Autore Topic: 25 Marzo  (Letto 1143 volte)

Doxa

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25 Marzo
« il: Marzo 23, 2021, 09:50:56 »
Il 25 marzo per i cristiani è una data significativa, il calendario liturgico commemora la  solennità dell' Annunciazione  del Signore: l’annuncio dell’angelo Gabriele prima a Maria del concepimento verginale e della nascita verginale di un figlio (Gesù), poi a Giuseppe.

L’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria è nel Vangelo di Luca, invece nel Vangelo di Matteo l’angelo (Gabriele ?) narra al perplesso Giuseppe del concepimento verginale di Maria per opera dello Spirito Santo.

Nell'antico diritto ebraico il fidanzamento era il primo atto del matrimonio, per cui si sarebbe configurata per Maria incinta l' accusa di adulterio.

Dal Vangelo di Luca (1, 26 – 38)

L'annunciazione


"Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,  a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.  Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.  Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre  e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: ‘Come è possibile? Non conosco uomo’.  Le rispose l'angelo: ‘Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio’.  Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto’. E l'angelo partì da lei”.



Dal Vangelo di Matteo (1, 18 – 25)


Giuseppe assume la paternità legale di Gesù


“Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio
che sarà chiamato Emmanuele,
che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.
”.

Maria, pur non essendo taciturna come Giuseppe (totalmente silente  secondo quanto narrato nei Vangeli) fu  molto sobria nell' esprimersi: parla solo sei volte per un totale di 154 parole, delle quali 102 sono una preghiera, il “Magnificat”.

Nell' Annunciazione pronuncia le sue due prime frasi minimali, anche se impegnative: “Come sarà questo, poiché non conosco uomo?... Ecco la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola”, in tutto 17 parole greche, compresi articoli, pronomi, avverbi e preposizioni. Una domanda di razionalità e di senso, all' inizio, una dichiarazione di consapevolezza, alla fine, anche perché il termine “serva”, pur non escludendo un atteggiamento di umiltà e di adesione libera all' appello divino, allude anche alla titolatura dei “servi del Signore”, come erano denominati Abramo, Mosè, Giosuè, Davide, i profeti e persino il Messia.

Nella mente di tante persone questa scena è presente con la  bella immagine del pictor Beato Angelico che dipinse sei Annunciazioni a Maria (le più celebri nel convento di San Marco a Firenze e nella tavola a tempera del Prado di Madrid).

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« Ultima modifica: Marzo 24, 2021, 07:30:51 da Doxa »

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Re:25 Marzo
« Risposta #1 il: Marzo 23, 2021, 12:15:49 »
L’Annunciazione fu ed è ancora fonte d’ispirazione per tanti artisti e letterati.
 
Nell’ambito della pittura cito come esempio il Beato Angelico.
 

Beato Angelico, “Annunciazione”,  1442 circa, affresco, Firenze, Convento di San Marco.

Questo capolavoro fu dall’Angelico dipinto a fresco nell’angolo di una delle pareti interne del corridoio nord del dormitorio, al piano superiore dell’allora convento ed oggi Museo di San Marco.



La scena è ambientata in un portico colonnato, i capitelli sono ionici e corinzi; gli archi a tutto sesto; prospetta verso un giardino fiorito e con alberi, recintato con una staccionata, un hortus conclusus, che allude alla verginità di Maria.

Nella scena ci sono  Maria e l’angelo Gabriele, che  ha la gamba sinistra genuflessa in segno di riverenza ed è proteso verso la donna. Entrambi hanno le mani incrociate sul petto e l’aureola sul capo. I loro capelli sono biondi.
 
L’angelo indossa un abito rosa, colore che nella simbologia liturgica  significa gioia. Nell’abito ci sono ricami in oro. Le ali sono policrome.

Maria è seduta su uno sgabello, indossa una tunica e un mantello blu; il pittore per realizzare tale colore utilizzò la preziosa azzurrite e mise anche inserti in oro.

La parete di fondo è interrotta da un’apertura che conduce in una stanza. Al suo interno si vede una piccola finestra con inferriata.

