L’armamentario clericale dispone di alcuni sinonimi per definire il dispiacere per i peccati commessi.
Pentimento: dal latino “paenitère”, = afflizione per aver compiuto un’azione peccaminosa.
Attriziòne: questo sostantivo nella teologia cattolica indica il “dolore” per il peccato o i peccati commessi, ed è detto “contrizione imperfetta”, perché deriva dal timore della penitenza e non dal pentimento per aver “offeso Dio”, considerato giudice severo e non come “Padre buono”…
L’attrizione, da sola, non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo tramite la penitenza, che può dare inizio a un’evoluzione interiore.
L’attrizione è collegata alla dottrina della “giustificazione”: l’individuo può ritenersi “giusto” se riceve la “grazia salvifica di Dio” tramite la fede: “… Chi ascolta la mia parola (quella di Gesù) e crede a colui (Dio-padre) che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5, 24)
Contrizióne: nel catechismo della Chiesa cattolica (n. 1451) la contrizione del penitente occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire”.
Per la teologia la contrizione è il pentimento “perfetto” dei propri peccati, in quanto determinato da “Dio” (contrizione di carità); è contrapposta all’attrizione (contrizione imperfetta o contrizione da timore), determinata dalla paura della “dannazione eterna” e delle altre pene.
La contrizione di carità rimette le colpe veniali e ottiene anche il perdono dei peccati mortali tramite la confessione sacramentale.
L’atto di dolore è la preghiera che esprime la propria contrizione, che si recita dopo la confessione dei peccati nel “sacramento” della penitenza.
Per alleviare l’afflizione c’è chi sceglie di confessarsi dal presbitero e chi dal psicoterapeuta, perché entrambi sono tenuti al segreto di quanto viene detto loro e ciò facilità la libertà di espressione delle persone.