tradizione lombarda, il cotto per le murature e la pietra di granito per le colonne e i capitelli.

Le navate sono coperte da volte a crociera. Le navate minori sono fiancheggiate da file di sette cappelle laterali quadrate.

Dieci anni dopo, nel 1492, la chiesa fu scelta da Ludovico il Moro per farne il mausoleo della propria casata, perciò  fu ristrutturata e ampliata, forse su progetto del noto architetto Donato Bramante, con l’aggiunta di absidi di forma circolare , una grande cupola, un chiostro. 

La chiesa è caratterizzata da sette cappelle,  disposte su ciascun lato.


veduta parziale dell'interno basilicale.
All'interno dell'ex refettorio si ammira  “La crocifissione” (dipinto realizzato dall’artista milanese Donato Montorfano) e la celebre “Ultima Cena”, realizzata da Leonardo da Vinci.


il “Cenacolo” com’era prima del restauro


“Ultima Cena” dopo i lavori per il restauro

L'ultimo intervento di restauro ha permesso di recuperare solo in parte il dipinto originale, rovinato sia a causa degli inadatti materiali utilizzati dall'artista sia per colpa dei vari restauratori che nei secoli XVII e XVIII eseguirono alcune ridipinture "estetiche". Ad esempio, quasi tutta la testa di Giuda è rifatta, dell'originale viso di Giovanni ne resta solo un decimo (le scaglie più chiare della parte alta del viso), e di Pietro solo la parte della fronte e dello zigomo.

Nel 1517, secondo la testimonianza di Antonio de Beatis, “è excellentissima, benché incomincia a guastarse non so se per la humidità che rende il muro o per altra inadvertentia”.

Nel 1568 Giorgio Vasari scrisse che il dipinto è “tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata”.

Per Francesco Scannelli, che descrisse il Cenacolo nel 1642, non erano rimaste dell’originale che alcune tracce delle figure, e anche quelle così confuse che solo a fatica se ne poteva ricavare una indicazione del soggetto. Proprio perché considerato ormai perduto, i Domenicani del convento nel 1652 non esitarono ad aprire una porta per dare accesso alle cucine, tagliando le gambe di Gesù e di due apostoli.

Tra il 1796 e il 1801 il refettorio venne adibito a scuderia per i cavalli dei soldati napoleonici, i quali alcuni di loro scagliarono pietre contro il dipinto che distrussero i corpi degli apostoli. Con punte metalliche sfregiarono anche gli occhi. Successivamente inesperti restauratori ridipinsero tutta l’opera.

Infine, il 16 agosto 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il convento di Santa Maria delle Grazie venne bombardato e il refettorio quasi completamente distrutto; il Cenacolo si salvò perché protetto da una impalcatura di tavole di legno e sacchetti di sabbia.



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« Ultima modifica: Aprile 02, 2023, 22:26:33 da Doxa »

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Re:Cenacolo vinciano
« Risposta #1 il: Aprile 02, 2023, 19:00:54 »
Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare refettorio dei frati domenicani.

Su uno dei lati il pittore milanese Donato Montorfano dipinse la “Crocifissione”, terminata nel 1495.

Sull’altro lato minore del refettorio Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 dipinse “Ultima cena” o “Cenacolo” (460 x 880 cm), usando la tecnica mista a secco su intonaco, incompatibile con l’umidità dell’ambiente.



Su un doppio strato di intonaco, Leonardo applicò sul muro a secco la tempera mescolata all’olio. Tale modo di procedere permise all’artista di ottenere qualità di chiaroscuri più raffinati e di ritoccare e modificare l’opera giorno dopo giorno in base a ripensamenti successivi. Ma proprio per tale motivo l’affresco fu vulnerabile e non fu possibile il tentativo di rimuovere il dipinto dalla sede originaria senza danneggiarlo definitivamente.

I restauri hanno permesso di capire che l'artista, dopo aver steso un intonaco ruvido, e disegnate le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola.

Leonardo usò le espressioni dei volti, dei gesti e la postura dei corpi degli apostoli per manifestare le loro emozioni, come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore.
Leonardo scrisse:

“I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali,
sono molti; de’ quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare
[…] ira, letizia, malinconia, paura”.

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« Ultima modifica: Aprile 02, 2023, 22:40:46 da Doxa »

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Re:Cenacolo vinciano
« Risposta #2 il: Aprile 02, 2023, 20:59:31 »

L'Ultima Cena è quella che Gesù fece con gli apostoli durante la Pasqua ebraica nel cosiddetto “Cenacolo”, nella zona del Monte Sion, a Gerusalemme.

Il racconto degli eventi dell'ultima cena di Gesù è presente nei Vangeli sinottici e in quello di Giovanni.

Leonardo per questo dipinto trasse ispirazione dal Vangelo di Giovanni (13, 21 – 26). Ha rappresentato Gesù mentre è a tavola con i 12 apostoli ed annuncia che uno di loro lo tradirà. E’ il momento più drammatico della cena: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse” (Gv 13, 21 – 22).