Nell'affresco ci sono due iscrizioni:

in basso, vicino alla base della colonna centrale, sono le parole dell'Annunciazione;

sul gradino la scritta esorta a chi passa davanti al dipinto di  rivolgere un saluto ed una  preghiera alla Madre di Dio: “Virginis intactae cum Veneris ‘ante figuram pretereundo cave ne sileatur ave’” (= Quando passerai davanti l’immagine della Vergine Immacolata, stai attento a non dimenticare di dire l’Ave Maria).

L’affresco è all’inizio del corridoio, il quale nel passato conduceva alle celle dei frati.



Questo complesso conventuale con l'attigua chiesa fu costruito per l'Ordo Fratrum Praedicatorum (i Domenicani)  sui resti di un antico monastero dei Benedettini Silvestrini; determinanti furono le  offerte, come il lascito testamentario di Barnaba degli Agli, e l'aiuto finanziario di Cosimo il Vecchio.

I lavori cominciarono nel 1406 e finirono nel 1437. Ma dal 1418 era abitabile e vi furono trasferiti alcuni frati che erano nel convento di Santa Maria Novella, nella vicina Firenze.

Nel 1420 il Beato Angelico  dipinse sull’arco d’entrata nella nuova chiesa fiesolana dedicata a San Domenico la Madonna benedicente. Nell’aula capitolare  dipinse in affresco il grande crocifisso.

Anche l'Angelico nel 1429 venne trasferito a Fiesole nel convento di San Marco. Il 22 ottobre di quell'anno venne registrato come "frate Johannes petri de Muscello", poi meglio conosciuto come  "fra' Giovanni da Fiesole" Ne fu anche priore. Un altro famoso priore di questo complesso religioso fu Girolamo Savonarola.

Attigua al convento c'è la chiesa dedicata a San Domenico


Il campanile e il porticato sono del 1635. L'interno, a navata unica con cappelle laterali, fu ristrutturato all'inizio del '600. 

Il “Beato Angelico” si chiamava Guido di Pietro (1395  circa – 1455). Nel 1420 entrò nell’Ordine dei frati domenicani e scelse di  farsi chiamare “fra’ Giovanni da Mugello”, zona del suo luogo di nascita, Vicchio di Mugello.

Fra' Giovanni nel 1469 venne definito “angelico” dal frate predicatore Domenico da Corella nel suo poema titolato “Theotocon”.

Nel 1481 anche il poeta e filosofo  Cristoforo Landino lo definì “Angelico et vezzoso et divoto et ornato molto con grandissima facilità”.

E così "fra Giovanni da Mugello" divenne noto con  l’appellativo ‘Angelico’,  sia per la sua arte protesa alla rappresentazione di temi sacri, sia in riferimento alla sua vita pia.

Successivamente venne definito anche “beato”, senza che la Chiesa lo avesse riconosciuto tale. 
Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982, anche se già dopo la sua morte  venne chiamato "Beato Angelico".

Morì a Roma il 18 febbraio 1455 e venne sepolto nella chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, adiacente al convento dei Domenicani e vicina al Pantheon.

Del suo sepolcro marmoreo, un onore eccezionale per un artista a quel tempo, è ancora oggi visibile la lastra tombale, vicino all'altare maggiore.



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« Ultima modifica: Marzo 23, 2021, 22:15:46 da Doxa »

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Re:25 Marzo
« Risposta #2 il: Marzo 23, 2021, 19:02:25 »
Il 25 marzo è il “Dantedì”, la giornata dedicata a Dante Alighieri.


 
Il vero nome di Dante Alighieri era Durante di Alighiero degli Alighieri.

Non si sa la  sua  precisa data di nascita, avvenuta tra maggio e giugno del 1265.

Morì a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 e quest’anno si celebra il 700/esimo anniversario della sua “dipartita”.

Ma  se è morto a settembre  perché la giornata a lui dedicata cade il 25 marzo?

Per i “dantisti” il 25 marzo è il giorno in cui Dante cominciò il viaggio allegorico attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso descritto nella Commedia. Tale data è stata individuata grazie agli "indizi" lasciati dallo stesso Dante nel poema.

