Chiudo piano la porta ed esco.
In casa ci sto il meno possibile, l’atmosfera è troppo pesante.
Mia madre mi guarda con occhi pensosi, non dice nulla, ma la sua muta domanda è sempre presente.
Forse ha capito, ma preferisce fare finta di nulla.
Mio padre mi guarda con un certo stupore e sospetto, poi gira lo sguardo e legge il giornale. Vedo nei suoi occhi, anche se cerca di nasconderlo, un profondo dolore, che rende triste anche me.
L’ultima cosa al mondo che avrei voluto è dare dolore ai miei genitori.
Non è colpa mia, credo che sia colpa di Dio, non può essere altrimenti.
Non glie l’ho ancora detto, ma una settimana fa sono stato licenziato e per questo tutte le mattine esco di casa al solito orario e poi vado in giro per la città per fare passare il tempo. Sono stato persino all’orto botanico, all’acquario ed al planetario.
Quando non si lavora, si scopre un mondo che vive a nostra insaputa e a dire il vero non è nemmeno brutto, anzi, peccato che comunque per fare certe cose ci vogliano i soldi e di conseguenza un lavoro.
Mi sono accorto che nelle mie giratine ho visitato terra, aria, acqua; che strana coincidenza!
Mi hanno licenziato per la terza volta in un anno.
Sono gay e a quanto pare, nonostante tanti discorsi, i datori di lavoro non amano i gay e quando se ne accorgono, inventano scuse per licenziarmi.
A 22 anni mi pare di essere già arrivato in fondo alla strada!
Mi sono accorto della mia diversità dopo che se ne erano accorti gli altri. Buffo, vero? Più che buffo, direi drammatico.
A scuola vedevo i compagni che mi guardavano, poi borbottavano tra loro, si davano di gomito e ridacchiavano, lanciandomi occhiate divertite.
Le prime volte mi guardavo addosso per vedere se magari avevo i calzini scompagnati o la camicia macchiata di gelato.
Mi sono sentito sempre più isolato, fino a quando ho capito che la mia attrazione per Rosario non era dovuta al fatto che fosse un ragazzo timido e non mi facesse paura come l’aggressività degli altri, ma ai suoi occhi dolci e scuri e quel certo modo di chinare il capo di lato quando mi parlava.
Cominciai ad aspettarlo all’uscita di scuola ed a invitarlo a fare i compiti. Godevo della sua presenza, proprio come un innamorato fa con la sua bella, mi si allargava il cuore anche solo all’aspettativa di rivederlo.
Una sera di fine giugno, passeggiavo lungo il fiume fantasticando sul mio amore segreto, che non mi pareva davvero una cosa “diversa” da qualunque amore, quando me lo vidi improvvisamente davanti come una apparizione desiderata e realizzata
Non mi resi nemmeno conto che lo stavo abbracciando e cercando di baciare. Mi venne proprio naturale,
Lo consideravo la mia ragazza, che male c’era?
Lui no, non la pensava così!
Mi dette uno spintone e si mise a urlare “….che cazzo vuoi brutto froscio, ma che cazzo ti è preso…non ti azzardare…
mai più a mettermi le mani addosso…per quei quattro compito di matematica che mi passi ..che cazzo…”
Precipitai dal mio inopportuno romanticismo in un agghiacciante realtà; il sangue mi si cristallizzò nelle vene. La mia ingenuità mi aveva sbattuto a terra.
Un fulmine mi avrebbe fatto meno male.
Mi sentii morto dentro e fuori, ma ebbi la forza di balbettare sorridendo:” Ma dai, scherzavo..”
Lui, il normale senza pietà, continuò a urlare che tanto lo sapevano tutti che ero un checca.
La gente si fermò a guardare ridendo, qualcuno disse ad alta voce, per essere certo che tutti sentissero .” Che schifo, ma guarda cosa si deve vedere!”
Se non fossi stato già morto, sarei morto in quel momento.
Rosario si allontanò da me come se fossi un mostro , ma quando fu a pochi passi, si fermò e tornò indietro e mormorò “Scusa.”
