Marco! Marco! Marco! La folla in delirio scandiva il mio nome, il nome del vincitore di quella meravigliosa, breve ma entusiasmante corsa.
Era il trionfo, lungamente inseguito, ma che fin dalle prime battute era parso finalmente alla mia portata.
Tornato a casa, sentivo ancora nelle narici l’odore della polvere del Circo, mista al pungente afrore dei cavalli madidi per lo sforzo e risentivo perfino il lezzo dei loro escrementi, simile ad erba marcia.
Mentre i servi si premuravano di ricoverare il carro e riportare nelle stalle i destrieri, benedicevo il giorno in cui nacqui libero, nobile e ricco, ciò che ora mi consentiva di aspettare pigramente che servizievoli ancelle si prendessero cura del mio stanco corpo, per rinfrescarlo e rigenerarlo con unguenti e profumi e prepararlo degnamente alla cena d’onore che mio padre aveva organizzato per festeggiare la mia magnifica vittoria.
Una vittoria nemmeno troppo difficile, di cui avevo avuto immediata certezza, mentre vedevo gli avversari cedere uno ad uno.
Chi abbandonava per noie tecniche, chi vedeva sotto i suoi occhi scoppiare la pariglia; ricordo con un certo imbarazzo la fine del più giovane dei partecipanti, che avevo arpionato con la mia frusta, usata più per colpire gli avversari che per spronare le mie bestie.
L’estremità del nerbo si era avvinghiata al suo esile collo, e con uno strattone magistrale avevo sbalzato il giovanetto dal cocchio, ma le briglie attorcigliate alle braccia imberbi lo tenevano penzolante a pochi metri dal carro trascinandolo a lungo sulla sabbia della pista, su cui restava una lunga scia di urina e di sangue.
Quando finalmente le redini si spezzarono e rotolando il giovane auriga andò a terminare sotto gli zoccoli dei sopraggiungenti cavalli, lo sventurato aveva certamente perduto i sensi, passando incosciente dalla vita alla morte.
Gli zoccoli tambureggiavano su quel corpo martoriato ed i cavalli scalpitanti continuavano la corsa incuranti ed inconsapevoli che sotto le loro unghie si infrangevano le speranze di una delle più antiche casate di Roma, il cui ultimo rampollo non avrebbe potuto dare discendenza.
La certezza della vittoria tuttavia l’ebbi nel vedere i cavalli favoriti schiumare sotto lo sforzo e bava mista a bile colare dalle loro bocche spalancate in cerca di aria.
Marco! Marco! Marco! Urlava la plebe esaltata, esaltandomi.
Preparava la mia gloria e la mia gioia, che crebbe a dismisura nel giro d’onore.
Durante il quale sentivo mille occhi puntati su di me, e al tempo stesso avevo la percezione che avide matrone ammirando la scultorea bellezza del mio corpo ventenne, ne avrebbero conservato ricordo ed avrebbero sospirato la notte, mentre spronavano flaccidi mariti, ripensando ai miei riccioli e ai miei muscoli.
Che sapore dolce aveva il trionfo! Come era facile lasciarsi andare al forsennato tripudio che compensava l’ansia e la paura in quei brevi, concitati momenti della folle corsa.
Dopo il gusto forte della vittoria non volevo abbandonare il Circo, volevo crogiolarmi ancora per qualche momento nella gloria che mi veniva tributata.
Così rimasi ospite negli scanni imperiali a godermi lo spettacolo dei gladiatori e dei cristiani dati in pasto ai leoni.
Non era un genere di divertimento che incontrasse tutti i miei favori; ma sarei stato un pazzo a rifiutare la benevolenza del Cesare.
Accettai perciò di buon grado di rimanere, a trastullarmi, a sentire nuovamente l’odore della morte.
Marco! Marco! Dai che è tardi: domattina chi ti sveglia più?
Vengo subito mamma…
Un click del mouse su start, chiudi sessione, OK.
Sono uno schianto queste simulazioni…