Secondo gli studiosi, Dante iniziò il suo viaggio ultraterreno con la discesa agli Inferi, proprio il 25 marzo 1300, quando  era “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Perciò  la giornata è stata scelta per ricordarlo e onorarlo.

Nel corso della sua vita Dante fu costretto a continue peregrinazioni dopo che Firenze lo costrinse all'esilio.

Visse temporaneamente in vari luoghi: a Verona, Roma, Arezzo, Pisa, Bologna, a Forlì fu ospite di Scarpetta Ordelaffi,  infine a Ravenna, dove c’è la sua tomba. 

Verona  fu il suo  "primo rifugio e 'l primo ostello" (Paradiso, canto XVII, v.70), cacciato da Firenze nel 1302. Verona era perfetta per l'esule e per il poeta.

Con la signoria Scaligera e in particolare con Cangrande della Scala la città divenne un polo culturale primario in Italia e si guadagnò la fama di città-rifugio dei numerosi esuli delle lotte di fazione. Il giovane signore scaligero accolse il "ghibellin fuggiasco" con l'ospitalità propria di un principe illuminato e con la generosità di un mecenate, anticipando di un secolo quello spirito che fece onore alle famiglie italiane del Rinascimento.

A Verona Dante visse in tutto circa sette anni: dal 1303 al 1304, ospitato da Bartolomeo della Scala, fratello di Cangrande ,e dal 1312 al 1318, ospitato dallo stesso Cangrande. In pratica trascorse a Verona quasi la metà degli anni dell'esilio.

In questa città scrisse il "De Monarchia", molte lettere e parte del Paradiso, cantica che il poeta dedica a Cangrande, riservandogli un posto d'onore nella profezia del XVII canto.

Qui fece conoscere la sua "Commedia",  scritta in “volgare”,  cioè nel modo di parlare del “vulgo”, il codice linguistico usato nella quotidianità dalla popolazione, ma  considerato non adatto per i componimenti letterari, per i quali si usava la lingua latina.

Con le descrizioni e i racconti nella Commedia, Dante fornì ai posteri uno straordinario affresco della vita e della società medievale, aiutando gli studiosi a capire come poteva ragionare un uomo di quel tempo.

La “Commedia”  fu poi detta “divina” da Giovanni Boccaccio.

L’Alighieri fu tra i massimi esponenti del “Dolce Stil Novo” ed è considerato il padre della lingua italiana insieme a Francesco Petrarca e al Boccaccio.

Per il 25 marzo la Rai ha creato un portale virtuale con interessanti documentari e speciali su Dante, mentre il Ministero dell'Istruzione ha lanciato l’iniziativa didattica nazionale “Futura Dante”, che ospiterà laboratori sulla figura e l’opera del Sommo Poeta con l’utilizzo delle tecnologie digitali, ai quali parteciperanno (in modalità virtuale) le scuole di tutte le regioni italiane.

In occasione del “Dantedì” sono in programma  da varie località numerosi eventi in streaming per onorarlo e per ricordare i 700 anni dalla sua morte. Sono in calendario conferenze, dirette web, concerti e manifestazioni. L’attore Roberto Benigni leggerà un canto della Divina Commedia al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica.
« Ultima modifica: Marzo 23, 2021, 21:33:26 da Doxa »

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Re:25 Marzo
« Risposta #3 il: Marzo 25, 2021, 10:21:52 »
a proposito del nostro amico Dante...

Mo vado a famme na chiacchierata co lui, oggi è il 25 marzo e in questo giorno viene celebrato. Je vado a dà l’auguri prima che vada all’inferno.

Ma si, nun lo sapete che s’è messo in testa da fa un viaggio all’estero, lo chiama il “Grand tour”, vo attraversà l’Inferno, er Purgatorio e pure er Paradiso ? Ha detto che oggi è er giorno adatto pe partì. Vo fa sto viaggio pe rivedè Beatrice.

St'omo è na brava persona, ma cia un caratteraccio. Dice che potemo vive fino a 70 anni, lui adesso ce na 35 e va dicenno che è “nel mezzo del cammin di nostra vita”. E se lo dice lui che cià le visioni celestiali ce se po crede.