Ogni apostolo si domanda, e chiede agli altri, chi può essere il traditore: Leonardo si concentra sull’effetto che le parole di Gesù provocano sugli apostoli, sulla loro reazione.

L’agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola, ha le braccia distese, è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.

Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all’estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all’annuncio di Cristo: egli, infatti, poggia le mani sulla mensa e protende il corpo verso Gesù.

Vicino a lui c’è Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, il quale alza le mani, come a volersi discolpare da qualsiasi sospetto di tradimento.

Andrea con la mano sinistra, quasi a chiedere conforto, tocca la spalla del fratello Pietro, che con la mano destra impugna il coltello


Dettaglio del coltello

Simon Pietro con la mano sinistra tocca Giovanni e lo incita a chiedere a Gesù chi sia il traditore: “Di', chi è colui a cui si riferisce?” (Gv 13, 24)

E Giovanni reclinandosi verso Gesù gli dice: “Signore, chi è?" .Rispose allora Gesù: ‘È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò’. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone” ((Gv 13, 25 – 26).

Giuda è raffigurato mentre poggia il gomito sul tavolo . Nella mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.

Sulla destra, di Gesù c’è Giacomo Maggiore, che apre con sdegno le braccia mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l’indice della destra puntato in alto.

Filippo si è alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un’espressione di dolore sul volto.

Vicino a lui c’è Matteo
, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è girato nella direzione opposta e rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite.

Giuda Taddeo appare stupito. La sua mano sinistra poggia sulla tavola col palmo aperto, mentre con la destra l’apostolo indica sé stesso.

L’anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola e si rivolge a Giuda Taddeo e a Matteo.

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« Ultima modifica: Aprile 02, 2023, 21:05:16 da Doxa »

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Re:Cenacolo vinciano
« Risposta #3 il: Aprile 02, 2023, 21:39:08 »
Per ulteriori dettagli ricolloco la foto del Cenacolo vinciano


Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-1498, ex refettorio del Convento domenicano collegato alla basilica di Santa Maria delle Grazie

La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo, quello di Giovanni: c’è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici, non c’è il calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell’ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati’ " (Mt 26,27).

Guardando l’immagine, sulla destra di Gesù c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l’alto. 

Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera, Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura, perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.

Altro dettaglio, dalle finestre dipinte sullo sfondo s’intravedono le montagne di colore “avio” (azzurro unito al grigio).

La prospettiva creata dalla disposizione del tavolo, dagli arazzi raffigurati alle pareti e dal soffitto a cassettoni, induce lo sguardo dell’osservatore verso questo paesaggio naturale, esterno al Cenacolo.

Nel suo “Trattato di pittura” Leonardo descrive la cosiddetta “prospettiva aerea”, usata nel Cenacolo per realizzare i vari piani del dipinto. Tale prospettiva è qui rappresentata dallo spazio architettonico e dalla diversa cromia: colori “caldi” e tonalità “fredde”, come il verde e l’azzurro.

Testimonianza del modo di lavorare dell'artista per realizzare il dipinto con l’Ultima Cena l’abbiamo dal noto scrittore e vescovo Matteo Bandello (1485 – 1561), che in quegli anni era nel convento domenicano per motivi di studio. Nella novella 58, del 1497, scrisse: “Soleva […] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove”.

Leonardo non amava la tecnica della pittura ad affresco la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima dell’asciugatura dell’intonaco, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia anche il brano di Bandello.

Gli ultimi restauri hanno permesso di comprendere il suo procedimento nell’attività: dopo aver steso un ruvido intonaco e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorava al dipinto usando la tecnica tipica della pittura su tavola.
La preparazione era composta da carbonato di calcio e magnesio, uniti da un legante. Prima di stendere i colori passava sulla parete un sottile strato di biacca, per far risaltare gli effetti luminosi dei colori, che venivano stesi a secco.

All’inizio del 1498 l’Ultima Cena era compiuta. Lo sappiamo da una lettera scritta il 4 febbraio 1498 da fra’ Luca Bartolomeo de Pacioli, noto come Luca Pacioli (matematico ed economista, fondatore della ragioneria contabile), che nel 1497 accolse l’invito di Ludovico il Moro lavorare a Milano. In questa città il Pacioli conobbe l’artista toscano, al quale chiese di realizzare dei disegni in acquerello di 60 solidi geometrici, da inserire nella “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita e della Divina Proportione", che scrisse anche con la collaborazione di Leonardo, poi pubblicata alla fine del 1498.

Causa la guerra iniziata dal re di Francia Luigi XII contro il ducato di Milano e la rivolta del popolo milanese oppresso dalle tasse, l’1 settembre 1499 Ludovico il Moro fuggì da Milano. Scapparono anche i cortigiani. Pure Leonardo da Vinci e il Pacioli lasciarono la città per recarsi a Mantova.

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« Ultima modifica: Aprile 02, 2023, 23:08:41 da Doxa »

mr.blue

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Re:Cenacolo vinciano
« Risposta #4 il: Aprile 02, 2023, 22:40:17 »
I tuoi post sono sempre molto attuali e interessanti, Doxa.