Fu per quella parola che lo amai ancora di più.
Cambiai scuola.
A sedici anni, l’amore mi aveva già distrutto.
Ora ho ventidue anni, mi sono innamorato altre volte, ma non ho mai più osato esprimermi, non sopporterei un’altra scena come quella, ne ho il terrore.
A volte piango.
Ma come fanno gli altri gay?
Ma perché la gente non può capire ed accettare che anche noi abbiamo bisogno d’amore?
So per certo che quando “i normali” pensano a noi, pensano a qualcosa di pornografico. Che tristezza! Il nostro è un mondo dove nella derisione e nel disprezzo ci si vive; se loro lo capissero, avrebbero almeno un poco di compassione. .
Cosa darei per un abbraccio, sentirmi amato, coccolato, stimato come qualunque essere umano.
Mi piacerebbe essere circondato da due forti braccia, appoggiare il capo sulla sua spalla ed avere la sensazione di essere arrivato finalmente a casa.
Persino i cani sono amati, accarezzati, coccolati.
C’è chi si tiene in casa serpenti e li adora. Io valgo meno di uno schifosissimo serpente, a quanto pare!
Cammino da un paio d’ore lungo questo fiume che la notte rende luccicante e nero e penso ai miei genitori.
Sono sicuro che anche loro sanno; prima mi domandavano speranzosi quando mi sarei fatto la ragazza, poi piano piano hanno smesso.
Difficile anche per loro, poveri vecchi, accettare di avere un figlio gay.
Com’è nero il fiume, sembra persino morbido, chissà come deve essere tiepida l’acqua.
Mi sorprendo a pensare che ci potrei fare un tuffo.
Magari uno solo.
E non uscirne mai più.
Non importerebbe forse a nessuno.
Ho un nodo alla gola e mi viene da piangere per me stesso, sentendomi patetico.
Non è detto però che lo debba fare proprio stasera.
E’ un pezzo che cammino, comincio ad essere stanco, troppo stanco anche per arrendermi al fiume e ho voglia di un caffè.
Andrò in quello sul ponte, so che è aperto fino a tardi, anche se non ci sono mai stato.
Entro e mi siedo ad un tavolino, mi guardo intorno ; sono l’unico imbecille in circolazione, a quanto pare, oltre il barista.
Lo guardo, ha la faccia stanca e sembra triste. Vedo le sue mani che asciugano un bicchiere; belle mani, sembrano calde e forti.
Come sarebbe una carezza fatta da loro?
“Smettila -mi dico- di sognare ad occhi aperti, hai appena deciso che prima o poi ti butterai nel fiume, non hai bisogno di avere desideri ormai! Sentiti libero oltre che imbecille. “
“Prendi qualcosa ?”- mi dice la sua voce.
Che bella voce, calda, avvolgente.
“Un caffè, grazie.”
Me lo porta al tavolino, poi, dopo un breve esitazione. si siede accanto a me.
Mi guarda, io lo guardo.
“Brutta giornata, fratello?” Mi offre una sigaretta, rispondo che io non fumo.
Non so cosa dire.
“Sto per chiudere, mi dice con un sorriso così tenero che esprime tutta la sua solitudine – ti va di fare due passi con me lungo il fiume?”
Lo guardo bene negli occhi, non sarà mica una checca!
Mi sento colpevole per essermi espresso come tutti e me ne vergogno.
“Perché no? Volentieri.”
Ho risposto senza pensare.
Ed ora cosa succederà?
Usciamo dal bar e camminiamo lentamente lungo il fiume, le nostre braccia si sfiorano in un timido assaggio delle possibilità future, aspettando che uno dei due si decida a dire qualcosa: a me viene in mente quella canzone di Jannacci che dice..” forse ad ammazzarmi posso pensarci sopra…poi si vedrà.”
Grande Jannacci.
Sì, ci penserò sopra, intanto voglio assaporare questo piccolo sorriso vibrante che sento nascere nel cuore.
L’alba è prossima ed il fiume mi sembra troppo bagnato per essere invitante.