Ha preso na fregatura co Beatrice. Ogni vorta me racconta la stessa storia, de quanto l’amava non riamato.

La sora Beatrice na vorta l’ho incontrata e m’ha detto la verità: nun c’aveva attrazione pe Dante, co quer naso “aquilino” e squattrinato.

l’Alighiero pe passà er tempo spesso se ne va vicino a Ponte Vecchio, se mette a n'angolo come na ciovetta sur mazzolo, fa finta da guarda l’Arno invece scruta le donne che passeno e dice:


“Tre donne intorno al cor mi son venute”




Tre donne intorno al cor mi son venute,
e seggonsi di fore;
ché dentro siede Amore,
lo quale è in segnoria de la mia vita.
Tanto son belle e di tanta vertute,

che ’l possente segnore,
dico quel ch’è nel core,
a pena del parlar di lor s’aita.
Ciascuna per dolente e sbigottita,
come persona discacciata e stanca,

cui tutta gente manca
a cui vertute né belta non vale.
Tempo fu già nel quale,
secondo il lor parlar, furon dilette;
or sono a tutti in ira ed in non cale.

Queste così solette
venute son come a casa d’amico;
ché sanno ben che dentro è quel ch’io dico.
Dolesi l’una con parole molto,
e ’n su la man si posa

come succisa rosa:
il nudo braccio, di dolor colonna,
sente l’oraggio che cade dal volto;
l’altra man tiene ascosa
la faccia lagrimosa:

discinta e scalza, e sol di sé par donna.
Come Amor prima per la rotta gonna
la vide in parte che il tacere è bello,
egli, pietoso e fello,
di lei e del dolor fece dimanda.

[…]

« Ultima modifica: Marzo 26, 2021, 19:31:22 da Doxa »

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Re:25 Marzo
« Risposta #4 il: Marzo 26, 2021, 19:48:29 »
Ieri sera, in occasione delle celebrazioni per il “Dantedì”, l’attore Roberto Benigni nel Palazzo del Quirinale ha recitato il XXV Canto del Paradiso alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del ministro della Cultura, Dario Franceschini ed altre autorità.

Cliccare sul link per vedere l’evento

http://www.rainews.it/dl/rainews/med...1f4652c87.html

L’attore toscano prima della recita si è soffermato su Dante come poeta e come politico.

Vi trascrivo abbastanza fedelmente ciò che ha detto ieri sera  Benigni riguardo a Dante come politico, che amava la politica, ma questa fu la sua rovina.

Alla fine del XIII secolo a Firenze c’erano due grandi partiti: i guelfi e i ghibellini. Dante era con i guelfi  e partecipò alla  vita politica nella sua città con importanti ruoli. Fu uno dei priori, poi cooptato nel ‘Consiglio dei cento’, che corrisponderebbero oggi al ruolo di ministro o sottosegretario.

Quando i guelfi si divisero in bianchi e neri, scelse la corrente dei guelfi bianchi. Disilluso, cambiò opinione. Subì l’esilio e l’ingiusta condanna. Divenne ghibellino, il “ghibellin fuggiasco”. Ma giunse al punto di non poterne più della politica. Non si fidava di nessuno, non gli piacevano neanche i ghibellini, e smise con la politica. Adirato, forse disse “basta con la politica”.

Lasciò scritto “faccio parte per me stesso”.

Scherzando Benigni ha detto che probabilmente il sommo poeta  nella sua mente si creò un partito come lui desiderava e lo chiamò P. D., il partito di Dante. Lui fu l’unico iscritto.  Era stanco delle correnti, stanco delle scissioni, come sempre avviene anche nell’attuale P. D., il partito democratico, se lo si considera da quando si scisse dal partito socialista, nel 1921.

Nel precedente post ho  collocato la foto di un dipinto, che ricolloco qui per descriverlo.

La frase "Tre donne intorno al cor mi son venute" è l'incipit della "rima n. 47" che è nella raccolta di contenuti poetici ("Rime") composti da Dante dalla giovinezza sino ai primi anni dell'esilio. Questa rima forse la scrisse tra il 1302 e il 1304. Il poeta si duole per l'ingiustizia subìta ed esalta la propria dirittura morale tramite la metafora delle "tre donne" che fanno visita al suo cuore e che devono essere interpretate come immagine della Giustizia universale, della Giustizia umana e della Legge naturale.


