Nel post n. 4 ho scritto
“L'Iris è un bel fiore, che gli antichi Greci usavano piantare vicino le tombe perché l'omonima dea dell'Olimpo era connessa anche con la morte. Accompagnava le anime delle donne defunte nel regno dei morti. Infatti fu lei a prendere l'anima della regina Didone di Cartagine, suicida per amore di Enea che l'aveva abbandonata, come racconta Virgilio nell'Eneide (versi 688-705).
Di solito il suicidio causato dall’amore non corrisposto avviene nell’età adolescenziale.
Poi l’individuo matura, entro di sé riesce a creare la “corazza psicologica” ed affronta altre relazioni di coppia, altre delusioni, abbandoni, periodi di lutto psicologico, successivamente si apre di nuovo alla vita e a nuovi amori, senza pensare al suicidio.
Il mito e l’antica letteratura greca narrano che la fenicia Didone o Elissa (altro nome di quella sovrana) non era una pùbere quando incontrò il troiano, Enea, degno figlio di Troia.
Prima di diventare regina di Cartagine (fondata secondo il mito nell’814 a. C.) era stata regina di Tiro (città nell’attuale Libano) ed aveva un marito, di nome Sicheo.
ll fratello di Elissa, Pigmalione, desideroso del trono di Tiro, fece uccidere Sicheo e prese il potere.
La donna, con altri fuggiaschi, dopo varie peripezie sulle coste del Nord Africa, dal re dei Getuli (popolo nomade nell’antica Libia), di nome Jarba o Giarba, ebbe il permesso di insediarsi nel territorio dove fondò la città di Cartagine.
Durante la propria vedovanza, Didone venne insistentemente richiesta in moglie da alcuni capi tribù della Numidia, ma scelse di sposare in seconde nozze Barca, uno dei suoi seguaci fuggiti con lei da Tiro.
Dopo aver finto di accettare le nozze, Didone si uccise con una spada, invocando il nome di Sicheo, il suo primo marito.
La mitologia riguardante Didone venne rielaborata da alcuni storiografi romani per dare la giustificazione all’origine delle guerre tra Roma e Cartagine. Successivamente il poeta Virgilio scrisse la sua versione del mito, diventato celebre nei secoli.
Nella versione virgiliana, Cupido, istigato da Venere, fa nascere l’amore tra Didone ed Enea, giunto naufrago a Cartagine con i suoi seguaci (I e IV libro dell'Eneide).
“Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! (= Amore ingiusto, a cosa non spingi i cuori dei mortali !)
(Virgilio, Eneide, IV, 412). Questo verso riassume il dramma raccontato nel IV libro dell’Eneide, che narra la triste vicenda dell’amore della regina Didone per Enea.
Enea e Didone, affresco nella “Casa del citarista”, Pompei, III stile: 10 a. C. – 45 d. C..
Dopo un po’ di tempo il fato volle l’interruzione di quel rapporto d’amore.
Giove, tramite Mercurio, impose all’eroe troiano la partenza da Cartagine per giungere con i suoi compagni sulla costa laziale.
Enea lascia Didone. Lei prima lo supplica, poi lo maledice ed infine, disperata, si trafigge con la spada che l’eroe troiano le aveva donato e si getta nel fuoco di una pira sacrificale, questa la versione dell’Eneide virgiliana.