Henry Holiday (1839 – 1927), “Dante e Beatrice”, olio su tela, 1883, Liverpool, Walker Art Gallery

Il pictor londinese della corrente preraffaellita per questo quadro si ispirò alla “Vita Nova”, scritta nel 1294 dall’Alighieri. In questo testo il poeta descrive il suo amore per Beatrice Portinari, ma che nascose agli altri fingendo di essere attratto da altre donne, la ragazza lo seppe, perciò non volle salutarlo né parlargli.

In un capitolo della “Vita Nova” Dante esprime il suo dispiacere perché Beatrice, “la qual fu distruggitrice di tutt’i vizi e reina de le vertudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare nel quale stava tutta la mia beatitudine”.

Il poeta pone l’accento sull’aspetto metafisico della donna: Beatrice è bella ma è “angelo” di Dio, portatrice di virtù e di beatitudine.

"Ecce deus fortior me, qui venines dominabatur michi”, ‘Ecco un dio più forte di me, che giungendo mi dominerà’. Questa divinità è l’amore.

La scena rappresenta  Beatrix e altre due donne che camminano sul Lungarno vicino al Ponte Santa Trinita a Firenze.

Beatrice è al centro, indossa un abito color crema e cammina accanto alla sua amica Monna Vanna; leggermente dietro, c'è la domestica di Bice (= Beatrice).

Dante le osserva. Ha la mano sinistra poggiata all'altezza del cuore e la mano destra  sulla spalletta del ponte fluviale.

Sulla strada ci sono volatili, alcuni di loro si abbeverano da una botte. Una donna gioca con il bambino, un po' più in là una bambina con un vestitino verde gioca da sola. Sullo sfondo due viandanti e il Ponte Vecchio.

Al pittore Henry Holiday piaceva l'accuratezza storica, perciò nel 1881 si recò a Firenze per cercare la scena adatta da raffigurare in questo dipinto.
« Ultima modifica: Marzo 26, 2021, 22:40:35 da Doxa »

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Re:25 Marzo
« Risposta #5 il: Marzo 28, 2021, 16:52:20 »

(particolare dalla “Divina Commedia” di Alfonso d’Aragona, conservata al British Library di London).

Alfonso d’Aragona (1481 – 1500) fu un figlio illegittimo del re di Napoli, Alfonso II, e dell’amante del sovrano, Trogia Gazzela.

Il giovane Alfonso è noto per essere stato il secondo marito di Lucrezia Borgia. Morì assassinato all’età di 19 anni. Il mandante fu Cesare Borgia, il famigerato “duca Valentino”, figlio del pontefice Alessandro VI, Rodrigo Borgia.


Cristofano dell’Altissimo, ritratto del papa Alessandro VI, olio su tela, Corridoio vasariano, Firenze.

Lo scorso 25 marzo in occasione del “Dantedì” e del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, papa Francesco ha promulgato la lettera apostolica titolata  “Candor Lucis Aeternae”.

Questo è link del Vaticano con la predetta lettera.

http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20210325_centenario-dante.html

Può essere sorprendente che il pontefice (e con lui alcuni  suoi predecessori)  abbia celebrato Dante che scaraventò all’Inferno tra i simoniaci, nella terza bolgia di Malebolge, un papa mentre era ancora in vita, Bonifacio VIII, Caetani. Ma l’Alighieri era un credente e un conoscitore della teologia cristiana.

Un’ampia parte iniziale della Lettera di papa Francesco raccoglie le voci dei suoi predecessori e fa sue le parole di Paolo VI: “Non rincresce ricordare che la voce di Dante si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice Romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzioni ecclesiastiche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresentanti”.

Ma, come  detto, nonostante i gravi peccati compiuti dagli ecclesiastici, l’Alighieri rimase fermo nella sua fede cattolica e la sua filiale affezione alla Chiesa.
« Ultima modifica: Marzo 28, 2021, 17:01:44 da Doxa »